Lettera ai compagni che se ne vanno dal Pd

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20 Febbraio 2017

Cari compagni (scissionisti forse sì forse no, non si sa ancora),

ero certo, certissimo che sarei morto democristiano, ma tutto avrei pensato tranne che morire democristiano potesse essere una mia consapevole e libera scelta. Certo oggi i democristiani non hanno quelle guance soffici da sacrestani e non ti allungano più quelle mani molli che sapevano di profumo di rose o di saponette Palmolive. Oggi hanno pure il pizzo mefistofelico e la barbetta interessante alla Guerini, che pure ci prova a rinnovare il look sperando che io ci caschi e non lo riconosca come democristiano a mille carati. Le donne neo-democristiane, poi,  sono anche avvenenti e lady like,  esibiscono un bel vitino di vespa e  non sono  più quelle madri badasse di una volta.

Ma adesso ditemi cari compagni perché dovrei seguirvi?  Giovane FGCI qual ero quando Pasolini poneva il suo sguardo benevolo su di noi profetando che eravamo la speranza d’Italia e quando segretario dei giovani comunisti  era l’anziano vigneron Massimo D’Alema, cosa dovrei fare se alla mia sinistra, oggi, alcuni vecchi najoni della politica hanno cominciato a pasticciare come nemmeno Stanlio e Ollio a Honolulu Baby in compagnia di Emiliano, uno che dalle sue parti chiamano  “cazzaro” dice Peppino Caldarola che adesso sta dalla vostra parte, ma che sornionamente non ricorda di averlo visto iscritto al Pci come lui Emiliano sostiene, perché « se uno così massiccio si fosse iscritto al Pci di Bari me lo ricorderei»?

Rimarrò col gruppone perché da vecchio compagno di strada sono contrario al frazionismo, all’estremismo, all’opportunismo e all’avventurismo. Il vostro è poi da sprovveduti. Finire con Fratoianni, un comunista bello e impossibile,  che già ha tentato di mettervi  il cappio al collo chiedendovi di votare contro il governo Gentiloni (e dunque di fare il gioco del  Calandrino fiorentino che non chiede altro…) O finire come il caro compagno Mussi…L’ho visto in una foto di SI (Sinistra Italiana) a Rimini – il volto buono e congestionato del funzionario di partito con cui nei perduti ’70 feci qualche riunione di cellula universitaria – in prima fila nel gruppetto ex SEL, partitino consegnato con  unanime congresso di vecchio rito antico e accettato a Fratojanni dal Majakovskij di Terlizzi, quello che ridacchiava al telefono con il tirapiedi del padrone all’indirizzo  di un povero cronista che non faceva altro che il suo mestiere… e ho avuto un moto di tristezza. Come se n’è andata per sempre la nostra giovinezza! Ahi i perduti anni!

Ma ditemi, cari compagni, il vecchio centralismo democratico cosa avrebbe fatto di un Emiliano che organizza una campagna elettorale referendaria contro il suo segretario? Non l’avrebbe mandato a forza e di corsa a dirigere la sezione di Carbonia o di Polizzi Generosa? E ditemi anche: a cosa s’è ridotta la scaltrezza politica d’antan, nutrita di senso della “fase” e di ferree e studiate linee d’azione, oltre che di obbedienza cieca al segretario,  di un gruppo di compagni che hanno mangiato pane e politica fin da quando avevano i calzoni corti e che si sono fatti soggiogare dal miraggio di un pugno di poltrone (ops seggi)  non per tutti se  andrà bene? Ma voi dite: Renzi ci avrebbe fatti fuori e con il proporzionale si tornerà a trattare col Pd a testa alta e non a occhi bassi e cappello in mano.  Vorreste dire allora che,  siccome siete cresciuti nei fasti della Prima Repubblica, a quella vorreste tornare, quando i voti si pesavano e non si contavano? E come Ghino di Tacco che tanto odiavate, adesso vorreste fare proprio come lui? Saltare addosso di notte al governo e iugularlo se non vi confanfera più? E ci avete fatto fare tutto questo giro per tornare alla Prima Repubblica? A Mariano Rumor e Pietro Longo?

E poi: ma come? Criticate il fiorentino Calandrino perché non ha curato il partito, questa roba tardo novecentesca, e poi come dice il Leader Maximo proponete di non  chiamarvi più “partito” ma “movimento”? Forse anche MoVimento?  Il Movimento del “ConSenso”. Trasecolo. Possibile? Ma s’è visto mai un più sconclusionato “contrordine compagni” di questo? E cosa sarà questo consenso? È forse quel buon senso che se ne sta nascosto per paura del senso comune come avvisava don Lisander? Ma siete sicuri di averne di Buon Senso con il ConSenso?  Dite che non è questione di poltrone, che siete degli idealisti, seppur parodici, cioè con il taaaac incorporato della battuta sardonica visto che vi siete chiamati ridacchiando  “Rivoluzione socialista”, ossia una crasi tra rivoluzione (che è stata sempre bolscevica) e tradizione socialista (che è stata sempre riformista). In Italia, fin dai tempi di Turati, la rivoluzione i socialisti non l’hanno mai voluta fare. E voi li chiamavate infatti socialfascisti proprio per questo. I socialisti riformisti volevano leggi sulle risaie per lenire il lavoro atroce delle mondine, non l’abolizione delle risaie. La rivoluzione saltava fuori tuttalpiù dall’exacerbatio cerebri di qualche intellettuale fuori di cranio come Bordiga o di vuoti retori  come  Bombacci (quello finito a testa in giù a Piazzale Loreto e che teorizzò addirittura i soviet in Italia) o il lost  in translation tra il russo e l’italiano Giacinto Menotti Serrati

Voi dite che sareste quelli veri, “quelli di sinistra”? Chi? Quelli che hanno votato massicci e compatti il fiscal compact, i voucher, il pareggio di bilancio in costituzione  e la legge Fornero sostenendo responsabilmente il governo Monti? Ma c’era l’emergenza economica dite. Eh sì, perché adesso stiamo meglio? L’emergenza non c’è più? O forse siete realisti a intermittenza? O quando siete al governo? Mentre spingete il pedale sui “bisogni” quando vi accingete ad andare all’opposizione? Forse ritenete che il vostro realismo politico sia puro erotismo e quello degli altri pornografia?

Dite  che il Calandrino di Firenze  le ha sbagliate tutte. E citate il lavoro e la scuola. Il lavoro? Ebbene secondo Maurizio Ferrera del “Corriere” –  lo so giornale borghese e scherano  del bieco Marchionne-  è la migliore riforma degli ultimi 25 anni  quella di Taddei Co., seppur orribilmente chiamata “Jobs act” (quella sì una boiata pazzesca linguistica). Ma voi lo ricordate o no che fino a qualche decennio fa le riforme del lavoro in Italia non si potevano fare? Che fucilavano alla schiena i giuslavoristi non appena ci provavano? O voi preferite quella del “pacchetto Treu” (L. 24 giugno 1997, n. 196), votata da un governo “di sinistra”, da voi, pacchetto che nel disperato tentativo di “creare” il lavoro inventò quello interinale e occasionale (il macJob venne chiamato all’estero),  i Co-co-co e i Co-co-pro, ma che venne votato, certamente con realismo e con le migliori intenzioni,  di corsa,  perché piaceva tanto ai sindacalisti che già c’avevano pronte le agenzie interinali nei cassetti e si inventarono dall’oggi al domani imprenditori del collocamento e del precariato mettendosi in proprio e diventando alcuni di loro straordinariamente ricchi?! E poi: come si può “creare” lavoro se non favorendo e incentivando l’imprenditoria? O non punendola? O forse pensate ancora che debba essere il lavoro a dettare legge al capitale? Prevedendo magari in subordine il salario come variabile indipendente? E infine: chi perora di più per il lavoro? Chi dall’alto di un castelletto di tessere di pensionati conduce una sorda guerra contro il truce Padrone facendo la voce grossa su un articolo 18 già cassato in buona parte dal precedente governo amico Monti, e magari sbigliettando, da sindacato datore di lavoro, corposi blocchetti di voucher? O chi alla fine procura 1800 posti di lavoro nella fabbrica rimessa in sesto?

La scuola, dite? Eccome no, e chi non sbaglia! Il riformismo a differenza delle belle  rivoluzioni, dove non si fa che spostare il peso da una spalla all’altra, è un duro e triste lavoro. Sono allievo del Gattopardo e so senza citare autori ignoti ai più, che nelle rivoluzioni “tutto cambia perché tutto resti così com’è” ( nient’altro che Plus ça change, plus c’est la même chose di Alphonse Karr, redattore della rivista , “Les Guêpes”, ossia “Le Vespe”), so, dicevo, che il riformismo è “tentativi ed errori”. . E questo della scuola è stato un errore clamoroso, forse, visto l’inferno che ne è scaturito. Ma non bisognava almeno provarci? Dopo quarant’anni di caos, di concorsi non fatti, di ope legis perenni e sanatorie manovrate, di sgoverno della scuola; tentare non si doveva di mettere un po’ d’ordine? O forse la scuola è come l’URSS (ops!) che se tenti di riformarla viene giù tutto?

E l’ultimo governo prima di questo (che ne è la fotocopia) da voi ritenuto non adeguatamente “di sinistra” o forse biecamente di destra, è o non è quello che ha votato la legge sul caporalato, sulle unioni civili, sul “dopo di noi” e che ha avuto l’improntitudine di cacciare un sacco di quattrini per recuperare la carcassa di una nave piena di immigrati annegati? O che ha avuto l’impudenza di varare una riforma costituzionale fortemente voluta dal compagno Napolitano con la supervisione tacita della compagna Finocchiaro  e sostenuta dal miglior giurista amministrativista su piazza come  Sabino Cassese, ma non da voi che già vi preparavate alla spallata ? Non le chiamavano una volta “riforme di struttura”?

Addio compagni, addio, come il Migliore singhiozzerò “la sinistra se n’è ghiuta e soli ci ha lasciati”. Non appena mi sarò liberato dalla vostra stretta, correrò ad abbracciare, faute de mieux, il primo democristiano che mi capiti a tiro, toh il Calandrino di Firenze, che non mi piace per niente, che non so se voterò ancora ma che ha il vantaggio di essere vitale e mercuriale, un po’ fanfarone e loffio, sicuramente con  le idee non tutte chiare in testa e una cultura da quiz televisivo, ma pieno di energia, cattivo,  diabolico e feroce, e con la “cazzimma” come ebbe a dire ancora Peppino Caldarola che lo appoggiò all’inizio per poi disamorarsene strada facendo, uno col machiavellico esprit florentin in corpo,  che tende trappole ai nemici ma soprattutto agli amici, al solo scopo di agguantare il potere, sì il potere che voi certo non disprezzate in quanto  allievi del “nuovo Principe”,  il partito, che adesso volete chiamare ahinoi  movimento. Chi meglio di voi sa infatti  che la conquista del potere è soggettivamente l’anima della politica, quella conquista del  potere che tende trappole per afferrarlo come il mantello fuggitivo della storia (ché tale era la politica per Otto von Bismarck)  e che è l’unico mezzo per portare a compimento i propri indirizzi politici e che un giorno indusse qualche giovane comunista tra voi a “correggere la storia” e a rottamare un latinista infartuato, il vecchio “Capannelle”,  diventato per sbaglio segretario  del più grande partito comunista d’occidente…

TAG: scissione partito democratico
CAT: Partiti e politici

11 Commenti

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  1. silvia-bianchi 7 anni fa

    che tristezza, santo cielo

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  2. luciano 7 anni fa

    Partendo da una posizione diametralmente opposta a quella dell’autore, condivido il suo giudizio severo sui personaggi della “Ditta” che si accingono, forse (finché non lo vedo non ci credo), alla scissione.
    Negli anni passati hanno fatto tutti gli errori possibili ed hanno trangugiato tutti i rospi immaginabili, rendendosi ridicoli con i loro penultimatum. Hanno addirittura inaugurato un nuovo genere letterario surreale, che consiste nel paventare cose già avvenute, nel lanciare caveat a proposito di disastri che si erano già consumati.
    E non è neppure chiaro cosa li abbia spinti a subire così a lungo così umilianti adattamenti: la vecchia disciplina comunista ? l’ancor più vecchio “tengo famiglia” ? o proprio non capivano l’irreversibilità di alcuni passaggi ?
    Eppure glielo spiegammo, dieci e più anni fa, che facendo nascere un partito senz’anima e retto da meccanismi plebiscitari si creavano le premesse per approdare a quella subalternità culturale che puntualmente si è determinata.
    Detto tutto questo, a me pare che il dibattito di questi giorni ruoti, tanto per cambiare, attorno alla domanda sbagliata: “perché fanno la scissione?”
    La domanda corretta dovrebbe essere quest’altra: “perché hanno atteso tanto ? come facevano a rimanere insieme ?” Molti sembrano non distinguere più un partito da una società commerciale. Non è che si sta insieme per vincere o per non far vincere gli altri; quello semmai può essere lo scopo di un’alleanza. Si sta in uno stesso partito (che, forse è bene rinfrescare l’etimologia, significa parte, segmento, porzione …) se si è uniti da: a) un certo grado di adesione ad un profilo identitario, cioè ad una ancorché minima, visione del mondo; b) un certo grado di condivisione di alcune fondamentali priorità programmatiche; c) un livello accettabile di stima e fiducia nei confronti del gruppo dirigente.
    Nessun osservatore obiettivo potrebbe negare che nel caso di specie tutte e tre queste condizioni non vi sono più, e da tempo. Mi limito ad un esempio. Se uno pensa, come l’autore dell’articolo, che la “grande riforma” renziana fosse una positiva “riforma di struttura” ed un’altro pensa, come il sottoscritto, che quell’abominevole pasticcio unito all’incostituzionale legge elettorale producesse esiti eversivi, potranno magari allearsi alla bisogna sulla base di patti chiari, ma non staranno in uno stesso partito.
    Basta il buon senso per riconoscerlo.

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  3. alexiej 7 anni fa

    Il grave errore tuo e degli altri è che in un grande partito si hanno posizioni che vanno da un moderato “quasi” centrismo ad una sinistra che può essere “quasi” radicale.
    Questo insegnano i partiti di sinistra occidentali, laddove non seguono il triste esempio italiano di dilaniarsi tra loro e di separarsi in frammentazioni spesso inconsistenti e irrilevanti.
    Così insegna l’Inghilterra, così la Germania, per citare le due nazioni più grandi e più forti economicamente (ancorchè l’Inghilterra sia ora nella tormenta della Brexit).
    Ci sono spazi e argomenti, motivi e soluzioni su cui trovare una linea comune e di compromesso di governo, se si ipotizza di potersi incontrare in un’alleanza di governo. Altrimenti il discorso non va fatto come lo hai fatto tu e come, in parte, lo vanno facendo gli scissionisti del PD.
    Più estremamente coerente diventa, di contro, la posizione (a mio avviso folle) di Frantoianni e C..

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  4. alexiej 7 anni fa

    Il grave errore tuo e degli altri è che in un grande partito si hanno posizioni che vanno da un moderato “quasi” centrismo ad una sinistra che può essere “quasi” radicale.
    Questo insegnano i partiti di sinistra occidentali, laddove non seguono il triste esempio italiano di dilaniarsi tra loro e di separarsi in frammentazioni spesso inconsistenti e irrilevanti.
    Così insegna l’Inghilterra, così la Germania, per citare le due nazioni più grandi e più forti economicamente (ancorchè l’Inghilterra sia ora nella tormenta della Brexit).
    Ci sono spazi e argomenti, motivi e soluzioni su cui trovare una linea comune e di compromesso di governo, se si ipotizza di potersi incontrare in un’alleanza di governo. Altrimenti il discorso non va fatto come lo hai fatto tu e come, in parte, lo vanno facendo gli scissionisti del PD.
    Più estremamente coerente diventa, di contro, la posizione (a mio avviso folle) di Frantoianni e C..

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  5. alexiej 7 anni fa

    Il grave errore tuo e degli altri è che in un grande partito si hanno posizioni che vanno da un moderato “quasi” centrismo ad una sinistra che può essere “quasi” radicale.
    Questo insegnano i partiti di sinistra occidentali, laddove non seguono il triste esempio italiano di dilaniarsi tra loro e di separarsi in frammentazioni spesso inconsistenti e irrilevanti.
    Così insegna l’Inghilterra, così la Germania, per citare le due nazioni più grandi e più forti economicamente (ancorchè l’Inghilterra sia ora nella tormenta della Brexit).
    Ci sono spazi e argomenti, motivi e soluzioni su cui trovare una linea comune e di compromesso di governo, se si ipotizza di potersi incontrare in un’alleanza di governo. Altrimenti il discorso non va fatto come lo hai fatto tu e come, in parte, lo vanno facendo gli scissionisti del PD.
    Più estremamente coerente diventa, di contro, la posizione (a mio avviso folle) di Frantoianni e C..

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  6. alexiej 7 anni fa

    Il grave errore tuo e degli altri è che in un grande partito si hanno posizioni che vanno da un moderato “quasi” centrismo ad una sinistra che può essere “quasi” radicale.
    Questo insegnano i partiti di sinistra occidentali, laddove non seguono il triste esempio italiano di dilaniarsi tra loro e di separarsi in frammentazioni spesso inconsistenti e irrilevanti.
    Così insegna l’Inghilterra, così la Germania, per citare le due nazioni più grandi e più forti economicamente (ancorchè l’Inghilterra sia ora nella tormenta della Brexit).
    Ci sono spazi e argomenti, motivi e soluzioni su cui trovare una linea comune e di compromesso di governo, se si ipotizza di potersi incontrare in un’alleanza di governo. Altrimenti il discorso non va fatto come lo hai fatto tu e come, in parte, lo vanno facendo gli scissionisti del PD.
    Più estremamente coerente diventa, di contro, la posizione (a mio avviso folle) di Frantoianni e C..

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  7. alexiej 7 anni fa

    Il grave errore tuo e degli altri è che in un grande partito si hanno posizioni che vanno da un moderato “quasi” centrismo ad una sinistra che può essere “quasi” radicale.
    Questo insegnano i partiti di sinistra occidentali, laddove non seguono il triste esempio italiano di dilaniarsi tra loro e di separarsi in frammentazioni spesso inconsistenti e irrilevanti.
    Così insegna l’Inghilterra, così la Germania, per citare le due nazioni più grandi e più forti economicamente (ancorchè l’Inghilterra sia ora nella tormenta della Brexit).
    Ci sono spazi e argomenti, motivi e soluzioni su cui trovare una linea comune e di compromesso di governo, se si ipotizza di potersi incontrare in un’alleanza di governo. Altrimenti il discorso non va fatto come lo hai fatto tu e come, in parte, lo vanno facendo gli scissionisti del PD.
    Più estremamente coerente diventa, di contro, la posizione (a mio avviso folle) di Frantoianni e C..

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  8. alfio.squillaci 7 anni fa

    In Italia non è mai stato così, nei fatti ci sono state sempre DUE sinistre, una moderata e riformista DENTRO il sistema produttivo e DENTRO le forma democratiche (Turati, un nome per tutti) e una rivoluzionaria e sempre insoddisfatta che rifiuta frontalmente il capitalismo inseguendo apertamente o tacitamente altri modelli produttivi (e conseguenti assetti sociali). Queste due sinistra non hanno mai convissuto assieme se non dal 1893 fino al 1918 (congresso di Bologna del Partito socialista) che sancisce la prevalenza della corrente che allora si chiamava massimalista. Basta dare una scorsa alla storia della sinistra italiana, da quando smette di essere una tendenza e diventa un’organizzazione strutturata (partito). Le scissioni (Bologna 1918, Livorno 1921, Palazzo Barberini 1947 e taccio tutte quelle alla sinistra del Pci negli anni ’68 – 91) avvengono sempre lungo questo crinale. Una proposta conciliativa con il sistema (detta riformismo) una ostilità espressa o tacita contro il capitalismo, oggi chiamato ellitticamente “neoliberismo”. Questo nonostante i fallimenti storici, epocali, dei socialismi reali. Non si parla più di rivoluzione è vero, ma la sottostante traccia mentale è l’idea che sia il lavoro a dettare legge al capitale. In più si aggiunga una vasta e indistinta ostilità all’Occidente in quanto tale, una insoddisfazione general generica contro questo modo di vivere che si manifesta come vago e perenne “sogno di una cosa”. Io sto per la realtà. Una normativa ISEE giusta, come quella introdotta dal governo Prodi e perfezionata dal governo Renzi, vale nel nostro sistema in termini di giustizia sociale, di accesso al welfare, di lotta contro i “furbi” connazionali, ecc quanto una presa del palazzo d’inverno. Inseguendo i programmi massimi si perdono di vista i programmi minimi, si rinvia ogni modifica del reale in attesa della palingenesi e si manifesta la maggior ostilità de facto verso i ceti che a parole si pretende di voler tutelare politicamente. Basta studiare con attenzione la storia della sinistra italiana e si vedrà che sono stati i riformisti e non i massimalisti a recare maggior vantaggio alla “classe la più numerosa e la più povera” (Saint-Simon).

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  9. luciano 7 anni fa

    Sono socialdemocratico, turatiano, saragattiano, rosselliano da quando avevo 14 anni. Ne ho 58 e non ho mai cambiato idea (sì, lo so, sono i cretini …). La mia era derisa come un’eresia di destra, adesso è diventata un’eresia di sinistra perché il grosso dei comunisti si è convertito ad una specie di sgangherata idolatria mercatista. Sbagliavano prima e sbagliano anche adesso. Non è che il “sistema” o lo distruggi o lo abbracci. Esiste un’alternativa, un pensiero critico; ed esiste un ruolo per una sinistra che non scambia la rassegnazione per realismo. Sanders, Corbyn, Hamon, lo stesso Schulz lo stanno dimostrando. Quanto al PD, tornando al tema, i fatti sono lì da vedere. Era un’americanata. Non ha funzionato. In Europa i partiti sono identitari, anche se possono attraversare periodi di annacquamento. Il PD non ha nulla a che vedere con il Labour o con la SPD. Quelli perfino con Blair e con Schroder hanno sempre avuto un’anima; il PD non l’ha avuta mai.

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  10. alfio.squillaci 7 anni fa

    E dunque hanno ragione coloro che inseguono il “sogno di una cosa”? Il Pd con tutti i suoi mostruosi difetti resta l’ultima diga alla marea montante di onde anomale. Siamo in pieno Diciannove e Weimar, occhio….

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