Equità dei salari e produttività: perché Yuto Nagatomo può esserci utile

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30 Novembre 2014

Quanto sono importanti le differenze di salario nell’impattare sulla performance e la produttività di un lavoratore? Rispondere a questa domanda non è affatto semplice.

Immaginate di dover scegliere a priori se andare a lavorare in una piccola azienda dove il vostro stipendio sarà di 70 mila euro all’anno, sensibilmente più alto di quello dei vostri colleghi, oppure in un’altra piccola società dove di euro ne guadagnerete 80 mila, ma dove sarete anche i peggio retribuiti tra i colleghi.

È probabile che sceglierete questo secondo caso ma, se vi chiedessi in quale delle due situazioni vi sentireste più gratificati, molti di voi troverebbero la prima situazione più favorevole.

Stipendio e produttività sono strettamente legati ma la relazione non è semplice da investigare. E la dispersione delle retribuzioni all’interno della stessa organizzazione può avere, alla lunga, un effetto deleterio sulla prestazione.

Se siete un manager e dovete assumere un nuovo collaboratore, preferirete dunque prendere una superstar pagando di meno i suoi colleghi o, forse, a parità di budget, cercherete di uniformare la squadra e le relative retribuzioni?

Ancora una volta, il calcio ci viene in aiuto con dati molto interessanti e uno studio condotto da tre ricercatori (due italiani) e pubblicato su PLOS One.

Perché il calcio dovrebbe aiutarci a rispondere alla domanda qui sopra?

Essenzialmente, perché si tratta di uno sport basato sulla combinazione del gioco di squadra e di performances individuali. I dati sono molto utili, poiché si dispone dei punti partita realizzati durante una stagione, del minutaggio preciso di ciascun giocatore e pure dello stipendio netto di ogni membro della rosa. Essendo uno sport molto popolare, inoltre, la retribuzione dei calciatori è relativamente conosciuta e questo consente di poter provare a catturare l’effetto di un’alta dispersione delle retribuzioni sulla performance.

Si tratta di un’applicazione da cui anche un manager può trarre spunti rilevanti per le sue decisioni aziendali: meglio assumere un Cristiano Ronaldo in una squadra di 10 Nagatomo o cercare un nuovo terzino giapponese con cui affrontare una stagione da samurai?

Sia detto sempre con la massima simpatia.

L’articolo sopra citato raccoglie statistiche per la Serie A nelle due stagioni 2009/2010 e 2010/2011: si tratta di un totale di più di 600 osservazioni, che derivano dalle singole partite giocate dalle 20 squadre che compongono la griglia di partenza. Ogni stagione è considerata a se stante: poiché di anno in anno è ragionevole che una squadra cambi sensibilmente la composizione della sua rosa, la Juve della prima stagione, per intenderci, è considerata come una squadra diversa dalla Juve della seconda. Inoltre, per evitare distorsione nei risultati, si analizzano solo le partite da agosto a dicembre, prima della finestra di mercato in gennaio.

L’analisi considera l’effetto della dispersione nelle retribuzioni sulla performance della squadra, facendo un’importante specificazione: la definizione di squadra, qui, tiene conto di quelli che sono definiti active team members (ATM), cioè i giocatori che, durante la stagione, hanno giocato almeno un minuto. Ci sono, infatti, in una rosa di 30 giocatori, molti calciatori che non vedono mai né il campo né la panchina: giovani della Primavera o riserve pagate pochissimo e che, dunque, non danno un contributo effettivo alle prestazioni della squadra.

Il grafico qui sotto mostra l’effetto di una più alta differenza negli stipendi (misurata con un indicatore tipico delle analisi di disuguaglianza) sulla probabilità di vincere una partita.

 

Al crescere della dispersione, come è possibile notare, la probabilità di vincere si riduce. Di quanto?

Gli autori fanno un esempio: se siete un presidente che deve prendere 11 giocatori con un budget limitato, scegliendo se pagarli tutti 600 mila euro all’anno (la media, più o meno, in serie A) oppure se cercare un top player cui offrire un contratto da 1.5 milioni di euro (contro i 510 mila degli altri 10), fareste meglio a intraprendere la prima strada.

Nel secondo caso, infatti, a parità di altre condizioni, la probabilità di vincere una partita si riduce di 20 punti percentuali.

L’articolo, poi, cerca anche di capire qual è la leva che agisce sulla prestazione: si tratta di una ridotta cooperazione o, piuttosto, di un peggioramento della performance individuale?

Per rispondere a questa domanda, vengono raccolte statistiche sul numero di passaggi complessivo realizzato da una squadra, considerato come approssimazione del livello di cooperazione, e le pagelle individuali attribuite dai principali giornali.

Qui il risultato è interessante: mentre un’alta dispersione dei salari non sembra avere effetto sul grado di collaborazione, lasciando invariato durante la stagione il numero di passaggi, le prestazioni individuali, viceversa, sono molto influenzate dalla differenza di retribuzione.

Non a caso, nelle organizzazioni aziendali gli stipendi non sono resi pubblici.

Se doveste essere un imprenditore alle prese con una decisione di assunzione per migliorare qualità e produttività della squadra dei dipendenti, quindi, pensateci più di una volta.

Più che chiedere aiuto, forse varrebbe la pena di chiedere a Yuto.

TAG: calcio, disuguaglianze, Equità, Jobs Act, Lavoro, Serie A
CAT: calcio

2 Commenti

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  1. Andrea Pessina 9 anni fa

    In effetti, per quanto vedo quotidianamente, anche differenze minime di remunerazione influiscono sulle performance. L’appiattimento pressoché totale, però, (alias inquadramenti da CCNL) funziona persino peggio.
    Probabilmente, anche agl’incrementi retributivi si applica la legge dei rendimenti marginali decrescenti.
    E’ un argomento molto complesso e forse senza una risposta univoca.

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  2. Tommaso Leso 9 anni fa

    Affascinante. Sarebbe da riprodurre con altri sport si quali si hanno ancora più dai, come i 4 grandi sport USA.

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