“No Man’s Sky”: quando i programmatori giocano a fare Dio

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25 Ottobre 2016

Agosto 2016: qualcosa è cambiato nel mondo dei videogiochi e probabilmente è iniziata la diffusione in larga scala di un cambiamento epocale nel rapporto fra uomo e virtuale. “No Man’s Sky” è un videogioco sviluppato e pubblicato dallo studio britannico Hello Games e per capire la rivoluzione che porta in sé abbiamo bisogno di fare un salto indietro nel tempo. Un bel salto indietro, diciamo alla notte dei tempi.  Non importa se credete in Dio, Allah, madre natura o al caso: quello che è certo è che l’esistente attorno a noi non è stato disegnato così com’è ma sono state definite le leggi di creazione di tutto ciò che si  trova attorno a noi.  Ad ognuno poi spetta la libertà di credere chi sia il “legislatore”.  L’albero che sta fuori da casa mia non è stato progettato di 5,23 metri, ma sarà arrivato a quest’altezza perché esistono le leggi della fisica, della chimica e della biologia a cui è costretto ad obbedire. Quindi visto che il terreno è in determinate condizioni, che è arrivata una certa quantità di luce e di acqua, che il seme che lo ha generato conteneva un certo bel numero di informazioni, allora è cresciuto fino a 5,23 metri. Non uno di più ne uno di meno. E “No Man’s Sky” cosa c’entra con questo?

“No Man’s Sky” non si basa, come i videogiochi che avete conosciuto sino ad ora, su immagini o luoghi virtuali che un programmatore ha disegnato o fotografato e importato in un ambiente virtuale; è invece il primo gioco diffuso in larga scala basato sul design procedurale (o parametrico). Per i non addetti questo significa che i programmatori non hanno “progettato” i mondi che il giocatore andrà ad esplorare con la sua astronave ma hanno invece fissato le regole e i parametri di sviluppo della flora, della fauna e dei pianeti del videogioco. Siamo così di fronte a mondi che non esistono sino a quando l’esploratore decide di visitarli e solo allora il sistema di regole definite andrà a generare il luogo virtuale mai esistito prima. Flora e fauna incominceranno così a crescere sviluppandosi in relazione delle variabili che ogni esploratore porta con se dalle esperienze precedenti.

Parliamo un po’ di numeri: 18.446.744.073.709.551.616 pianeti possibili sono un numero davvero alto e considerabile infinito per ogni essere umano. Se confrontati con i circa 36 milioni di minuti di una vita (considerando una vita di 70 anni) significa che per visitarli tutti, ipotizzando di stare un minuto su ogni pianeta dal primo giorno di vita fino all’ultimo e facendo questo per metà della nostra giornata, ci vorrebbero mille miliardi di vite. Direi che l’approssimazione ad “infiniti mondi possibili” è quindi accettabile. Ciò significa che ogni giocatore  avrà un esperienza personalizzata, che nessuna partita sarà mai replicabile. Quello che io farò esistere sarà dunque un qualcosa di realmente unico e mai visto da nessun altro, neppure dal team di sviluppatori, capitanato da Sean Murray,  che lo ha generato. Cosa si nasconde in quell’insieme di dati è quindi nuovo a chiunque: un rivoluzionario passaggio dalle immagini alle regole che creano le immagini. Cosa queste regole genereranno, ovviamente sempre stando all’interno di quanto definito, nessuno lo può completamente conoscere.

Ogni pianeta diviene così un mondo che inizia ad esistere solo nell’istante in cui l’osservatore arriva su di esso; prima il nulla e dopo il passaggio invece un bagaglio di informazioni che andrà a influenzare lo sviluppo del mondo successivo. E poi quello del prossimo ancora e così via sino a quando non avremo terminato la nostra esplorazione. Gli animali del millesimo pianeta esplorato saranno aggressivi o buoni, grandi o piccoli a seconda delle informazioni, sotto forma di batteri, portate attraverso i contatti precedenti e andranno a influenzare quelli dei mondi delle successive missioni. Senza mai fine, quantomeno per noi esseri umani. Il gioco non consiste nella sola e pura esplorazione: è reso avvincente con guardie da cui fuggire e obiettivi da raggiungere, ricordiamoci che è un videogioco e che comunque ogni rivoluzione va anche resa intrigante.

Qui i programmatori si sono divertiti a fissare le regole del gioco e lasciare libero qualcun altro di vagare nel loro universo creando qualcosa di nuovo e imprevedibile ma pur sempre all’interno del necessario rispetto delle loro leggi. Chissà se è quello che è successo molto tempo fa. E allora buon divertimento ai giocatori ed ai filosofi: da agosto 2016 qualcosa è cambiato, salite sulla vostra astronave e buon viaggio nel futuro.

 

TAG: Architettura e Design, cambiamento, Cultura, Design procedurale, game, innovazione, innovazione sociale, No Man's Sky, Parametric Design, tecnologia, videogame
CAT: App & Software, Innovazione

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