Ecco i piani dello Stato di Google contro la malattia e l’infelicità

26 Dicembre 2014

Quanta gente può morire di influenza prima che l’istituto nazionale di prevenzione sanitaria riconosca la pandemia? Al Center for Disease Control (CDC) americano occorrono un paio di settimane dalla registrazione dei primi casi per certificare il pericolo e far scattare le misure di allarme; se il virus è violento come quello della «spagnola» del 1918-19, il ritardo potrebbe provocare oltre un milione di vittime. Fra l’ottobre 1918 e il marzo 1919 l’influenza ha sterminato almeno venti milioni di persone, con una media di oltre 750 mila decessi a settimana. Quando nel 2009 si è temuto che il ceppo N1H1 potesse diffondersi a livello planetario con un grado di letalità simile, l’allarme lanciato dall’OMS ha assunto toni così drammatici che anche «Google ha deciso di mobilitarsi»  per la tutela della salute pubblica, per lo meno al livello dell’individuazione dei focolai di pandemia. Alla fine i casi accertati di decesso sono stati 18.449 e la polemica per gli errori di valutazione, e più ancora per la diffusione di un panico più contagioso del virus, non si è placata ad anni di distanza. Ma l’episodio rimane importante per le conseguenze che ha scatenato nell’autocoscienza sociale di Google. Secondo le fonti di Mountain View, ogni anno l’influenza ordinaria miete dalle 250 alle 500 mila vittime nel mondo: per questa ragione nei laboratori di Google un team ha dedicato tutte le sue energie a sviluppare un algoritmo che fosse in grado di identificare i focolai di contagio già all’apparizione dei primi sintomi, frugando nelle interrogazioni sottoposte al motore di ricerca. Il servizio di FluTrends è nato da una regola matematica che bilancia i termini delle domande e le osservazioni del CDC sulla diffusione delle epidemia tra il 2003 e il 2008. I numeri dell’esperimento sono degni di un gigante: 50 milioni di combinatorie lessicali, 450 milioni di schemi previsionali, 45 modelli finali. Il metodo ha passato un primo controllo scientifico formale nel 2012.

Quante persone muoiono di tumore ogni anno? In Italia nel 2013 il cancro ha finanziato 173 mila funerali, mentre si prevede che nel 2014 ne sovvenzionerà quasi 600 mila in America. Gli affari delle pompe funebri e la felicità del pubblico entrano spesso in contraddizione, e questo è ben chiaro negli uffici di Mountain View. Negli Stati Uniti, anzi, l’evidenza sembra scuotere più i dirigenti di Google che le istituzioni politiche dello Stato.

Ma per quale ragione ci poniamo una domanda del genere in relazione a Google? Sicuramente non l’hanno formulata Samuel Gibbs su The Guardian e Brian Fung sul Washington Post lo scorso lunedì 3 novembre, quando hanno scritto che il gigante di Internet ha gettato la maschera e ha confessato finalmente le sue colpe. Non importa quali siano, ma non ci si può ostinare a fatturare 60 miliardi di dollari all’anno e proclamarsi innocenti: è giunta l’ora di scavare la fossa anche per l’ipocrisia del motto «Don’t be evil». Un funerale a tempo record invece è stato celebrato in suffragio di questa tesi, nata da una lettura incauta delle dichiarazioni di Larry Page al Financial Times, e defunta nell’arco di una giornata: giusto il tempo per passare dalla lettura del titolo a quella dell’articolo completo.

A volte il fremito della verità vibra solo a qualche paragrafo di distanza. Poche righe sotto il sommario, il CEO di Mountain View racconta che rispondere a tutte le domande possibili per Google si è rivelata una missione troppo ristretta: la raccolta delle informazioni non può limitarsi alla Rete, e l’estensione al mondo reale legittima l’ingresso dei giganti della tecnologia online in settori che non appartengono alla loro tradizione. Per questa ragione nel 2013 è stata fondata una società come Calico, il cui settore di ricerca&sviluppo è stato rifinanziato tre mesi fa con un fondo di 1,5 miliardi di dollari: il suo obiettivo è trovare un rimedio al tumore e all’Alzheimer.

Internet non è abbastanza. Questo è il motto di transizione verso il nuovo mondo di Google, dove secondo Page sarà naturale proporsi di curare la morte come ogni altra forma di malattia. Sì, avete letto bene, la morte va medicata e debellata: amici delle pompe funebri, poi non dite che Gli Stati Generali non vi avevano avvertito. Per di più, assicura che la questione è più banale di quello che sembri, purché si sia disposti ad investire i capitali che servono. È finito il tempo delle partecipazioni prudenti nelle startup che sembrano promettere nuove prospettive di business, con l’acquisto di porzioni ridotte delle loro quote societarie. Quello che serve non è il presidio di mercati emergenti, ma la formulazione di una visione del mondo a larghe falde, di un progetto antropologico come da decenni la politica e la cultura americana ed europea non sono più in grado di proporre.

Insomma Google non ha deciso di  rispondere male quando imputiamo domande stupide (e con cinque miliardi di query al giorno, persino ai server si sarà dovuto applicare uno script per il rinforzo della pazienza), né si propone di sabotare l’ordine dei risultati per ingannarci o manipolarci. Tanto meno sta meditando di interrompere il servizio di interrogazione o di registrazione dei dati in Rete (paura eh?). Quello che sta pensando, o che almeno stanno immaginando Page, Brin & soci, è che considerare l’intera realtà offline, e gli uomini che la abitano, come altrettanti aggregati di informazioni. Anche uno dei padri immortali della fisica quantistica, Erwin Schrödinger, lo aveva chiarito in piena Seconda Guerra Mondiale, durante il seminario tenuto al Trinity College nel febbraio 1943: la vita è informazione che si conserva, nonostante la tendenza spontanea dell’universo a degenerare l’ordine in disordine. O a farlo esplodere sotto una bomba. Un individuo rimane sempre se stesso nel corso degli anni: quando la diversificazione eccede la capacità del codice interno di integrare la varietà, muore e si dissolve. Lo stesso vale per le specie.

Per una macchina che è nata per digerire ed elaborare tutti le informazioni disponibili in formato digitale, questa è una splendida notizia: il supporto è diverso, ma non l’essenza. Il problema è capire se la macchina di cui stiamo parlando sia l’algoritmo di Google o Larry Page in persona.

Jay Yarow su Business Insider confessa la sua preoccupazione per i rischi che potrebbe correre Mountain View con un amministratore delegato così distratto dai centri focali del suo mercato: Page non avverte la minaccia che la pubblicità collegata al motore di ricerca può subire dal native advertising, a causa della sua dedizione alle follie della cura del cancro o della macchina che si guida da sola. Il fatturato complessivo in crescita del 4 e del 6% nel secondo e nel terzo quarto dell’anno, porterà di sicuro un po’ di conforto a Yarow; ma il nodo principale non è questo. Google ha prosperato proprio sulle (apparenti) stravaganze dei fondatori, a partire dalla decisione di stipare tutto il Web in un computer per scrivere una tesi di dottorato sui progressi dell’esperimento. Senza questa follia di Larry Page nel 1997, oggi non avremmo il motore di ricerca e il focus principale del business di cui vive la sua impresa.

Contrariamente ai giornalisti, Google legge l’informazione fino alla fine. Macchine che si guidano da sole, occhiali che allestiscono una realtà aumentata per chi li indossa, robot e droni che si muovono su territori non ancora mappati, palloni aerostatici che portano la connettività dove ancora manca, nanotecnologie che invadono corpi umani a caccia di neoplasmi – tutti questi dispositivi sono un sistema di strumenti destinati a raccogliere dati direttamente dal mondo offline. Non sono bizzarrie isolate, ma un progetto che obbedisce ad una visione unitaria: tutta la realtà è fatta di informazione, non solo la Rete. Quindi bisogna organizzarsi per andare a prenderla. In vista della soluzione di questo problema è stata fondata una struttura ad hoc, «Google X», gestita in prima persona da Sergey Brin e operativa in un edificio separato dal corpus centrale di Googleplex.

Con tutto quello che c’è da fare, perché prendersela così tanto con il business (eterno e mai in crisi) delle pompe funebri? L’assunzione di Ray Kurzweil a Director of Engineers dell’intero Gruppo Google nel dicembre 2012 spiega bene questo passaggio cruciale. Si deve prendere sul serio Schrödinger fino in fondo. Kurzweil sa che l’informazione non è solo nel DNA, ma si stabilisce in ogni particella della materia, innerva ogni molecola delle nostre cellule, incarna il contenuto ultimo della nostra personalità, innerva ogni pensiero, si condensa in ogni frammento della memoria. L’immortalità allora è una semplice problema di ingegneria: bisogna passare, con una simbiosi progressiva, dal corpo organico a quello al silicio; poi si tratta semplicemente di eseguire l’upload della soggettività di ogni individuo nel disco rigido della sua futura mente artificiale.

Kurzweil conferisce ai fondamenti platonici dell’Occidente una concretezza quasi spaventosa. La cura del cancro è solo il primo passo; occorre arrivare all’immortalità non delle idee o della specie, ma del punto più fragile della catena, la vita del singolo, con tutta la pienezza che esige la coscienza soggettiva nel sentirsi viva. Al contempo, l’assorbimento di tutta la materia dell’universo nella costruzione di menti artificiali individuali sempre più potenti, sempre più ricche di informazioni e sempre più capaci di elaborare calcoli, finirà per redimere l’intera massa fisica del mondo in pura luce, in intelligenza distillata nei secoli dei secoli. Così parlò Google.

Il motore di ricerca, Google X, Android (già, Android), sono solo le prime tessere di un disegno molto ampio che i suoi creatori non fanno nulla per tenere segreto. Anzi. Un progetto antropologico ha bisogno di grandi investimenti per poter avanzare, sia in fase di progetto, sia nelle attività di pressione sull’amministrazione politica delle nazioni. È così che Google è diventata la società con il <più grande impegno di lobbying d’America. Ma è fuori discussione che la sua forza emani anzitutto dall’elaborazione di un piano con un respiro tanto vasto: in questo compito che i fondatori e i collaboratori di Google si sono assegnati, Mountain View si è già sostituita alle istituzioni politiche o culturali dell’Occidente euro-americano.

Siamo fatti di informazioni, tutto il resto è trascurabile. Non importa se il vagheggiamento o il delirio dell’immortalità tramite l’upload della personalità su dischi di silicio verrà mai anche solo avvicinato. Il fatto è che fin da ora tutte le decisioni che ci riguardano vengono assunte con questa prospettiva di interpretazione della nostra esistenza, pure da chi pensa di opporsi ai giganti della Silicon Valley. Anche Facebook sta progettando il suo ingresso nel campo della medicina, della finanza, dell’educazione. La biopolitica, in tutti gli aspetti della determinazione di una vita degna di essere vissuta, viene lentamente sottratta allo Stato e alle sue istituzioni per diventare l’oggetto dei progetti di chi se ne sta assumendo la responsabilità: le imprese private che accumulano dati su tutto e su tutti, e le elaborano in informazioni.

Quante vittime ha sterminato il personaggio storico più famoso che ha trasformato la vita degna di essere vissuta nella missione politica del suo movimento e della nazione che ha tiranneggiato per dodici anni? Nessuno lo sa con certezza, ma le stime recenti parlano di circa sei milioni di morti nei campi di prigionia. Meno della spagnola, ma con un orrore ben più irredimibile. Non si può che essere grati a Page di voler approfondire il senso del Don’t be evil, e di costruire un contributo concreto allo sviluppo della civiltà Occidentale, in un periodo in cui l’incisività di politici ed intellettuali è ai minimi storici dai tempi di Romolo. Ma se qualcuno volesse sollevare un’obiezione al potere economico di Google, farebbe bene a partire dal suo disegno antropologico, e a giustificare il proprio intervento con un pensiero alternativo, magari fondato su principi più condivisi e meno soffocanti della pura informazione. Ogni altro percorso non può che condurre a stupidi fallimenti, come l’occasione persa del dibattito sul diritto all’oblio – o peggio, a ritorsioni sull’economia dei paesi che dovranno applicare i provvedimenti. E sarà allora che persino lo Stato, il mostro freddo accusato da Nietzsche, persino mosso dalle migliori intenzioni, dovrà spiegare perché non vuole una cura per i tumori dei suoi cittadini.

(Foto di copertina tratta da Flickr, Corrado Francolini)

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