Le due colpe della vigilanza della Banca d’Italia

18 Novembre 2017

Una banca deve avere un patrimonio solido in grado di coprire eventuali perdite senza arrivare al collasso, travolgendo i depositi. Che una banca non debba autofinanziarsi è di tutta evidenza fondamentale: se un istituto presta i soldi a un investitore che li mette nel capitale della banca, il patrimonio di quest’ultima non è altro che fumo.

Correva l’anno 2004 quando la Banca Popolare di Lodi di Giampiero Fiorani fece un aumento di capitale per finanziare l’acquisizione di Banca Antonveneta. Dopo il fallimento di quest’operazione e, insieme alle accuse contro l’ex-Governatore della Banca d’Italia, si scoprì che la Popolare di Lodi finanziava vari amici per comprarne le azioni nell’aumento di capitale.

Nel 2017, quindi tredici anni dopo, scopriamo che la Banca Popolare di Vicenza finanziava i propri clienti a condizione che, con una parte più o meno ampia del credito erogato, comprassero le nuove azioni emesse nell’ambito di un aumento di capitale.

Dopo tutto questo tempo, dunque, la Banca d’Italia non è ancora in grado di controllare che una banca non dia prestiti ai suoi clienti per autofinanziare l’aumento di capitale della banca stessa. Questa è non una lacuna qualsiasi: vuol dire che la Banca d’Italia non è (stata) capace, in più di un’occasione, di vigilare su un punto fondamentale del sistema bancario. Non c’è da stupirsi che gli investitori non si fidino delle banche italiane.

Magari ci sarebbe da andare alla BCE a chiedere cosa fanno di diverso visto che tutto questo è venuto alla luce solo dopo che la Banca Popolare di Vicenza è passata sotto la sua vigilanza.

La scusa dei poteri insufficienti: il caso BPM

Un argomento che la Banca d’Italia e i suoi vertici hanno recentemente usato per difendersi dalle accuse è l’insufficienza di poteri. È una difesa curiosa visto che non c’è banchiere che abbia avuto vita facile senza la benedizione della Vigilanza. Ma esaminiamo un caso concreto. Quello della “vecchia” Banca Popolare di Milano.

Prendo questo paragrafo dal bilancio 2012 (pag. 464) della Banca Popolare di Milano:

«Si ricorda che i coefficienti patrimoniali del Gruppo, a partire da giugno 2011, incorporano gli effetti delle maggiori ponderazioni richieste dalla Banca d’Italia. L’effetto di tali maggiori ponderazioni porta ad un incremento delle attività di rischio ponderate pari a euro 7,6 miliardi, cui corrisponde un maggior requisito patrimoniale pari a euro 607 milioni. L’impatto dei maggiori requisiti è quantificabile in 179 bps sul Core Tier 1, 192 bps sul Tier 1 e di 259 bps sul Total Capital Ratio. Si fa presente che i suddetti maggiori requisiti potranno essere riconsiderati dall’Organo di Vigilanza a seguito dell’adozione delle misure richieste e del superamento delle carenze evidenziate nel rapporto ispettivo».

La Banca Popolare di Milano ha dunque dovuto aumentare le ponderazioni delle attività – che vuol dire: necessità di più capitale – perché la Banca d’Italia scoprì delle carenze nella gestione, e com’è noto in particolare nella governance societaria.

Ancora: bilancio consolidato  2014 (pag. 39) della Banca Popolare di Milano:

«In data 30 giugno 2014 la Banca d’Italia ha disposto la rimozione integrale degli add-on patrimoniali imposti alla BPM all’esito degli accertamenti ispettivi condotti dall’Autorità di Vigilanza presso la stessa BPM dal settembre 2010 al marzo 2011. Tale rimozione consegue agli interventi posti in essere dalla Banca per la risoluzione delle criticità tecnico-operative che avevano portato a suo tempo all’imposizione di dette misure patrimoniali e, più in generale, al percorso di rilancio perseguito. Si ricorda che i succitati add-on hanno gravato sulle RWA del Gruppo per circa Euro 8,1 miliardi sino al 31 marzo 2014, con conseguente significativo impatto sui coefficienti patrimoniali».

Quindi la Banca d’Italia era capace di identificare delle carenze tecnico-operative dalla parte della Banca Popolare di Milano, di applicare una sanzione e vedere queste carenze messe al posto senza che queste carenze avessero mai avuto un impatto negativo grave sul bilancio, anzi la Pop Milano è andata avanti a produrre utili nel 2014, 2015 e 2016.

Nello stesso tempo, Bankitalia non era capace di identificare i buchi enormi nel patrimonio della Vicenza, creati in parte con gli stessi metodi che abbiamo visto nella vicenda Lodi, chiusa con la caduta di Fiorani e le dimissioni del Governatore.

Per questo, a dispetto di tutti le spiegazioni esibite dalla Banca d’Italia per sottrarsi alle proprio responsabilità nella vicenda Vicenza, e a dispetto della frettolosa riconferma del Governatore Ignazio Visco, continuiamo a chiederci se, come si dice in inglese, i dirigenti della Vigilanza siano ‘not fit for purpose’, non all’altezza del mandato.

TAG: banca d'italia, Banca Popolare Milano, Popolare di Vicenza
CAT: Banche e Assicurazioni

Un commento

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  1. umbrito-tamburini 6 anni fa

    E allora? Il geom Fazio e’ stato assolto -e gratificato di benefici perpetui- come lo saranno tutti quelli che se lo possono permettere: in Italia -si sa- si concerta

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