Il sapere, l’ostentare e lo zen dell’arrampicata

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1 Marzo 2018

Articolo di Amedeo Cavalleri, tratto da Alpinismi

Arrampico da pochi anni e non pretendo di sapere cosa sia l’arrampicata e anzi, spero di non pretenderlo mai, neanche in un futuro lontano perché credo non bisogni mai smettere di mettersi in discussione. Penso anche che pochi sport siano introspettivi e personalizzabili come l’arrampicata; ognuno è infatti libero di viverla come più crede a patto di non scontrarsi con alcuni valori, che derivano più dall’intelletto umano che dall’etica del mondo verticale, e sono la ricerca della sicurezza e il rispetto per gli altri.

Vi è però un’altra cosa da cui ogni climber non può mai prescindere: la ricerca di un nuovo punto di vista. Durante ogni salita non si può mai dar nulla per scontato perché in natura non esistono due vie uguali e per questo bisogna sempre essere pronti a modificare il proprio approccio alla salita, pena il non proseguire nell’ascesa. La ricerca è parte fondamentale dell’arrampicata in ogni sua forma o declinazione ed è proprio quando ci si stufa di cercare nuove vie, nuovi movimenti o nuovi limiti da raggiungere che la passione viene meno.

Questo è quello che abbiamo cercato di fare sui social quando, io e i miei amici, abbiamo creato Brocchi Sui Blocchi su Facebook. Ricercare e mostrare un nuovo punto di vista, sempre meno legato alla prestazione o alle singole vie, ma ponendo l’attenzione sulla condivisione, sull’assenza di competizione e sull’autoironia. È un punto di vista, uno dei tanti e, pur avendolo sempre difeso, non lo abbiamo mai spacciato per la verità assoluta; anzi, speriamo sempre che nessuno voglia prenderci troppo seriamente, sia tra quelli che ci seguono che tra quelli che non lo faranno mai. Anche perché di Messia ce ne è stato solo uno e qualcuno ha dubbi pure su quello.

Reputandomi una persona curiosa e vogliosa di imparare, fin dall’inizio della mia vita arrampicatoria, e ancor di più dopo la nascita dei Brocchi, mi son buttato a capofitto nel mondo dell’arrampicata alla ricerca di altri e vari punti di vista, leggendo, ascoltando e soprattutto chiedendo. Ho conosciuto tantissime persone e devo, a onor del vero, dire che gran parte di loro era disponibile ed entusiasta. In questa mia investigazione mi è però anche spesso capitato di imbattermi nei più svariati venditori di certezze. Persone che sapevano esattamente cosa fosse l’arrampicata e come andasse vissuta; ed erano anche disposte a insegnartelo, a patto di accettare il loro punto di vista e non quello di un altro che difendeva le proprie differenti idee con uguale convinzione. Mi stupiva la sicurezza con cui affermavano il loro sapere, irremovibili e calmi, certi di avere la risposta giusta ad ogni domanda, non pronti a mettersi in discussione su qualunque argomento venisse proposto, sia che si parlasse di cose basilari che di quelle più esistenziali.

Potete fare un semplice esperimento: andate in una palestra e chiedete a quante più persone possibile se per un arrampicatore neofita sia meglio concentrarsi sulla tecnica o sulla forza. Io l’ho fatto e vi assicuro che ho avuto le più disparate risposte e spiegazioni.

Eppure in arrampicata, e nel vivere la montagna in generale, il sapere è una cosa fondamentale e conta infinite volte di più di un buon equipaggiamento. Si è registrato negli ultimi anni, insieme alla ritrovata passione per la montagna, un aumento degli incidenti in alta montagna dovuti all’inesperienza. La conoscenza dei rischi soggettivi e oggettivi è il primo fattore da prendere in considerazione quando si vuole affrontare la natura selvaggia e non consiglierei a nessuno, soprattutto a me stesso, di partire per una qualsivoglia uscita senza essersi informato a dovere ed essere sicuro di non mettere in pericolo per cause futili se stesso e altri con lui. Non bisogna mai dimenticarsi l’esistenza di una profonda differenza tra l’accettazione del rischio e l’incoscienza.

Altrettanto profonda è però la differenza che separa il sapere e l’ostentare. Eppure quanto è facile imbattersi nell’ostentazione nel mondo dell’arrampicata. Vi giuro che non ho mai capito perché vi sia questa pratica di fare del vanto fine a se stesso. L’arrampicata è uno sport individuale, le prestazioni e i traguardi dipendono solo da noi e le otteniamo per noi stessi, non per terzi. Così il fatto che altri abbiano fatto o non fatto qualcosa non toglie e non aggiunge niente a me, come lo scalare un grado più alto del mio (molto facile tra l’altro) dimostra solo che siano climber migliori di me e forse degni della mia ammirazione, ma non automaticamente persone degne della mia stima.

Che sia una degenerazione della società moderna in cui il valore di una persona viene sempre più spesso calcolato in base ai risultati raggiunti? Forse. Eppure l’arrampicatore è sempre stato per sua natura uno spirito ribelle che si posiziona leggermente fuori dalle logiche della società moderna. Ricerca della natura, rifiuto del consumismo e dell’obbligata competizione da esso generata. Ecco perché vedo nell’ostentazione delle proprie prestazioni una grossa contraddizione con quello che l’arrampicata ha sempre mostrato, rifiuto delle regole e quindi anche delle gerarchie.

Che sia invece una forma di auto-celebrazione? Chi di noi non è almeno un po’ egocentrico in qualcosa che sa fare bene? È una cosa normale. Ma non c’è bisogno di ricercare l’approvazione degli altri, il grado è una cosa più o meno oggettiva, se fai a esempio un 8b, lo fai a prescindere dall’approvazione degli altri e, tra l’altro, non ti venererò per questo. Ho già i miei idoli, scalano (o scalavano) su gradi inimmaginabili, tengono posizioni da lasciarmi a bocca aperta e leggere i loro libri o guardare i loro video mi emoziona. Loro mi bastano, non ho bisogno di altre persone da idolatrare. Liberatevi da questa ossessione di dover essere meglio degli altri e di dover a tutti i costi mostrare di esserlo, la logica del più duro scali più vali, è ragionevole solo in ottica di competizioni, le quali, sebbene siano molto in vista, rappresentano soltanto una minima parte del mondo dell’arrampicata.

Ma, soprattutto, divertitevi scalando e lasciate gli altri divertirsi come meglio credono, senza giudicarli, senza sentirvi superiori. Quando qualcuno vi saluta, rispondete al saluto e quando qualcuno vi chiede un consiglio rispondete con voglia di insegnare, non con saccenza. Il far vedere come e perché fate una cosa vale mille volte più del mero far vedere di essere in grado di farla. Ricordatevi che l’uomo è un animale sociale e che l’arrampicata è anche condivisione.

Se credete che l’arrampicare in top-rope non sia arrampicare, se avete mai detto una volta nella vita che sotto il “7a non è arrampicata” o se siete ancora a livelli bassi ma siete ossessionati dall’essere meglio degli altri, questo pezzo è anche per voi. Non smettete mai di ricercare nuovi punti di vista, non stancatevi mai di imparare da quelli più bravi ma anche da quelli meno bravi, ma soprattutto non prendete niente come verità assoluta, neanche questo articolo.

TAG: alpinismo, arrampicata, arrampicata sportiva, cultura di montagna, giornalismo, instagram, montagna, Montagne, social media, social network, Verità assolute, Wilderness
CAT: Arrampicata

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