Togliersi da Facebook

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25 Marzo 2018

Cambridge Analytica è l’alibi perfetto per la politica che avrebbe avuto gli strumenti per capire cosa ci fosse in ballo, e prevenire i danni. Non l’ha fatto, ok. Cosa possiamo fare noi?

Noi possiamo smetterla di giocare a fare i moderni mentre ci auto-infliggiamo la più primordiale delle schiavitù – cosa che facciamo non per inconsapevolezza. Siamo insicuri e superficiali. Quel piccolo universo – i social – ci sembra il nostro prevalente se non unico universo. Per carità, c’è un tale condizionamento socio-culturale attorno che anche solo per evitare di sembrare anomali a volerne stare fuori, si finisce con l’accettare di non potere che restarne dentro.
Anche per lavoro devi socializzare, essere sempre yeah yeah, condividere informazioni con l’ambizione della visibilità, del contenuto che potrebbe diventare virale – e allora sì, la svolta!

Ecco, finiamola di auto-convincerci che i social facciano male agli altri – gli sprovveduti – ma non a noi che li conosciamo, li padroneggiamo, ne sfruttiamo con sagacia le virtù. Noi che siamo così consapevoli del male che ci si può fare da soli con un banale, inutile, assuefacente clic da condividere il monito dell’inventore del Like sugli effetti psicotropi del medesimo Like.
Se leggiamo l’articolo, lo postiamo, ma continuiamo a mettere Like e a trepidare per le interazioni all’ultima foto del profilo – è invece probabile che di quella ridicola addiction si sia vittime anche noi.

Per anni è stata la nostra consuetudine, mettere like. Ma dopo i libri, gli articoli, ora ne parla anche la tv del costo occulto, implicito, ma tuttosommato deducibile di quel nostro segnale di vita che trasmettiamo compulsivamente nei social nell’illusione che resterà.

Abbiamo cominciato a intuire solo ora – benemerito lo scandalo Cambridge Analytica – che forse quel costo è eccessivo Non abbiamo invece ancora colto quale potere enorme si abbia noi – individualmente – in quel mercato di dati, dei cui abusi ora ci indigniamo, e che in realtà è un mercato che alle attuali condizioni è abusivo per default. Noi siamo la merce degli inserzionisti, e siamo noi stessi a chiederlo con il nostro insopprimibile bisogno di far sapere dove siamo, con chi, a fare che e con quale umore. Cosa ne ricaviamo?
Chiediamocelo.

Chiediamoci con obiettività quali benefici riteniamo di poter conseguire – amicizie, informazioni, relazioni, conoscenza. Chiediamoci se questi traguardi abbiano in Facebook (o Google, Instagram, Twitter, Linkedin, WhatsApp) un mezzo efficace, e se il costo dell’eventuale conseguimento sia congruo. Abbiamo informazioni, esperienza, strumenti per apprfondire e valutare. Possiamo assumere decisioni conseguenti. Non è facile, ma è necessario.

Per cancellare un account Facebook ci vogliono fino a 14 giorni. La procedura non è immediata. Facebook rende facile l’opzione “disattiva l’account”. Disattivare però vuol dire staccare solo temporaneamente, come andare in vacanza per un po’ e poi tornare e trovare tutto come prima: l’account è sempre là con tutti i suoi miliardi di dati, i tuoi, a disposizione di non si sa chi né con quali conseguenze per te – che non si limitano all’invasività coercitiva delle notifiche.

Per uscire da Facebook una volta per tutte e ri-appropriarsi di tutta la roba personale e sensibile postata negli anni bisogna cancellare definitivamente l’account. E sentirsi a proprio agio nella nuova dimensione che questa assenza determina.

In pratica: scaricare lo zip con i dati, poi aspettare che Facebook proceda. E sperare che nel frattempo gli amici o i datori di lavoro o il contesto sociale non si comportino come il pusher con il tossico che ha appena deciso di smettere. In ogni caso, resistere!

@kuliscioff

TAG: Cambridge Analytica, Facebook, google, instagram, LinkedIn, twitter, whatsapp
CAT: Big data, Privacy

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