Ode a una sinistra che non c’è (e non ci può essere)

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12 Aprile 2015

Forse – e sottolineo forse – poesia è quando vedi qualcosa di bello dove forse il bello non c’è, ma chissenefrega se c’è o non c’è, l’importante è che tu ce la vedi.

Mi serviva un inizio un po’ leggero perché voglio agganciarmi a questo post di Umberto Cherubini che dice cose a mio molto modesto avviso molto pesanti.

Ma dicevo della poesia, perché ho trovato estremamente poetica questa lettura della sinistra in termini di risk management, forse anche per inconscio narcisismo dovuto al fatto che vorrei scrivere un libro sullo stato come oggetto che serve (rectius dovrebbe servire) unicamente a proteggere noi (a livello collettivo) da noi stessi (a livello individuale) che magari è l’opposto di quel che ha in testa Cherubini, ma (forse) il bello della poesia è anche una certa coincidentia mirabilis degli opposti che farà inarcare il sopracciglio ai matematici e sorridere i filosofi.

Ok, basta supercazzole e veniamo alla sinistra cercando di argomentare che qualcosa da dire ce l’ho e non voglio prendere in giro nessuno.

Che altro dovrebbe essere la sinistra se non protezione (non solo dei più deboli)? Che altro è la protezione se non compensazione dei rischi? Allora quale lente migliore del risk management per valutare la sinistra? Che sinistra è quella che non protegge? Di che stiamo parlando?

Umberto (che Cherubini ha gentilmente accettato di darci del tu) ha tirato nello stagno non un sasso ma un macigno. Che magari troppa gente si è abituata a pensare che sinistra è essere antifascisti (che cazzo vuol dire nel 2015?) antiberlusconiani (e quando sparisce il nemico che rimane?) contro l’evasione fiscale (che gli imprenditori onesti sn come l’araba fenice) keynesiano-statalisti (che dirsi marxisti travalica anche le più elastiche tra le soglie del ridicolo) utopisti di una utopia meschina (che almeno il comunismo aveva la nobiltà di immaginare un’umanità migliore di quella che ha prodotto l’evoluzione naturale). Meschina perché figlia di un egocentrismo autoreferenziale per il quale la cultura (e il liceo classico) è di sinistra e i conti della serva sono di destra (o forse neanche quello perchè il sinostroso doc neanche si pone il problema che a qualcuno tocchi farli quei conti)

Sinistra è protezione anche da se stessi. Perché se non siamo in grado di risparmiare ci sono i contributi obbligatori e la pensione sociale e se comunque nn siamo in grado di sostenere oggi contributi tali da garantirci una vita decente domani (struttura demografica permettendo) è di sinistra anche il metodo di calcolo retributivo anziché contributivo.

Per farla breve sinistra è pensare che la gente meriti e abbia bisogno di protezione, che non far da balia a tutti(quello è paternalismo degenerazione della sinistra), ma far si che tutti stiano a galla scegliendo ognuno di nuotare alla velocità che gli consentono il suo mix di volontà e DNA. In teoria.

Qui arriva la mia educata e civile critica Umberto: la sinistra non esiste in pratica. E’ un tentativo di rendere meno ideale e irrealizzabile qualcosa. Ma non esiste e non può esistere perché la natura, la storia, la società e il meccanismo dell’evoluzione e della selezione naturale sono di destra. Non mi piace, non è bello e non è poetico e qualche volta per protesta metto su i Baustelle con il liberismo ha i giorni contati. Però poi mi guardo in giro e capisco che quella sinistra non esiste e non può esistere.

Potrei fare l’esempio dei sindacati che prima dovevano proteggere i lavoratori, poi solo alcuni lavoratori, poi quelli attuali danneggiando i potenziali e alla fine si sono ridotti a proteggere solo se stessi. Ma sarebbe un esempio e non un argomento generale.

L’argomento generale è che la sinistra è un composto instabile, un processo non sostenibile che tende naturalmente a degenerare e questo avviene perché contiene un vizio logico di fondo ossia che sia più importante concentrarsi su come dividere la torta piuttosto che farla crescere in modo che ce ne sia per tutti.

Voler proteggere alcuni significa redistribuire ossia accettare l’idea che sia bene togliere ad alcuni che hanno troppo per dare ad altri che hanno troppo poco. Accettato questo principio che appare tanto nobile il danno è fatto poiché si ammette implicitamente che qualcuno possa arbitrariamente stabilire quanto è troppo e quanto è troppo poco. Quel qualcuno vivrà necessariamente in conflitto d’interessi poiché stabilirà quanto è giusto anche per se stesso. Il mercato, la natura infame e la legge della giungla non hanno questo vizio non c’è uno che decide cosa è giusto o è sbagliato c’è il più forte che mangia il più debole finché può e il più bravo che batte il meno meno bravo finché ci riesce. Il processo competitivo darà risultati squilibrati per determinati standard di sensibilità umana (anche per i miei per quel che vale), ma non ha il vizio di decidere arbitrariamente chi deve dare e chi ricevere.
Tanto per non fare esempi la sinistra italiana ha scelto che ricevano i pensionati e i dipendenti pubblici e che subiscano il prelievo tutti gli altri evasori inclusi (se non è chiaro perché anche l’evasore paga ne scrivo a parte).

Allora grazie Umberto per questa lettura da ragionieri che, attraverso i vestiti invisibili dell’imperatore Renzi, ci mostra la sinistra in mutande e scusa se ne ho abusato dirottandone anche il registro comunicativo verso toni meno gravi, ma mi servivano a stemperare il mio argomento orribile: non solo la sinistra non esiste, ma non può neanche esistere.

Lo stato sociale del XX secolo è stata una bolla temporanea che già non possiamo più permetterci e ora dovremo cercare di sgonfiare l’ascesso in anestesia locale confidando di aver tempo a sufficienza.

Dobbiamo allora arrenderci all’ingiustizia della natura e  soccombere all’ineluttabilità della legge della giungla? No forse solo prendere atto che, mentre nelle università italiane ancora spiegano le meraviglie taumaturgiche dei moltiplicatori keynesiani e i fallimenti del mercato, abbiamo tutti davanti agli occhi (non solo in Italia ) l’evidente fallimento dello stato assicuratore che, si propone come sociale, ma degenera inevitabilmente nell’assistenziale, complice il bug strutturale dei sistemi democratici in cui la ricerca del consenso,prevale sul buon senso.

Forse una sinistra nuova dovrebbe concentrarsi più sul garantire eguali opportunità, piuttosto che inseguire redistribuzioni arbitrarie in nome di un’ideale eguaglianza che, con buona pace di Piketty e dei suoi fan, riducono il benessere collettivo  invece di aumentarlo.

TAG: crisi, Matteo Renzi, minoranza pd, Pd, sinistra
CAT: Partiti e politici, Uncategorized

3 Commenti

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  1. umberto.cherubini 9 anni fa

    Caro Massimo, allora è duello. Comincio dal libro che sogni di scrivere, sullo stato che protegge noi stessi come collettività, da noi come individui. Sei capitato sul mio tema di ricerca attuale. Quello che definisci è contagio. Ritengo che tu non voglia ripartire il costo di questa protezione in parti uguali. Chi è più contagioso paga di più, è il principio “polluter must pay”, e se intendi il termine inquinamento in senso lato, ti stai indirizzando verso di me. Riconoscerai allora che le imprese devono pagare per il rischio che è stato trasferito ai lavoratori con il Jobs Act, e benvenuto nella mia sinistra.
    Poi c’è la questione della competizione, che tu attribuisci alla destra in una prospettiva che va dai dinosauri fino a noi. Dici che la tendenza è che i forti vincano sui deboli, e condanni la sinistra come contro natura, nel suo tentativo di proteggere i deboli (tra l’altro condividendo lo stesso destino con la medicina). Qui secondo me sei abbagliato dalla sinistra italiana. Se vuoi puoi cercare sul sito di Repubblica una mia polemica con Giorgio Van Straten (ex consigliere Rai in quota PD) e Filippo Fossati (ex presidente UISP e ora parlamentare PD). Digita “i ragazzi che volevano cambiare il mondo” e troverai gli articoli della polemica tra me e loro sulla questione che la sinistra italiana non conosce la competizione. Ma John Elkan la conosce? Si è fatto da solo? Si è guadagnato i gradi sul campo? No, ha avuto la vita disegnata come un giovane della FGCI o un quadro sindacale.
    Quindi la competizione non è né di destra né di sinistra. Anzi, se richiama il concetto di violenza, forse è più di sinistra che di destra. Fidel Castro in fondo era uno che sapeva competere. Ed è meglio definire le regole del gioco in cui si compete. Puoi anche lasciar fare alla legge della giungla, ma allora non voglio sentire lamenti e questioni sui valori se ti trovi un Charles Manson in giardino. E la disuguaglianza eccessiva porta a questo. Se sembra paradossale non lo è. In un mio giro per convegni in Brasile mi sono trovato a cena in un vicinato blindato nei pressi di Campinas. Questi signori dovevano rinunciare a investire una parte dei loro flussi di cassa per pagarsi guardie del corpo. Anche su questo siamo tornati quindi al tema del mio post. Ci sono investimenti che finiscono in spese di assicurazione (privata o pubblica, non fa differenza) invece che nella produzione. Per me, in una società diseguale questi costi sono maggiori. E anche la Grecia ce lo dimostra.
    Resta da discutere la tua affermazione che il regime di ripartizione sarebbe di sinistra. A questo non rispondo ora perché è oggetto del mio prossimo post.

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    1. massimofamularo 9 anni fa

      Destra e sinistra sono parole fuorviani (di cui però in Italia nn si riesce a fare a meno) In particolare in italia di liberlizzazioni (mai abbastanza) ne ha fatte più la sinistra che la destra che ha saputo essere quasi solo clientelare e populista.
      Lasciamo alla poesia quelle parole concentriamoci su competizione e redistribuzione arbitraria.
      La competizione sappiamo a cosa serve e quanto faccia bene e non serve dirlo. Quel che non fa è garantirci una allocazione delle risorse accettabile (banalmente chi per sfortuna non può competere che fine fa?) come rispondiamo a questo problema fa tutta la differenza del caso.
      Putroppo la risposta politica di destra o sinistra che sia è unica: redistribuzione arbitraria in favore dei propri sostenitori. Io credo che la risposta dovrebbe andare nella direzione di garantire a tutti l’opportunità di competere (e nell’Economist si parla di dinastie) e una rete di protezione minima. Sul resto ognun per se (altrimenti il paternalismo giungerà a trovar moglie a chi non ce l’ha)
      Allora lo stato a che serve? A parte ovviamente a far funzionar bene il mercato?
      Forse a limitare (non bloccare) l’arbitrio del più forte e a farlo mediante la coalizione di tutti i pià deboli. L’azienda che inquina non solo deve pagare, ma deve essere obbligata a smettere se il danno che fa inquinando non è stimbile.
      Il diavolo allora è nei dettagli perchè come nel libro/film “Capitale Umano” ci sarà qualcuno pronto a dire che certe cose non si misurano (come la bravura degli insegnanti o dei magistrati) ma questa è un’altra storia.
      PS prossimo post sarà ode a una destra che non può essere rilevante (poi basta destra/sinistra che fuorviano

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    2. massimofamularo 9 anni fa

      Ho trovato subito il pezzo di repubblica in risposta a Van Straten, ma nn riesco a trovare il pezzo di partenza.
      Ovviamente il commento è condivisibile al 100%

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