La pubblicità sessista offende tutti?

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16 Ottobre 2017

Fare la differenza. Far sentire la propria voce. Unirsi – magari con l’ausilio dei social network – per impedire la proliferazione dell’imperante cultura sessista. A volte riuscirci. E’ quello che sta accadendo con il gruppo Facebook “La pubblicità sessista offende tutti” che conta oltre 7000 iscritti ed è nato dall’intuizione di Annamaria Arlotta. Ogni giorno il gruppo presenta pubblicità sessiste sulla sua pagina, e con azioni mirate cerca di farle rimuovere, promuovendo insieme sensibilizzazione e discussioni basate sulla stereotipizzazione di genere. Divenendo positivo esempio di come ormai le azioni “dal basso” non possano più essere ignorate dalle aziende e dalle agenzie creative, costrette a qualche sforzo in più rispetto al classico: donna scollata e svampita. Ma partiamo dall’inizio.

Annamaria, come nasce il suo gruppo Facebook?

Nel 2011, tornata in Italia dopo aver vissuto in Inghilterra, notai che da noi era solo l’assuefazione a messaggi e immagini sessiste a farli ritenere accettabili. Mi colpì in particolare la pubblicità della Tim con una minuscola ragazza ritratta nello schermo di un cellulare tenuto in mano da un uomo. Un’interrogazione parlamentare sulla pubblicità sessista era stata da poco presentata da Antonio Palagiano dell’IDV, e il fotografo Ico Gasparri continuava la sua ventennale lotta in questo ambito. Sempre più comuni italiani aderivano alla Moratoria UDI ( che seguiva la Risoluzione del Parlamento europeo  del 2008 sull’impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini)  la cui applicazione però si limita  alle affissioni municipali, il 5% del totale dei cartelloni. Mi sembrò un buon momento per dare un contributo e fondai il gruppo col preciso intento di rivolgerci all’esterno, segnalando allo Iap o scrivendo alle ditte.

Come si è evoluto il suo lavoro, anche attraverso il gruppo?

All’inizio ci concentravamo su due aspetti: la volgarità e la sessualizzazione della donna per vendere prodotti o servizi. In seguito abbiamo scoperto che la donna può essere svilita in tante maniere diverse, per esempio ridicolizzandola mettendole in testa insalate, scarpe, paralumi che le coprono il volto, o mostrandola come pezzi di corpo, anche con una grafica elegante. Il gruppo è cresciuto costantemente e abbiamo cominciato a inviare lettere collettive alle ditte, ai giornali che ospitavano le pubblicità sessiste e all’ente preposto al controllo delle stesse, lo Iap (Istituto dell’ Autodisciplina Pubblicitaria)

Quali sono i tratti distintivi della pubblicità sessista?

La pubblicità è sessista quando nega i progressi nella parità tra i generi e ricaccia la donna indietro dandole valore soltanto per bellezza, seduzione e cura di marito e figli. La sessualizzazione della donna è il metodo più diffuso: affiancare un prodotto alla donna sexy o a una zona erogena del corpo femminile favorisce il transfer dal piacere sensoriale all’oggetto reclamizzato. L’alternativa è un’immagine della donna ferma agli anni cinquanta: mamma e figlia in cucina e gli uomini sul divano, come nello spot del Cornetto Algida Mini Mix, o, per la Barilla, una donna muta col grembiule che cucina e serve in tavola mentre gli uomini si occupano della coltivazione del grano. Come disse la Boldrini anni fa “In giro per l’Europa non è abituale usare donne semi nude per vendere yogurt, televisori, valigie, così come all’estero, sarebbe difficile vedere in onda uno spot in cui papà e bambini stanno seduti a tavola, mentre la mamma in piedi serve tutti. Da noi è normale che la donna debba servire.” Il sessismo investe anche le attività delle donne, ritratte a fare shopping, ad occuparsi del proprio aspetto e comunque in atteggiamento superficiale e leggero, se non sciocco.

Che differenza c’è fra la pubblicità sessista nei confronti degli uomini e delle donne?

Le pubblicità che offendono l’uomo sviliscono anche la donna. Negli spot della Costa Crociere e di Zalando l’uomo riceve un calcio e si penserebbe che le donne siano vincenti. Ma mostrarle aggressive e instabili è un altro modo per svilirle. In uno spot della Golia l’uomo diventa una macchina spazzafoglie, e la donna, che lo usa per asciugare il bucato, è come una bambina, muta e svagata. Tutte le pubblicità che rappresentano l’uomo come giovane, ricco e palestrato contengono il messaggio che chi non è così non vale abbastanza. E quando ci si appella all’impulso sessuale per vendere qualcosa, anziché al cervello si parla ai genitali degli uomini, trattandoli da trogloditi.

Qual è la pubblicità più sconvolgente che ha visto?

La pubblicità che mi ha fatto infuriare maggiormente non è un cartellone con un doppio senso volgare, né l’immagine di una donna sexy associato a un  prodotto. E’ il video raffinatissimo:  “Woman” di Patrizia Pepe. Fa passare per moderne delle occupazioni servili. Un’operazione che io trovo sporca, subdola, che fa leva sul un misto di masochismo e potere derivante dalla sessualità. Musiche moderne, case sfavillanti, donne bellissime e dinamiche, come resistere? Il testo della canzone dice:
“Posso lucidare questa casa/e farla splendere come una monetina/nutrire un figlio/ oliare l’auto/ e incipriarmi il naso/allo stesso tempo. Vestirmi di tutto punto/ fare le quattro del mattino/e poi addormentarmi alle cinque/alzarmi alle sei/ e ricominciare da capo. Perché sono una donna/ ricordatelo. Se sei malato/ti farò stare bene/se ti senti maledetto/spezzerò l’incantesimo/ Se sei affamato/ti prenderò per la gola/Se è l’amore che cerchi/ ti bacerò/ fino a farti tremare”.

Come è cambiata negli anni la pubblicità sessista?

Rispetto al passato ci sono meno casi eclatanti e meno scene con un potenziale di violenza, perché quando appaiono, come nel 2013 il caso della ditta Clendy con la sua immagine che ricorda un femminicidio e lo slogan “Elimina ogni traccia”, le proteste sono maggiori di un tempo, grazie a una aumentata sensibilità e a una maggiore partecipazione. Oggi poi si cerca la corrispondenza tra forme, colori e simboli tra donna e prodotti per farla “diventare” il prodotto. Per esempio In Brio Blu la modella prende colori e forme delle bottigliette. In Caffè Pellini la donna ha un chicco di caffè sulla guancia e nello spot della Fiat Abarth del 2012 ha il logo della Abarth tatuato sul collo.

Che cosa possiamo fare per tutelarci?

L’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, dietro segnalazione dei cittadini, può emettere ingiunzione di desistenza alle ditte. Questo avviene in molti meno casi di quanto vorremmo nel gruppo Facebook di cui sono amministratrice, tuttavia lo Iap è l’unico ente che può bloccare una campagna pubblicitaria. Nell’ultimo anno è intervenuto per far modificare lo spot della Santanna in cui un bambino diventava un genietto dopo aver bevuto un succo di frutta, e la bambina un’esperta di moda: le proteste di giovani genitori erano piovute sulla pagina della ditta e presumibilmente molte segnalazioni all’Istituto erano state inviate.

E lei, nello specifico, che cosa fa con il suo gruppo Facebook “La pubblicità sessista offende tutti”?

Oltre a segnalare allo Iap, quando gli iscritti propongono immagini e video, ai quali viene aggiunto il link alla pagina facebook della ditta, dal mio gruppo partono le critiche su quelle pagine, sotto le immagini contestate, o le lodi per quelle che offrono una visione rispettosa e attuale della donna. Se le proteste sono tante, e già una decina sono sufficienti, in molti casi la ditta rimuove l’immagine. Nell’ultimo anno una ditta ha tolto un cartellone in strada, e molte altre, che sul momento non accettano le critiche, quando fanno un’altra pubblicità cambiano registro. Il metodo diretto ha sicuramente un impatto sia su chi crea le pubblicità che sui tanti che leggono i nostri commenti, e io sono certa che la sensibilità stia cambiando, e che un giorno faremo come nei Paesi del nord Europa, dove molte delle nostre campagne pubblicitarie non uscirebbero dallo studio dei creativi perché considerate non più politically correct.

Alcuni degli spot citati in questa conversazione…

Spot Crociere Costa

Spot Golia

Video di Patrizia Pepe “Woman”

Spot Barilla

TAG: Annamaria Carlotta, la pubblicità sessista offende tutti, pubblicità sessiste, questioni di genere, sessismo, stereotipi di genere
CAT: Questioni di genere

2 Commenti

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  1. evoque 7 anni fa

    Care donne, ma quanto state diventando NOIOSE. Poi, non lamentatevi se gli uomini trovano più naturale e interessante stare con altri uomini.

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  2. cesana.daniela 4 anni fa

    Faccio presente che sono appena stata sbattuta fuori dal gruppo La pubblicità sessista offende tutti, non perché io abbia insultato qualcuno, ma semplicemente perché ho espresso un diverso punto di vista su un’immagine che la maggior parte degli iscritti al gruppo considera sessista. Un gesto dispotico e arrogante proprio in contraddizione con il rispetto per la sensibilità che si predica nel gruppo. Contrastare la pubblicità sessista dovrebbe comportare anche ascoltare il punto di vista (pacato) altrui. Evidentemente il gruppo è autoreferenziale, infatti è andato tutto bene finché ho condiviso il punto di vista della maggioranza (quasi sempre), al primo segno di educato dissenso sono stata cacciata. Vergognoso.

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