Un 25 aprile visto da vicino

:
26 Aprile 2015

Un piccolo resoconto personale, il mio terzo e, almeno per quest’anno, ultimo articolo a tema «antifascismo e memorie resistenziali».

Mentre il governo ha vinto la non facile sfida di celebrare l’anniversario della Liberazione dal nazifascismo senza mai nominare l’antifascismo e, attraverso l’hashtag #ilcoraggiodi, è riuscito a ridurre la storia della Resistenza ad una melassosa narrazione da Truman Show, tante persone hanno scelto di portare, come si suol dire, il culo il piazza proprio in nome dell’antifascismo, non senza che il vecchio “fronte antifascista” rivelasse tutte le proprie divisioni. Chi a Milano ha portato le insegne della Brigata Ebraica cantando Bella Ciao è stato chiamato assassino, fascista e quant’altro dai soliti mentecatti, ma questa ormai non è più una notizia.

Tutt’altro clima a Venezia, dove gli antifascisti di tutte le osservanze, dall’iscritto PD ai centri sociali, e gli ebrei di tutte le osservanze, dal comunista ateo al devoto del rebbe ucraino, si ritrovano assieme in campo del Ghetto. La storia e l’urbanistica stessa della città favoriscono da sempre la tolleranza, e così fa l’ufficialità del potere (ebbene sì), che non si limita a disporre il rito della memoria: quest’anno, ad esempio, è toccato al Prefetto ricordare ai Veneziani, sempre che ve ne fosse stato il bisogno, che l’accoglienza ai profughi è, semplicemente, un dovere costituzionale.

Non mancano poi le occasioni semi-autogestite, le piccole cerimonie sotto le lapidi partigiane di quartiere, come quella della Giudecca. ARCI, ANPI, ma soprattutto amici e vicini di casa si ritrovano in quella che è anche occasione conviviale, oltre che civile.
Le chitarre e Addio Lugano bella cantata in coro, il vinello e gli gnocchi fritti – ovviamente non autoctoni, ma preparati da alcuni ospiti emiliani. L’amico anarchico col quale commentare l’assenza degli striscioni noTAV, il segretario del mio circolo PD che porta la bandiera dell’ANPI, le letture degli addii di alcuni condannati a morte della Resistenza – parole che più di tutte danno la misura e il significato della giornata.

Queste piccole manifestazioni hanno tutte una loro piccola drammaturgia spontanea, cui ognuno partecipa «secondo le proprie possibilità», chi suonando, chi portando le cibarie, chi scegliendo i testi, chi leggendoli. Ora, io mi chiedo se fosse davvero necessario che la signora docente dello IUAV portasse quale suo contributo una scelta di letture da «Micromega», mi chiedo se l’ansia di attualizzare “il messaggio della Resistenza” dovesse proprio identificarsi in quei testi.

Era proprio necessario che, subito dopo le lettere dei partigiani torturati e i ricordi di Mauthausen, dovessimo ascoltare in religioso silenzio la tirata di Lorenza Carlassare contro le riforme istituzionali di Renzi (che non viene mai nominato: forse l’inevitabile contrappasso per chi non nomini mai l’antifascismo sta nel non venir mai citati dagli antifascisti)?

Ed era proprio necessario ascoltare il pezzo di Sandrone Dazieri in cui, dopo averci informato di possedere una casa a Mosca e di non sentirsi italiano più che russo, lo scrittore tenta di épater le bourgeois come si fa al liceo? «La bandiera italiana in mano a un fascista o a un partigiano mi fa lo stesso effetto», scrive Dazieri . Un istante dopo aver terminato questa frase, alla persona cui è affidata la lettura squilla il cellulare: «Dev’essere il partigiano che non è d’accordo», dice. Uno di quei momenti comici perfetti (e una prova del senso dell’umorismo divino?)

Bofonchio qualcosa alla mia compagna, mentre l’unica a protestare è una maestra di 87 anni, che contesta educatamente ma fermamente la scelta del testo. Caro Sandrone, penso io meno educatamente, col cazzo che è la stessa cosa se il tricolore lo regge un fascista o un antifascista. Per inciso, a quella stessa maestra, nel ’38, furono proprio i fascisti a dire: tu non sei italiana, non appartieni alla stessa “razza” dei tuoi compagni di scuola.

Facile schifare l’identità italiana quando ce l’hai per nascita e nessuno si sogna di negartela.

Facile dirsi antifascisti se il “fascista” è Renzi.

Io non so se riusciremo più a festeggiare un 25 aprile senza ascoltare sciocchezze simili. Quello che so è che molte persone – anche e forse soprattutto tra la borghesia intellettuale di sinistra – hanno perso del tutto il senso delle proporzioni. Tra chi vede dietro all’Italicum una macchinazione fascistoide e chi vorrebbe fucilare Farinetti, la festa della Liberazione rischia di diventare una fiera delle indignazioni di ogni ordine e grado. Mi auguro soltanto che al momento opportuno i signori indignati sappiano ancora riconoscere un vero fascista. Ce ne sono ancora parecchi, in giro, sapete?

TAG: 70 anniversario liberazione, antifascismo, ebraismo, lorenza carlassare, Matteo Renzi, radical sciocchi, Resistenza, riforme istituzionali, sandrone dazieri, venezia
CAT: Storia

2 Commenti

Devi fare per commentare, è semplice e veloce.

  1. sandrone-dazieri 9 anni fa

    Carissimo, ferma restando la liceità della tua critica, ci tengo a dire che la mia era una risposta a un questionario, e non certo un comizio da tenersi il 25 aprile. Ti riporto per intero la frase incriminata “Sono costretto a rispondere che dell’identità italiana me ne frega zero, così come delle frontiere e delle retoriche patriottarde, di destra o di sini-stra. Da quando ho l’età per capire ho sempre cercato di aprirmi al mon-do e di farne parte. La mia formazione sentimentale si basa su testi per lo più anglosassoni, ho una casa a Mosca, e quando posso giro il mondo. L’unica cosa che mi lega davvero a questo paese è la lingua, perché lavoro con l’italiano, e le tasse che ci pago, ma mi sento italiano come russo, o arabo. Mi cambia poco se il tricolore lo sventola un fascista o un partigia-no, mi annoio allo stesso modo, anche se, ovviamente, al partigiano va il mio amore e il mio rispetto.”
    Come vedi, non parlo di equivalenza tra partigiani e fasci, né qui né in altre parti dell’intervista, ma ribadisco che dell’identità italiana non me ne frega un cazzo e tantomeno della bandiera. Credo che non sia più reato. Ovvio che la mia situazione sia diversa oggi da quella di un ebrea negli anni delle leggi razziali, e trovo forzato l’accostamento.
    Per quanto riguarda la casa a Mosca ti rivelo un segreto: metà della mia famiglia è russa, quindi non è strano che io abbia una casa da quelle parti.
    Scusa l’interruzione, prosegui pure a insultarmi.

    Rispondi 0 1
    1. federico.gnech 9 anni fa

      Complimenti, Sandrone, sei stato rapidissimo. Ti ringrazio per aver riportato correttamente il passo, la mia era una citazione a memoria. Il senso, comunque, si conserva perfettamente. Non mi sembra di averti insultato, ma lo faccio adesso: per essere uno scrittore, il tuo grado di comprensione di un testo mi pare un po’ scarso.
      Ciao ciao.

      Rispondi 0 0
CARICAMENTO...