Il Ponte di Luciano a Barbiana

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25 Giugno 2017

La colpa dei padri dunque non è solo la violenza del potere, il fascismo. Ma essa è anche: primo, la rimozione della coscienza, da parte di noi antifascisti, del vecchio fascismo, l’esserci comodamente liberati della nostra profonda intimità con esso (l’aver considerato i fascisti “i nostri fratelli cretini”…) secondo, e soprattutto, l’accettazione – tanto più colpevole quanto più inconsapevole – della violenza degradante e dei veri, immensi genocidi del nuovo fascismo”
Pier Paolo Pasolini

“- Beauty is truth, truth beauty – that is all

Ye know on earth, and all ye need to know”.

“-Bellezza è verità, verità bellezza- Questo è tutto

quello che sappiamo su questa terra, e tutto quello che ci serve sapere.”
John Keats

 

Un fascista (ma uno di quelli à la mode, con la messa in piega, un filino di rimmel e quantità industriali di gel e lucido da scarpe nei capelli, uno di quelli, insomma, che ormai il saluto romano se lo fa da solo in bagno, davanti allo specchio e con la porta ben chiusa a chiave) ha manganellato giorni fa Don Lorenzo Milani.

Dopo avere già definito elegantemente la sua scuola “Il soviet dell’ignoranza” oggi definisce lui “Un cattivo maestro” contrapponendolo tra le righe a quell’ottimo maestro che sarebbe stato invece Giovanni Gentile.

Col mignolino alzato, come usa oggi, gli ha insomma somministrato l’olio di ricino.

I suoi predecessori si sarebbero mossi in manipolo, agitando i ferri del mestiere, inneggiando canti patriottici sul predellino e sputazzando per aria; lui ha operato senza neppure muoversi da una di quelle emittenti di volgarità preconfezionate, di proprietà privatissima ma profumatamente finanziate dallo Stato, che qui da noi si usa definire eufemisticamente “giornali” (solo per non dimenticare: Libero, 25.09.08, pag. 16-17, a fianco, foto grande a mezza pagina di Pierino-Alvaro Vitali che alluzza le tette della professora di anatomia linguistica, o linguistica anatomica, e titolone rosso in apertura: “La scuola dei somari”, tra i commenti in piccolo “La maestra unica non piace al comunista ma fa impazzire il bullo Pierino”; il trionfo dello “esprit de finesse”, ma anche di quello “de géométrie”, ciò che, insomma, ci si può e deve aspettare da quei country-gentlemen che ne sono direttore e redattori).

E’ il progresso: il vecchio fascista correva, il nuovo fa correre la palla.

Questo lascerebbe il tempo che trova, visto che non avrebbe dalla sua neppure quel minimo di distanza dal luogo comune indispensabile a far diventare opinioni discutibili delle volgari stronzate.

Cose così, espresse con una prosa da piccolo balilla, in un paese diverso dal nostro, non riuscirebbero, in altre parole, neppure a far vibrare i timpani di chi le ascolta; dalla boccuccia del figlioletto della lupa, evaporerebbero nell’etere come l’alito cattivo lasciando solo un senso vago di disagio nell’ascoltatore. Insomma arriverebbero al cervello attraverso le narici e non attraverso le orecchie e causerebbero perciò le reazioni adeguate ai cattivi odori: pollice e indice al naso, apertura di finestra e corsa all’aria aperta.

Ma purtroppo non siamo in un altro paese; qui ci si è a tal punto abituati a considerare l’alitosi una forma di argomentazione che oramai siamo costretti a far confusione tra il vaporizzatore del deodorante e la penna stilografica.

Finiamo così per rispondere a queste zaffate con i punti e le virgole e, alla fine, siamo sempre noi a pagarla cara: il fascista in questione sarà invitato nei talk show e scriverà articolesse per scendere nei dettagli di questa insulsaggine.

Come risultato, il cattivo odore aumenterà ancora e tra non molto ci toccherà andare in giro con le mascherine.

Quel che m’interessa davvero, invece, è di mettermi al passo coi tempi e tentare un’operazione ecologica di riciclaggio. Oramai sommersi dalla spazzatura montante, potrebbe non essere sbagliato provare a usarla come occasione per recuperare testardamente e con acribia filologica tutto quello che ne è insozzato.

Perciò sono andato a prendere dallo scaffale i due volumi che raccolgono le lettere di don Lorenzo Milani.

Due tra i libri più importanti e commoventi del dopoguerra.

Libri che, se a scuola non si mandassero ancora a memoria i versi di un minus habens psicopatico come D’Annunzio (vate calvo ma precursore di tutti i boccoluti della patria) dovrebbero costituire materia d’esame per studenti e professori (insieme ai versi di Caproni che hanno appena scandalizzato tutti i cretini d’Italia).

Ho riletto questa lettera di Lorenzo, già priore di Barbiana, a sua madre.

“Barbiana 14.10.1960

Cara mamma,

[…] Oggi è arrivato il materiale per il ponte e in mezza giornata s’è fatto, con tutti i ragazzi, un par d’uomini e il muratore del comune. Non ricordo se t’avevo raccontato che avevo chiesto al sindaco di fare un ponte sul torrente per un piccolissimo bambino che viene ogni giorno a scuola da un’ora e mezza di distanza. Il sindaco ha detto subito di sì e non ha messo tempo in mezzo. Il primo giorno che è cessata la pioggia ha mantenuto la promessa. Ha fatto un vero ponte con un’apertura di 6 metri con longarine di ferro tavelloni e cemento e con una spalletta di ferro. Il bambino è felice, ci ha scritto il suo nome nel cemento perché il ponte è nel bosco isolatissimo e non ci passa mai nessun altro che lui…”.

Quel bambino si chiamava Luciano e don Lorenzo lo descrive in questo modo:

“Ho un bambino se voi lo vedeste, piangereste tutti, perché è piccino, uno scricciolo di 11 anni.
Fa un’ora e mezza di strada, solo, per venire a scuola. Viene da lontanissimo, col suo lanternino a petrolio per la notte. Avreste tutti paura a fare la strada che fa lui di notte con la neve”.

Io sono architetto e credo che questa lettera chiami in causa anche me. Ma non solo me, naturalmente. Ci chiama tutti in causa, oggi.

Noi, architetti. Noi, insegnanti. Noi, genitori. Noi figli.

Ci chiama in causa tutti, insomma (escluse, ovviamente, le paperette coi boccoli perché quelle passano sotto i ponti, non sopra, sono impermeabili per via del gel e del lucido da scarpe e, se non bastasse, ci hanno il cervellino foderato d’orbace che, accuratamente, lo protegge dall’intelligenza).

A noi architetti mostra e spiega che cosa è un’opera d’architettura.

Ai genitori e ai figli mostra e spiega che cos’è e come agisce una comunità cosciente di se stessa e una famiglia.

Agli insegnanti mostra e spiega cosa vuol dire essere maestri.

E lo fa senza sprecare un gesto e neppure una parola.

Per questo, a mezzo secolo dalla sua morte, i fascisti odiano ancora Lorenzo Milani e pensano di metterne al rogo il ricordo cospargendolo di gel.

TAG: Don Lorenzo Milani, scuola
CAT: Beni culturali, Media

4 Commenti

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  1. pasquale-hamel 7 anni fa

    Una buona lettura, senza cioè prevenzioni ideologiche, di “Lettera ad una professoressa”, potrebbe essere utile per rendersi conto che il mito Milani ha i piedi di argilla e che, con il rispetto che in ogni caso si deve ai morti, giustamente non può che eesere annoverato fra i cattivi maestri.

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  2. ugo-rosa 7 anni fa

    …ah dimenticavo…non sono solo i fascisti (vecchi e nuovi) ad odiarlo….grazie al cielo lo odiano anche i filistei: quelli delle letture “senza prevenzioni ideologiche” e del “rispetto che in ogni caso si deve ai morti”.

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  3. pasquale-hamel 7 anni fa

    E’ molto interessante sul piano del l’analisi questo uso di coppie di categorie facce di una stessa medaglia. Che c’entra, amicocaro, l’odio o l’amore. Qui si tratta di formulare un giudizio sul quale si può essere o meno d’accordo. Quella lettera bisogna leggerla per restare inorriditi perle estremizzazioni, per l’uso di termini come “finocchio” esercito. Una visione laica,lo dico da radicale,è l’opposto di quanto si esprime in un documento, mi rigetisco sempre alla lettera, carico di ideologismi e in fu dei conti banale

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  4. ugo-rosa 7 anni fa

    Le devo dare, amicocaro, una notizia sconvolgente: l’odio e l’amore c’entrano sempre.
    Può usare, se preferisce, dei termini di grado inferiore (simpatia vs antipatia, attrazione vs repulsione, accordo vs disaccordo ecc.) ma quei due vecchi sporcaccioni finiscono sempre per trovare il modo di ficcarsi dentro tutto ciò che si dice e si scrive e di palpeggiarsi a vicenda. Stanno perfino, pensi, dentro ciò che dicono e scrivono i filistei. Anche quando lei si fa il bidè (mi permetta, amicocaro, questa escursione nel personalissimo mondo della sua igiene intima) prova simpatia (tenerezza? affetto? trasporto?) per i suoi coglioni.
    E fa bene. Se non la provasse sarebbero dolori. Amicocaro.
    Ma le spiego perché il suo testo (chiamiamolo così) su la “Lettera a una professoressa” è peggiore di quel che sembra ed è perfino più irritante per la mediocrità linguistica con cui è redatto (che in sé susciterebbe solidarietà e umana simpatia).
    Lo dico, per citarla, “con il rispetto che si deve ai morti”.
    Anche lei, come il professor Tomasin, presume infatti di rileggere la “lettera a una professoressa” senza averla, previamente, letta.
    La sua è una fu-rilettura.
    Una rilettura che nasce defunta.
    E naturalmente lei rilegge male.
    Ma, prima ancora che rileggere male, lei rilegge con l’intenzione (ideologica?) di farlo peggio che può.
    Prendiamo, a puro titolo di esempio, la solita affermazione, banale e falsa nello stesso tempo, per cui “L’obiettivo dichiarato della Lettera era la critica della scuola che bocciava e respingeva”.
    Non posso che rimandarla a ri-rileggere ciò che non ha letto (e che naturalmente continuerà a non leggere) e cito, se mi permette, quello che ho già scritto a proposito di Tomasin, filologo che, come lei, non legge ciò di cui scrive “…bastava aver letto il titolo della seconda parte di quel libro (“Alle superiori bocciate pure, ma…”) per non scrivere questa sciocchezza e bastava aver letto fino a pagina 111 della prima edizione (Firenze, 1967) dove, in un capitolo intitolato addirittura “Selezione doverosa” (!) è scritto: “Il problema (nelle scuole di grado superiore) si presenta tutto diverso da quello della scuola dell’obbligo. Là ognuno ha un diritto profondo di essere fatto uguale. Qui invece si tratta di abilitazioni. Si costruiscono cittadini specializzati al servizio degli altri. Si vogliono sicuri. Per le patenti siate severi. Non vogliamo essere falciati per le strade. Lo stesso per il farmacista, per il medico, per l’ingegnere. Ma non bocciate l’autista perché non sa la matematica…”.
    Tutto qui.
    Anche lei, dunque, proprio come Tomasin, scrive il falso oppure non capisce ciò di cui scrive. Scelga lei.
    Ma continuare a rilevare le banalità, le imprecisioni, le scorrettezze delle sue “citazioni” mi annoia mortalmente: sono, come dicevo, scritte male ma pensate anche peggio.
    Esse derivano però, voglio credere, da una antipatia (chiamiamola così per non usare la parolina “odio” che a quanto pare la fa saltare sulla seggetta) per Lorenzo Milani e per la scuola di Barbiana che deve averle ottenebrato qualsiasi capacità di lettura.
    La capisco, per cui mi fermo qui.
    Amicocaro.
    p.s.
    …mi fermo, naturalmente, se anche lei si ferma. In caso contrario, però, la prego di entrare in comunicazione, almeno, con la tastiera del suo computer. Non perché m’importi qualcosa della sua ortografia ma solo perché pigiare sui tasti giusti può essere perfino d’aiuto per pensare la parole giuste. O almeno per provarci.

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