Sei domande al Ministro Minniti sul decreto legge sulla sicurezza urbana

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22 Marzo 2017

Prima domanda: avete valutato quanto fatto ad oggi nell’ambito della sicurezza urbana e se lo avete fatto in che modo il decreto considera gli esiti di questa valutazione?

E stata fatta una qualche valutazione del ventennio abbondante di “operazioni strade sicure”, “pacchetti sicurezza” e degli altri N interventi legislativi che nella seconda repubblica – Ministri Scajola, Amato, Maroni, Alfano – hanno perseguito l’obiettivo di una maggiore “sicurezza urbana”? Lo chiedo perché parrebbe proprio di no visto che lo strumentario, ulteriormente peggiorato, sembra sempre lo stesso. Senza una valutazione di questo tipo, qualsiasi nuova iniziativa legislativa é davvero il frutto delle ansie del legislatore più che di quelle dell’opinione pubblica. E l’uso del decreto, da questo punto di vista, pare particolarmente pernicioso: necessità e urgenza senza neanche una valutazione del pregresso?

Seconda domanda: di quali programmi e finanziamenti possono godere le politiche di sicurezza integrata di cui si parla nel decreto? Si può avere qualche informazioni riguardo alle procedure e i finanziamenti che saranno poste in essere per le politiche dette di “sicurezza integrata” – con vari riferimenti alle politiche sociali e contro la povertà – che assorbono tanta parte del testo senza però nessun riferimento concreto? Potrebbe sorgere il dubbio, se fossimo maliziosi, che si tratti di meri dispositivi retorici posti a dissimulare la vera sostanza del provvedimento, che risiede nell’istituto dell’ordine di allontanamento. E più nello specifico si può davvero anche solo immaginare che queste misure siano introdotte, come recita il testo, senza alcun aggravio finanziario e organizzativo?

Terza domanda: l’ordine di allontanamento sarà utilizzato anche per automobilisti che parcheggiano in sosta vietata sugli spazi pubblici, ristoratori che li invadono illegalmente con sedie e tavolini e amministratori pubblici non in grado di gestire e manutenere gli spazi pubblici?

Fra gli obiettivi del decreto sta la rimozione di fenomeni che impediscono una “libera fruizione degli spazi pubblici” che, come noto, nel nostro paese – penso al caso di Roma – riguardano soprattutto fenomeni molto diffusi di non rispetto delle regole fondamentali di convivenza – la sosta vietata di massa, ad esempio, che impedisce la “libera fruizione degli spazi pubblici” ben più di qualsiasi presenza umana – e di caduta verticale nei livelli di manutenzione del territorio urbano – dovuti alla riduzione dei trasferimenti ai comuni, a processi disordinati di esternalizzazione e all’impoverimento grave degli organici delle amministrazioni. Cosa prevede a questo riguardo il decreto? Anche i dirigenti pubblici “responsabili” della non attuazione degli interventi routinari di manutenzione e le centinaia di migliaia di automobilisti che praticano, con livelli inauditi di recidiva, la sosta vietata su piazze e isole pedonali riceveranno un “ordine di allontanamento”? Nella prospettiva di chi scrive sarebbe pura retorica prevederlo anche per loro, quindi non si dica che la fruibilità degli spazi pubblici é l’obiettivo del decreto perché semplicemente non é sostenibile. La cultura dello spazio pubblico e le condizioni sociali per la sua fruibilità  sono un problema largamente sottovalutato nella “sinistra” ma non per le ragioni addotte dal Ministro, direi per quelle opposte.

Quarta domanda: come può un provvedimento fondato sul concetto ottocentesco di “decoro” rivendicare il suo carattere di sinistra su un tema – lo spazio pubblico – che nel mondo é oggetto di politiche molto avanzate e innovative e di orientamento completamente opposto?
Il ministro ha rivendicato il carattere di “sinistra” del provvedimento. Stupisce che abbia avvertito questo bisogno che non é un requisito dell’azione pubblica di per sé, quindi – ad essere ancora maliziosi – verrebbe da pensare che l’ha detto perché é vero il contrario (excusatio non petita….). Difficile sostenere tale affermazione di fronte a un provvedimento che declina il tema dello “spazio pubblico” urbano usando il lessico de “decoro”, categoria che sarebbe invisa anche a un moderatissimo liberale.
Lo spazio pubblico, in una prospettiva democratica, é spazio in cui si esercitano dei diritti e legittimamente anche doveri che sono relativi per l’appunto alla garanzia dell’utilizzabilità pubblica di quegli spazi da parte di altri, direi specie i più deboli (bambini e disabili, ad esempio) ed é anche, inevitabilmente, il contesto entro il quale si manifestano i disequilibri di società aperte ma inique come le nostre. Pensare che si possano trattare i diritti delle persone, la loro capacità di praticare livelli elevati di utilizzo e rispetto degli spazi pubblici e la presenza di fenomeni sociali – che in gran parte sono l’esito della nostra incapacità di realizzare politiche, si pensi all’abitare, del tutto ordinarie – con gli “ordini di allontanamento” rappresenta una riduzione velleitaria di un complesso multi-dimensione di problemi che é da collocare inequivocabilmente nel repertorio della destra conservatrice (cosa legittima, meno accettabile é fingere il contrario). Nelle città avanzate, non necessariamente amministrate dalla sinistra, il tema dello spazio pubblico é un tema di politiche trasversale che vede la percezione di sicurezza come il sottoprodotto ultimo di una serie di politiche che non recano quell’oggetto nel titolo (questo lo sottolineo perché il Partito del Ministro sostiene di essere il partito dell’ “innovazione”: ecco un bel terreno sul quale sperimentarsi).

Quinta domanda: cosa ci garantisce che le ordinanze di allontanamento non contribuiscano ad alimentare un’inquietante area grigia di (s)regolazione della presenza sul territorio di determinate popolazioni spesso vulnerabili? 

L’Associazione Antigone ha già sottolineato e documentato gli aspetti critici che riguardano la compatibilità fra il testo e la protezione di diritti fondamentali e l’estendersi di un’area grigia fra provvedimenti amministrativi e giustizia penale che include componenti sempre più ampie della nostra popolazione urbana (concordo e sottoscrivo: questo é il motivo principale, quello etico, per essere contrari al decreto). Io da non esperto rivolgo questi quesiti al Ministro: cosa succede allo scadere dell’ordine di allontanamento? Come si verificherà l’esecuzione dell’ordine di allontanamento e infine come é possibile di nuovo che l’esecuzione di queste procedure non comporti aggravi in termini finanziari e soprattutto organizzativi? Questo ordine non configura un vulnus al diritto costituzionale alla libera circolazione sul territorio nazionale creando un’inquietante area grigia di discrezionalità amministrativa riguardo le libertà personali? E non si rischia semplicemente di allontanare problemi da un territorio all’altro e segnatamente di allontanarli verso territori già problematici, territori che di frequente sono utilizzati retoricamente per giustificare questi interventi? E come si giustifica il ricorso a questo istituto anziché agli istituti del diritto penale (se sono ben informato, lo spaccio di sostanze é un reato: a che serve l’ordine di allontanamento, allora?)? Insomma, il rischio che si tratti di pura retorica che da una parte sortirà sicuramente un peggioramento delle condizioni di vita per qualche soggetto già in difficoltà la cui presenza sarà ritenuta “indecorosa” e dall’altra uno scivolamento di problemi dalle aree forti alle aree deboli é molto, molto elevato.

Sesta domanda: come si può sostenere di essere i sostenitori delle ragioni della responsabilità contro il “populismo” introducendo  strumenti così discrezionali nelle mani di politici locali alla ricerca disperata di consenso e legittimità?
Un’ultima domanda riguarda l’etica della responsabilità: come si può, nell’attuale congiuntura politica, pensare sia minimamente sostenibile riservare poteri così pericolosamente discrezionali a una classe politica anche locale in affannosa ricerca di legittimità? Come si può pensare di affermare di essere un baluardo contro il “populismo” e contestualmente affidare ai sindaci la possibilità di prevedere ordini di allontanamento per presenze “indecorose” costuituendo una nuova concreta possibilità per il protagonismo mediatico di sindaci (la Lega é infatti soddisfatta del decreto) e amministrazioni di estrema destra? Il ministro dice: “non é contro i clochard”. Ma come possiamo esserne certi: temo in nessuno modo, se il ministero degli interni non é in grado di fare una valutazione di vent’anni di politiche sulla “sicurezza”, improbabile che sia in grado di istituire un ufficio che monitori contenuto e forme delle ordinanze.

Queste domande fanno sospettare che il decreto, nonostante i suoi dispositivi retorici, sia l’ennesimo epifenomeno di un approccio conservatore ormai ventennale alla questione della “sicurezza urbana”, un approccio che persegue la sua stessa inefficacia per poter giustificare poi ulteriori illusori “giri di vite”. L’unica efficacia risiede nel facilitare la carriera di qualche imprenditore politico locale della paura e nel farci dimenticare l’assenza e inefficacia di una serie infinita di politiche “ordinarie” che non siamo in grado di realizzare e che arrivano poi a valle nei termini di problemi di “decoro”. Nella forma, appunto, di un’etichetta facile da utilizzare per un provvedimento che, per l’appunto, non prevede “nessuno aggravio finanziario e organizzativo”.

Insomma, in bocca al lupo.

TAG: città, decreto sicurezza, Spazio pubblico
CAT: Governo

Un commento

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  1. sergiobissi 7 anni fa

    la ringrazio di questo ulteriore contributo rispetto al decreto. solo un dubbio. non è che non sanno quello che fanno? che non si rendono nemmeno conto delle ripercussioni di certe decisioni? che rincorrendo i sentiment pensano di aderirvi con iniziative che anche a loro suonan vacue ma di cui si riempiono la bocca? ho come il terrore che dopo le critiche di alto livello, come la sua, che sono piombate su quelle quattro facciate di protocollo scritte di fretta … se potessero tornerebbero indietro. insomma una arroganza mista a superficialità che fa davvero paura. anche perché a parte qualche sindaco fanatico non credo che il decreto (almeno me lo auguro) sarà applicato in modo massiccio: c’è sempre il pericolo che qualche avvocato/giudice serio. ma la sostanza che esprime, da paura, è davvero il segno di questo periodo, di questa gente: il ‘fare’ per loro è questo, è dire di fare, dire di essere, dire di innovare. senza cambiare, senza guardare lontano, senza prospettive di lungo periodo. io ne sento il bisogno. a 54 anni avrei voglia di sognare ancora. un sogno collettivo però, non quello che ho da sempre nel cassetto. grazie ancora. buon lavoro

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