Il “red friday” di Amazon

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23 Novembre 2017

La retorica pomposa  su Industria 4.0 che attraversa da mesi il dibattito interno a tutti gli attori economici sociali del Paese (dal Governo a  Confindustria, da Cgil, Cisl e Uil, a Confcommercio) sta forse colpevolmente trascurando il capitolo del conflitto sociale nell’era della digitalizzazione, il suo spostarsi in luoghi nascosti agli occhi di chi, il consumatore in primis, si sta forse troppo ingenuamente beando degli agi di questa modernità.

Lo sciopero proclamato dai confederali nello stabilimento di Piacenza di Amazon in concomitanza con il black friday ridisegna in parte proprio questa geografia e ci racconta come dietro la patina luccicante dell’innovazione  si nascondano ricorsi storici inquietanti.

Ad Amazon vige  un nuovo cottimo.

I pezzi che i magazzinieri ( pickers) devono reperire in tempi definiti sono tanti e possono diventare tantissimi a seconda dell’impennarsi della richiesta.

Se non stai al passo, vieni richiamato. Un po’ come succedeva nelle fabbriche dei primi decenni del novecento in cui gli operai dovevano fare i conti con i temutissimi sorveglianti spesso in vena di delazioni verso il padrone.

Si lavora sette giorni su sette, H24.

La percezione del tempo è falsata: non si misura in minuti ma in colli e in produttività.

Un tempo lontano, alla catena di montaggio, si osservava il lento girare delle lancette dell’orologio, in attesa che la sirena suonasse.

Nei magazzini della logistica che ubbidiscono alla dura legge di milioni di click il tempo viene interiorizzato, si disconnette dalla realtà, e l’alienazione non è data dalla ripetitività automatica delle azioni, ma dall’ essere completamente subordinati a un ordine fatto di ordini anonimi spesso in impietoso disordine.

A Piacenza le organizzazioni sindacali lamentano la assoluta sterilità del confronto con L’azienda che è pure solita  misurare e limitare il tempo a disposizione per le trattative sindacali, in piena coerenza con la sua ideologia.

Amazon respinge al mittente le accuse dipingendo un mondo del lavoro in cui i lavoratori godono di sconti sugli acquisti (sic!) assistenza sanitaria privata, e retribuzioni in linea se non superiori a quelle del settore.

Peccato che la logistica non se la passi proprio bene in termini di salari e soprattutto che l’estrema flessibilità richiesta ai lavoratori non sia proprio pacifico debba essere considerata neutra ai fini della loro retribuzione.

L’azienda poi si difende affermando di incoraggiare i dipendenti a trasferire commenti e domande al management, incentivandone il coinvolgimento attivo.

Peccato di nuovo che una delle rivendicazioni del sindacato, alla base della mobilitazione del venerdì nero, sia appunto quella di dare sostanza a questo spirito partecipativo, dividendo parte degli utili conseguiti anche con i dipendenti.

La rivendicazione salariale è il primo step per mettere i piedi nel piatto di una organizzazione del lavoro che si porta dietro problemi pesanti anche sulla salute e sicurezza dei lavoratori coinvolti, alle prese con pretese di performance capaci alla lunga di minare fisico e mente.

Lo sciopero 4.0 si muove quindi su un solco di tradizione, provando a colpire l’impresa nel momento di massima intensità della sua produzione, per rivendicare  salari e condizioni migliori, in un contesto lavorativo che di moderno ha ben poco.

La visibilità e l’attacco alla “reputation” aziendale sono sì subordinate figlie di un’epoca in cui la  social visibilità è tutto o quasi, ma non cambiano i termini di un problema più generale che riguarda un lavoro che si impoverisce, regredisce, viene spostato lontano  dalle coscienze dei più, e una volta ben nascosto, si imbruttisce fino a diventare sfruttamento.

Finora la logistica è stata quasi sempre teatro di eclatanti iniziative del sindacalismo di base che per primi hanno saputo sfruttare l’impatto che in termini di visibilità, attacchi scientifici portati a grandi gruppi come IKEA, APPLE, potevano provocare. Ma come la vertenza Amazon insegna,  l’appalto dei diritti non è esclusiva di chi agisce il conflitto per il conflitto senza proporre una strategia più vasta, concreta, che coinvolga i lavoratori in un percorso che ha nello sciopero il mezzo e non il fine della protesta.

“Industria 4.0” mentre spostava altrove, in cento periferie, un lavoro che  non si poteva guardare, ha reso paradossalente, democraticamente esteso il luogo del conflitto, perché venerdì, ogni tablet, ogni smartphone, ogni postazione PC può aderire a questo sciopero astenendosi dal click, spezzando la rete della indifferenza e intessendo quella della solidarietà.

Un comportamento di questo tipo sarebbe quanto di più moderno, sul piano sociale, la disintermediazione potrebbe regalare, dando al web finalmente un volto umano.

Boicottando il black friday di Amazon, sia chiaro, non si farebbe solo una buona azione in spirito pre natalizio; si confezionerebbe un regalo anche a noi stessi, ribellandoci alla strisciante idea che solo consumando siamo, con buona pace di Cartesio.

 

 

 

 

 

 

TAG: #sindacati, amazon, black friday, sciopero
CAT: Grandi imprese, Imprenditori

2 Commenti

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  1. antonio-radici 6 anni fa

    Ma qualcuno che sa l’inglese per fare il logo non potevate chiamarlo? Tipiche figure al’italiana. Oppure fare il logo in ITALIANO.
    “boicott”? “In stryke? Ma che lingua e’? e vogliamo fare l’Internazionale

    Rispondi 0 1
  2. antonio-radici 6 anni fa

    Ma qualcuno che sa l’inglese per fare il logo non potevate chiamarlo? Tipiche figure al’italiana. Oppure fare il logo in ITALIANO.
    “boicott”? “In stryke? Ma che lingua e’? e vogliamo fare l’Internazionale

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