‘God’s not dead’, è vivo e dipende da ognuno di noi

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16 Febbraio 2016

‘God’s not dead’ è il titolo di un film di prossima uscita nei cinema italiani. Porta la bandiera statunitense e racconta la sfida dialettica tra una giovane matricola universitaria ed il suo professore di filosofia, sfida tutta tesa a dimostrare una delle questioni fondamentali per tutta l’umanità: l’esistenza di Dio. La pellicola è del 2014, ma esce in Italia a partire dal prossimo 25 febbraio. E mi permetto una digressione. Il dibattito filosofico sulla esistenza di Dio mi ha sempre appassionato. Perché ci sono alcune questioni che non possono trovare risposta se non del fatto della sua presenza immanente. Nello stesso tempo ho sempre notato una notevole asimmetria di comportante tra credenti ed atei rispetto a ciò che gli uni pensano degli altri.

L’asimmetria è presto detta. Io sono un credente. E sono un credente contro cui sempre più spesso sono rivolte accuse o meglio provocazioni da parte di non credenti riguardo la mia condizione, appunto, di credente. Quasi che io fossi in difetto rispetto all’universo-mondo nel mio credere. Nello stesso tempo a me non è mai successo di provocare qualcuno in quanto non credente. Mai di vantare verso di lui o di loro una qualche condizione di superiorità intellettuale o sociale. E credo che questi due piani possano essere estesi a livello universale, valendo quindi per altri oltre la mia esperienza personale. Ne risulta che i non credenti sono generalmente meno tolleranti dei credenti verso la questione del credere o non credere in Dio. Sarebbe interessante chiedersi il perché di questo atteggiamento.

Veniamo alla cause di questo modo di fare, quelle che posso presumere valide, sempre in base alla mia piccola personale esperienza. Con una certa presunzione e con un po’ di orgoglio, devo ammetterlo, di fronte a queste situazioni ho sempre pensato che di fondo ci sia una sorta di invidia verso la certezza del credere mio o di altri. Una sorta di complesso di inferiorità mai detto e difficilmente ammissibile. Non me lo spiego altrimenti. La controprova, sempre del tutto personale, sta nel fatto che a me non interessa assolutamente confutare quanto può sostenere un non credente. Quando mi sono trovato a farlo, è successo semplicemente perché ero stato ‘provocato’ io in origine. Parimenti, non riesco ancora a comprendere l’accanimento con cui ci si atteggia dall’altra parte. Da qui ne deriva la mia ammirazione verso tutti i tentativi di affrontare a livello intellettuale il tema del credere in Dio. ‘God’s not dead’ compreso.

È fin qui ho usato toni che sembrano non avere niente a che fare con il tema della missione e della misericordia. Semplicemente perché ho ridotto tutto il discorso ad una pura contrapposizione tra credenti e non credenti. E vorrei allo stesso tempo esercitare un certo diritto di autocritica nei confronti di me stesso. Perché nella contrapposizione non si può dare nessuna misericordia. Ci sarà sempre un noi e un voi a rafforzare le certezze di noi credenti e di voi non credenti. Ma d’altronde la questione dei fondamenti della fede non può che svolgersi così. Perché a questo livello il dibattito non può che essere dottrinale ed avvincente allo stesso tempo, dato che la ragione umana sull’esistenza di Dio si interroga di continuo.

Io vorrei passare però anche alla questione della pratica della fede, quella che nel Vangelo viene meravigliosamente sintetizzata nella dimensione dell’essere prossimi e dell’amore per il prossimo. E mi apro ad una preghiera per questa Quaresima. Mi auguro e auguro a tutti i credenti tentati dal mio stesso manicheismo di essere sempre più prossimi a tutti e di poter diventare sempre più costruttori di ponti come sta facendo Papa Francesco giorno per giorno. Non seguite, quindi, il mio esempio, perché continuare a ragionare di credenti e non credenti, a pensarci bene, non porta proprio da nessuna parte! La contrapposizione in generale non porta da nessuna parte. E, tra l’altro, non porta nemmeno ‘misericordia’. In fondo S. Agostino diceva che “se hai il semplice desiderio di conoscere Dio, hai già la fede”. Su questo varrebbe veramente la pena di concentrarsi.

TAG: Filosofia, giubileo, God's not dead, quaresima, religione, teologia
CAT: costumi sociali, Religione

2 Commenti

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  1. dialessi 8 anni fa

    Premsso che l’esperienza individuale è solitamente troppo limitata per trarne generalizzazioni, da agnostico (di formazione cattolica) ho avuto occasione di discutere con credenti che per primi mi hanno proposto sfide e provocazioni, persone che spesso non si sforzavano di celare una pretesa superiorità morale. Accade per lo più con cattolici militanti, che di fronte all’incredulo ritengono di dover necessariamente adempiere alle prime tre opere di misericordia: consigliare i dubbiosi, ammaestrare gli ignoranti, ammonire i peccatori.
    Le diffuse provocazioni dell’ateismo militante sono un fenomeno vecchio di quasi un decennio, inaugurato dalla “manualistica” di Dawkins, Odifreddi e compagnia, una moda superficiale come lo è il tipo di ateismo di massa proposto da questi personaggi. Sarà banale, ma in entrambe le militanze ci vedo la stessa pochezza intellettuale, la stessa volgarità, lo stesso desiderio di identità esclusiva. Anche gli atei alla Dawkins hanno le loro opere di misericordia e trovano nel credente quel che il credente trova nell’incredulo, ricambiandosi reciprocamente il fastidio.

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  2. marcogiov 8 anni fa

    Credente=cattolico, perché tertium non datur. Se i credenti cattolici iniziassero a porsi una domanda sul perché della loro fede e capissero che nel 99,99% dei casi deriva dall’educazione familiare e che sarebbero, con una diversa famiglia, luterani, sciiti o hindu, sarebbe già bello. “ho sempre pensato che di fondo ci sia una sorta di invidia verso la certezza del credere mio o di altri” è un’affermazione che fa davvero cadere le braccia.

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