Altro che Landini, il problema di Renzi sono tutte le promesse che fa

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5 Novembre 2014

Come sarà la sinistra negli anni del renzismo? Questa domanda presuppone che si sia data una risposta ad altre domande sottintese. Per esempio se Renzi e il fenomeno che da lui prende nome siano una variante/innovazione della sinistra oppure una cosa di centro vestita da sinistra (alcuni critici più esasperati e esasperanti dicono addirittura che l’uomo sia di destra). Ci si potrebbe chiedere se la sinistra che va oltre Renzi, e persino lo combatte, sarà una sinistra antica, cioè tutta opposizione e cotillons, o vorrà sfidarlo sul governo del paese. Comunque la si giri è del tutto evidente che tutte queste riposte, o se preferite, tutte queste domande, vogliono una accurata analisi di tipo politico-culturale. Sull’accuratezza non mi pronuncio, non è mestiere mio, cercherò però di indagare i fenomeni che abbiamo di fronte.

Il primo è che, con un grave ritardo, la sinistra è stata messa a confronto con il superamento definitivo non solo del comunismo e del post-comunismo ma anche di tutte le esperienze riformistiche socialiste. La società non è più divisa né in classi né in gruppi di interessi, la categoria di “lavoratori” si dilata fino a comprendere in modo stabile e costituente il lavoro autonomo e ovviamente quello precario, per tacere degli imprenditori bresciani, i soggetti sociali vengono ridotti alla loro funzione “basic” di tipo economicistico e contrattualistico, il partito politico non ha storia, forse neppure un futuro, il partito lo si costruisce a immagine della sua leadership, i riferimenti culturali, infine, spariscono in via definitiva, dimenticate Gramsci, don Milani, Dossetti, Croce, Bobbio e tutto ciò a cui ci eravamo abituati persino alle passioni di Berlinguer, che arrivò fino a Maria Goretti, o di Craxi che si prese in carico quel fantasma di Proudhom.

La storia, nella politica culturale di oggi, è il presente, ovvero, come dice la canzone, la storia siamo noi. Per farla breve Renzi è arrivato al momento giusto nel posto giusto quando tutte queste culture marcivano anche nelle nuove botti e i loro leader era diventati antipatiche contro-figure di se stessi agli occhi del loro stesso popolo. La sinistra è quindi al suo anno zero. Potrebbe non esserci più. Se ha ragione Michele Salvati, che tratta con generosità diffidente Matteo Renzi, la nuova sinistra è solo liberale e post-socialdemocratica. Molta America e poca Europa. In verità possiamo immaginare una sinistra un po’ latino-americana, prendendo di quel continente non le esperienze populiste ma le esperienze di modernizzazione che di tanto in tanto si sono affacciate, soprattutto nell’ultimo periodo.

Tutto questo per dire che spaccare il capello per decidere se Renzi sia di sinistra o no, è una inutile perdita di tempo. Se lui dice che è di sinistra, lui è di sinistra. Il nome non lo diamo noi né ci sono rabbinati in grado di decidere l’ortodossia di un leader né di negargli l’appartenenza alla parte che dice sua. Più chiaro, invece, è ciò che provoca il renzismo nella sinistra che non lo ama, e che lo teme. Provoca, come si vede, una crisi di nervi e di rigetto paurosa, esattamente come fosse il nemico ovvero il Nemico, dove la maiuscola spiega più di un saggio. Questa sinistra per cui Renzi è il Nemico ha un riflesso pan-sindacalista e vetero del tutto evidente, almeno a me. Immagina infatti che la finanziarizzazione provochi una estesa proletarizzazione, chiede uno stato interventista, da qui il successo della Mariana Mazzuccato, prima o poi chiederà un nuovo ordine mondiale e un nuovo modello di società. Per ora si limita a cercare di far leva sul sindacato, ma prima o poi qualche suo intellettuale fornirà l’interpretazione autentica del pericolo democratico cui siamo esposti e invocherà una pacifica rivoluzione sociale.

Questa sinistra post-bertinottiano, post vendoliana, sostanzialmente post-ingraiana elettoralmente vale poco. È credibile Landini quando dice di non volerla dirigere. Perchè dovrebbe farlo quando potrebbe ereditare la Cgil e provare a trasformarla in un partito? Questa sinistra sarà radicale nel suo Dna, e non sarà mai una sinistra di governo. Toglierà voti a Renzi, che li rimpiazzerà con quelli che verranno da destra, dal grillismo, dal non voto. Sarà una sinistra di piazza e di tv ma sarà una componente sicuramente marginale . Il vero problema per Renzi potrebbe venire se all’interno del Pd dovesse nascere una componente e un leader riformista sul serio. Un leader che non spacchi la società, che faccia governare il partito dai giovani ma curi i rapporti fra le generazione, un leader che voglia fondare una nuova cultura con un processo di revisione di quelle precedenti e non con il loro azzeramento. Un leader o una leader che sia più americana di Renzi, nel senso che non abbia quegli elementi di esagerazione comunicativa del fiorentino, così tipicamente italiano nella facondia, e presenti il volto moderno di un professionismo politico fatto di competenze e di ideali. Questa figura e questa cultura non ci sono. Ma sarà Renzi a produrli.

Ci vorrà tempo, molto tempo se Renzi saprà utilizzare quello di cui dispone, o poco se invece andrà a sfracellarsi sotto questa alluvione di promesse. Avverto, infatti, con l’orecchio puntato a terra, e quindi con il massimo margine di errore, che molta gente sta andando in suo soccorso, ma molti si sono fermati o si apprestano a fermarsi e a guardarsi intorno. La fortuna di Renzi è che la sinistra che dovrebbe esserci assomiglia troppo a quella di questi giorni, nostalgica, ansiogena nelle sue paure, catastrofica come nella sua peggiore tradizione. Se la gara, in conclusione è fra Renzi e Landini, vincerà Renzi. Se verrà fuori un piccolo Clinton, ne vedremo delle belle.

TAG: Matteo Renzi, maurizio landini, partito democratico, Pd
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