La sinistra pensa alle coppie gay, di crisi e periferie parla Salvini

18 Dicembre 2014

Non ci sono molti dubbi su quali siano le ragioni che hanno portato la Lega Nord del nuovo corso inaugurato da Matteo Salvini al successo. Certo, le partecipazioni pressoché quotidiane ai talk show aiutano, ma se il Carroccio (almeno stando ai sondaggi) ha conquistato il 12/14% dei consensi – livello mai raggiunto dal duo Bossi & Maroni – non si può pensare che il merito sia tutto della grande attenzione mediatica riservata al segretario leghista.

La Lega Nord, come ormai abbondantemente analizzato, ha fatto tesoro dell’esperienza del Front National in Francia, scavalcando i confini della Padania, dicendo addio al sogno a corrente alternata del secessionismo o del federalismo, abbracciando in toto il progetto “No Euro” e percorrendo con decisione ancora maggiore la strada xenofoba. In un momento in cui una larga fetta degli italiani è alle prese con serissime difficoltà di stampo economico, non c’è uno spazio elettoralmente più valido e più facile da occupare. La grande fortuna di Salvini è stata quella di trovarlo quasi del tutto libero.

D’altra parte la crisi economica continua a mordere, e a pagare le maggiori conseguenze sono i ceti più disagiati. Salvini ha gioco facile a indicare nell’Europa e nelle sue politiche di austerity il bersaglio a cui addossare tutte le colpe. Non solo: nei periodi di crisi economica c’è poco spazio per il solidarismo e a prendere il sopravvento è sempre la paura dell’altro, dello straniero; cosa regoralmente avvenuta. Se a queste questioni decisive ci aggiungiamo il tema delle occupazioni abusive delle case popolari, ecco che il mix incendiario è pronto per essere raccolto da chi ne può trarre un vantaggio elettorale.

Lavoro, immigrazione, case popolari. Sono i tre temi su cui infatti si è focalizzato Matteo Salvini, che ha fatto del No Euro (con tutto quello che ne consegue dal punto di visto economico) la sua bandiera, ha continuato a picchiare sul tasto dell’anti-immigrazione ed è stato tra i primi a parlare dell’emergenza case popolari (invocando l’esercito per sgomberare quelle occupate abusivamente). Guardando alle questioni sulle quali la Lega Nord si è concentrata non stupisce il suo successo, così come non stupisce che oggi nei quartieri popolari di Milano, del centro-nord, ma anche a Roma e nel sud Italia le persone guardino a Salvini. Il segretario della Lega è ormai il punto di riferimento dei ceti disagiati.

La destra, quindi, cavalca la crisi sociale, alimentando i suoi consensi e diventando sempre più estrema proprio per andare incontro alla domanda elettorale che proviene dalle periferie. E la sinistra, l’estrema sinistra, la sinistra radicale, la sinistra alternativa, che fine ha fatto? È ancora in grado di essere percepita come la forza che sta dalla parte del popolo, che ha a cuore i suoi interessi?

“La sinistra radicale difende ormai istanze post-materialiste come ambiente, diritti e stili di vita, più che i problemi quotidiani delle classi disagiate”, spiega Mauro Barisione, professore di Sociologia Politica alla Statale di Milano. “Sui temi della sicurezza e del multiculturalismo la sinistra radicale è percepita come ideologica, inibita, portatrice di un ‘politically correct’ che la condanna all’inazione e all’impotenza”. E così, nel campo della sinistra, l’unico punto di riferimento per i ceti popolari rimane il sindacato che  “sopperisce in parte, facendo politica di difesa del lavoro”.

Non è una sorpresa, visto che nello scontro andato lungamente in scena sull’articolo 18 e sul Jobs Act la voce di Sel non si è quasi udita e quella della minoranza Pd era tanto confusa quanto spaccata in mille distinguo; l’unico a farsi sentire in maniera chiara è stato Maurizio Landini, leader della Fiom. La sinistra radicale sembra aver delegato ad alcuni settori sindacali la sua storica funziona politica; peccato però che questi stessi sindacati abbiano abdicato al ruolo di “cinghia di trasmissione” tra lavoratori e partiti. “Anche perché”, prosegue Barisione, “i partiti tradizionali sono scomparsi e quelli nati dopo Tangentopoli sono costruiti attorno al leader e inseguono consensi socialmente trasversali”.

Il risultato di tutto questo, da un punto di vista elettorale, è deleterio per i partiti della sinistra. La ex classe operaia confida ormai nel sindacato per quanto riguarda il lavoro e guarda alla Lega Nord e agli altri partiti populisti nella speranza che la difenda da quelle che sono le sue paure (in alternativa si rifugia nel non voto). A dare il  voto alla sinistra alternativa non sono rimasti che gli studenti delle università e il mondo socioculturalmente più elevato: insegnanti, accademici e intellettuali. Coloro i quali un tempo disegnavano le linee guida del partito di massa degli operai oggi sono i suoi unici elettori. Da un punto di vista dei consensi, il risultato di questo storico spostamento è evidente: il Pd fa incetta di voti guardando altrove, Sel è il principale partito della sinistra “vera e propria” e naviga tra il 2 il 4%, gli altri non sono pervenuti.

Ma quando è avvenuto tutto questo? Quando e perché i ceti popolari hanno smesso di guardare a sinistra? Un decano della politologia come Giorgio Galli può aiutarci a chiarire il quadro: “La crisi economica, che dura e durerà, ha offerto spazio per una riscoperta dell’anticapitalismo. Allo stesso tempo, la problematica dell’immigrazione prodotta dalla globalizzazione capitalistica non è stata affrontata con sufficiente lucidità dalla sinistra, che viene accusata di essere buonista. Un’accusa che ha qualche base: non basta un generico solidarismo con tutti. Nelle periferie si intrecciano molti problemi, le occupazioni abusive hanno come protagonisti anche gli immigrati: il generico buonismo della sinistra non prende in considerazione questi aspetti”.

E se l’anticapitalismo torna di moda, ma è pericolosamente miscelato con situazioni di forte disagio, ecco che si spalancano le porte per l’anticapitalismo di destra: “Un atteggiamento più rozzo, ma più efficace per acquisire consensi. Anche perché il ricordo del fascismo e del nazionalsocialismo è ormai lontano, molto più vicino è il fallimento del modello sovietico a cui alcuni partiti ancora si richiamano”. D’altra parte, quando il “faro” dei ceti popolari era a sinistra, l’ondata migratoria che ha avuto un ruolo così importante nel successo della Lega Nord non era ancora cominciata. Insomma, per metterla in termini un po’ aspri: non è che la classe operaia fosse solidaristica all’epoca del Pci, semplicemente non era ancora entrata in rotta di collisione con il suo partito su questo tema, perché il problema non si poneva.

“Nella difesa dei diritti, la classe operaia pensava a quelli più immediati, non c’era un’ampia visione solidaristica”, prosegue Galli. “Il solidarismo nella classe operaia era meno diffuso di quanto la sinistra pensasse anche prima delle ondate migratorie. Era un’idea troppo ottimistica, che si scontrava con un’autoreferenzialità molto più concreta”.

Da una parte la paura dell’ondata migratoria che allontana i ceti popolari dalla sinistra e dal suo solidarismo, dall’altra la crisi economica che sfocia in un “no-euro” abbracciato con convinzione solo da parte della destra (alcune balzane iniziative di “sinistra anti euro” possono venire archiviate come  maldestri tentativi di inseguire idee altrui); il risultato è che la sinistra rimane senza risposte da offrire a coloro i quali dovrebbero essere, per “statuto”, i suoi refenti: i più deboli.

In un panorama così desolato, non stupisce che oltre al sindacato l’unica sinistra ancora in grado di farsi sentire e, nel suo piccolo, mietere consensi sia quella antagonista, quella dei centri sociali. Che a Milano sono scesi a fianco degli abitanti e degli occupanti abusivi delle case popolari, cercando di impedire quegli sgomberi decisi in un’ottica emergenziale dalla sera alla mattina, senza considerare che in questo modo si sarebbero messe sulla strada intere famiglie.

Mentre dall’alto dei palazzi tutti tuonavano contro gli abusivi (con le loro ragioni), chi nelle periferie ci vive e spesso è parte integrante del tessuto sociale del quartiere riusciva a vedere prima e meglio dei partiti istituzionali i limiti e gli errori dietro la decisione di procedere con gli sgomberi. Questo non vuol dire che i centri sociali, con tutti i loro limiti e contraddizioni, possano rappresentare il futuro della sinistra; ma che magari guardare alla loro azione concreta può aiutare la sinistra a trovare una via d’uscita dal vicolo cieco in cui si è infilata.

Anche perché uno spazio a sinistra c’è. Lo dimostra il successo che in Grecia sta avendo la lista Syriza, capitanata da Alexis Tsipras e data per vincente in caso (probabile) di elezioni anticipate, e il più recente successo di Podemos! in Spagna, movimento di sinistra, ma che ha preso dai Pirati e dal M5S l’attenzione per le possibilità di democrazia diretta offerte da internet. Un partito guidato dal ricercatore universitario Pablo Iglesias che alle Europee, suo primo test elettorale, ha conquistato l’8% e oggi viene dato in fortissima crescita.

Quindi, sì, per la sinistra c’è una possibile uscita dal tunnel. “Ma”, riprende Barisione, “servono gli interpreti giusti e la consapevolezza che, in tempi di crisi economica, la sopravvivenza quotidiana è vista dai ceti popolari come un problema più grande, per esempio, del matrimonio tra copppie omosessuali”. Interpreti giusti come Tsipras e Iglesias: leader giovani attorno ai quali ruota il partito, che sanno usare gli strumenti della comunicazione politica 2.0, che sanno parlare agli elettori di diversi strati sociali e convincerli, che sanno fare proposte concrete, che hanno davvero rinnovato la sinistra radicale. Mentre in Italia, con i flop annunciati di Rivoluzione Civile e Lista Tsipras, non si è fatto altro che appaltare la sinistra a magistrati o a leader di partiti stranieri. Specchietti per le allodole dietro ai quali si sono nascosti una marea di riciclati, vecchi arnesi e intellettuali da gauche caviar che non saprebbero conquistare un voto nemmeno alla bocciofila di Livorno.

Matteo Salvini a lambrate

 

(Dal profilo Facebook di Matteo Salvini, una foto a Lambrate, accompagnata da questo commento: “Mattinata di incontri coi cittadini, i poliziotti e i commercianti di Lambrate, storico quartiere milanese. ROM che rubano, sbandati che pisciano davanti alla scuola e ai negozi, macchine sfasciate, poca illuminazione e pulizia, commercianti minacciati, giardinetti per i bimbi occupati da immigrati, ladri fermati anche per 10 volte e che non finiscono mai in galera. Oggi stesso romperò le scatole al Sindaco perché si dia una mossa!”)

(Foto di copertina di Theodoritsis tratta da Flickr)

TAG: crisi, giorgio galli, Lavoro, matteo salvini, maurizio landini, mauro barisione, sel, sindacato, sinistra, tsipras
CAT: Partiti e politici, Politica

5 Commenti

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  1. tommaso.leso 9 anni fa

    Non per dire, ma in quella foto hanno dovuto stringere il campo perché erano in quattro gatti. A Salvini gli stanno tirando la volata anche i media, non solo le sue idee sulle periferie – perché fa audience, perché sembra l’unico avversario possibile di Renzi (e così lo diventa sempre di più, in un circolo che si autoalimenta).
    Per altro, non vedo perché la sinistra dovrebbe abdicare a fini elettorali uno di quelli che sono valori fondanti, e cioè proprio il solidarismo con tutti. Che è strutturale. Si tratta semmai di capire perché Salvini riesce a ingigantire e peggiorare la xenofobia dei ceti popolari (che purtroppo c’è di suo, per carità) mentre la sinistra non è capace di far crescere un messaggio solidarista. Ma non è che il solidarismo sia un errore della sinistra – è parte integrante della sua identità ideologica.

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  2. andrea.mariuzzo 9 anni fa

    al di là di quanto detto da Tommaso, trovo molto pericolosa l’accettazione acritica di questa contrapposizione tra diritti civili e problemi sociali, come se fossero temi concorrenti, mentre per una cultura riformatrice dovrebbero rappresentare corni dello stesso problema, quello della dignità e di un livello minimo condiviso di benessere che il potere politico deve impegnarsi a garantire a tutti gli individui. Dire che qualcuno fa una cosa per non fare l’altra è sostanzialmente quello che sostiene Salvini, rappresentante, è bene ricordarlo perché ora pare che troppa gente se lo dimentichi, di un movimento politico che TUTTORA presenta una proposta programmatica basata senza mezzi termini e senza infingimenti sull’apartheid (ché la redistribuzione della ricchezza in un gruppo sfruttando il lavoro altrui, mantenuto artificialmente dequalificato, è questo).

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    1. jacopo 9 anni fa

      Sono d’accordo, diritti civili e diritti sociali non sono certo incompatibili, come dicono bene anche Tommaso Leso e marco sarti. Tuttavia, è vero che che la “sinistra-sinistra” italiana sembra aver perduto presa proprio là dove i problemi materiali (strutturali, avrebbe detto marx) sono l’unica emergenza vera o quella ampiamente dominante. dove non c’è il lavoro, dove la casa cade a pezzi, dove i servizi e il welfare non arrivano. Poi, naturalmente, molto dipende da come si parla di cosa: se il tic narrativo sembra subito quello da terrazza-romana o giù di lì la diustanza e la contrapposizione (non necessaria, è vero) tra i due dossier, diventa inevitabile (e ovviamente viene cavalcata)

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      1. tommaso.leso 9 anni fa

        Vero, ovviamente. Se riesco, provo a fare un articoletto di analisi/risposta.

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  3. marcosarti 9 anni fa

    Magari considerare il terreno preparato a Salvini dalla tv e dai giornali con gli allarmi sugli immigrati avrebbe reso il quadro più completo. chi vive nei quartieri con gli immigrati sa che l’emergenza è una bolla, si è solo più poveri di prima e qualche situazione è peggiorata.
    Magari introducendo la descrizione della promozione mediatica di Salvini come unico e funzionale oppositore a Renzi nel meccanismo bipolare, con me o contro di me, avrebbe fornito un quadro più completo. La foto scattata a Lambrate e riguardante il nulla assoluto sarebbe stata scartata da qualunque media serio per “insufficienza di prove”, e invece l’avete riproposta anche qui.
    Magari si potrebbe parlare di quando l’Italia è riuscita ad estendere dei diritti spingendosi più avanti di quanto si potesse suppore, e senza per questo togliere risorse ad altri, come nel caso del divorzio o dell’aborto. Non siamo diventati poveri per quello. I diritti non arrivano per forza con la pancia piena, e tutelare le minoranze è produttivo perché aggiunge senso di comunità e amore per il proprio Paese.
    Magari si poteva osservare come il riconosimento di certi diritti in tutti i Paesi Europei ad esclusione del nostro e della Grecia, non hanno alcuna correlazione con il benessere materiale dei cittadini, in quanto sono spesso a costo zero e in quanto il dibattito politico non è necessariamente monotematico. Tra l’altro, in un Paese dove il comportamento di un arbitro finisce nelle interrogazioni parlamentari, fa un po’ ridere il preoccuparsi di non perdere tempo coi diritti degli omosessuali. La sinistra, quella che non è diventata democrazia cristiana col renzismo perde perché non propone nulla su temi quotidiani, nessuna alternativa a Salvini, nessuna smentita dei suoi cortocircuiti logici. E perde perché per cercare un’idea alternativa non basta accendere e beccarsi la D’Urso, come viene comodo alla maggior parte dei cittadini, ma bisogna usare bene internet o frequentare i circoli snob e noiosi de sinistra, o leggere dei libri.
    Oppure si finisce per ragionare come Salvini, per cui il problema del mio potere d’acquisto crollato o azzerato sono i rom, o il dibattito sui matrimoni omosex, e non la destinazione delle mie tasse verso un sistema improduttivo, come le tangenti romane o la brebemi o la creazione delle periferie sul modello palazzinari romani.
    Che tristezza essere ultimi nei diritti, sacrificare questi per la ricchezza, e poi essere anche pezzenti.

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