Derivati e bolla Bitcoin: mix ad altissimo rischio

3 Gennaio 2018

13.500 $. Tanto valeva in media il 2 gennaio sui mercati un Bitcoin; il 27 dicembre il re delle valute digitali era a 16.450$ dopo un picco di quasi 20.000$ raggiunto solo pochi giorni prima. A fine dicembre 2016, quando il Bitcoin quotava intorno a 760 $ e contava appena 10 milioni di utenti in tutto il mondo, era impossibile aspettarsi una simile evoluzione. Le valute digitali erano un mercato di nicchia a rischio estremo, utilizzato essenzialmente per gli acquisti in nero di medicinali sul deep web. Totalmente non regolato, di difficilissimo accesso.

Nel 2017 l’esplosione, con l’interesse dei media aumentato esponenzialmente e la base utenti cresciuta del 100% a 21 milioni di utenti.  Un fenomeno che resta tutto da interpretare.

A guardare l’andamento parabolico del prezzo che ha segnato quasi un +2000% in 1 anno (cfr. Figura 1), qualunque esperto di finanza non potrebbe che riconoscere una bolla speculativa classica, senza bisogno di addentrarsi nelle caratteristiche tecniche di utilizzo della tecnologia crittografica.

Figura 1

Allo stato attuale, la maggioranza degli investitori acquista e detiene Bitcoin semplicemente con l’aspettativa che il valore cresca nel tempo e non prevede di farne utilizzo come moneta. Per il pubblico dunque Bitcoin ha assunto la forma di un asset speculativo ad altissima volatilità, assimilabile ad una commodity come i metalli rari o ad un’azione di un’azienda a rapidissima crescita. Ma un’azione speculativa, anche illiquida, assegna dei diritti legali nei confronti di una società  in termini decisionali e di dividendi.

Il Bitcoin, i suo cloni ed il resto delle valute digitali (definite alt-coins) non hanno invece un proprio valore intrinseco. I prezzi sono determinati semplicemente dall’incrocio di domanda e ed offerta sui singoli mercati di scambio; si tratta di prezzi spesso altamente illiquidi, diversi tra loro anche di migliaia di euro senza che sia possibile un arbitraggio tra i vari mercati per i limiti strutturali di Bitcoin e delle piattaforme di regolamento.

L’andamento particolarmente esplosivo della bolla dipende da alcuni fattori strutturali. L’offerta di Bitcoin è innanzitutto rigida e predeterminata dall’algoritmo che la definisce. In genere quando una bolla speculativa raggiunge la sua fase matura, il prezzo spinge l’offerta di “tulipani” a crescere. Ma solo altri 5 su un totale di 21 milioni di Bitcoin possono essere fabbricati, con una difficoltà di calcolo che cresce esponenzialmente nel tempo (cfr. Figura 2 e 3).

Figura 2

Figura 3

La Figura 2 mostra come la produzione di Bitcoin sia già in fase di forte rallentamento; il trend è (matematicamente) previsto decrescere fino a raggiungere il limite teorico di 21 milioni dopo il 2030. A quel punto l’energia elettrica per produrre un Bitcoin tenderebbe a diventare teoricamente infinita perché la difficoltà dell’algoritmo crittografico si accresce dinamicamente nel tempo. L’aumento dei costi di produzione del Bitcoin in termini di risorse di calcolo necessarie segue infatti un andamento esponenziale; guardando in Figura 3 si nota come per “coniare” circa 700.000 nuovi Bitcoin previsti per quest’anno la potenza computazionale della rete di miners sia dovuta crescere di 8 volte. è evidente dunque che anche dal lato dell’offerta, l’esigenza dei miners di recuperare i costi di produzione in tendenziale aumento è una forza che spinge il prezzo su una parabola crescente.

Inoltre l’immaturità del mercato rende estremamente difficile poter scommettere “contro” il prezzo del Bitcoin. Fino a pochi giorni fa l’unica strategia possibile per un operatore convinto dell’insostenibilità della bolla era di vendere direttamente grandi quantità di valuta digitale, molto costosa da ottenere in un mercato a prezzi rapidamente crescenti.

Infine, c’è da considerare l’assenza totale di investitori istituzionali. Allo stato attuale i fondi comuni o pensione o le banche di investimento non possono detenere Bitcoin in portafoglio per via dei rischi di custodia e controparte legate all’operatività su exchange non regolamentate. L’unica eccezione appare il Giappone dove da aprile il Bitcoin è riconosciuto come metodo legale di pagamento e ci sono decine di mercati regolamentati su cui operare.

Allarmismi a parte, non si tratta di una bolla pericolosa per i mercati finanziari (per ora). è proprio la quasi assenza di interconnessioni con il mondo esterno che rende impossibile la propagazione del rischio ad altri attori del sistema finanziario. In altri termini, chi investe rischia tutto ma non è in grado di danneggiare altri.

Nelle ultime settimane tuttavia gli scenari stanno – di nuovo – rapidamente mutando. Due dei principali mercati di derivati del mondo, la Chicago Merchantile Exchange (CME) e la Chicago Board Of Exchange (CBoE) hanno cominciato a negoziare futures su Bitcoin con regolamento in Dollari. Si può dunque scommettere sul prezzo del Bitcoin senza detenere valuta digitale e soprattutto senza abbandonare le regole della finanza classica. La riduzione del rischio di controparte appare al momento la maggiore preoccupazione degli operatori: i margini richiesti per operare sono elevatissimi: 43% del valore del future per la CBoE, 47% per la CME. Inoltre la regolazione per Dollari (cash-settlement) invece che per physical delivery, è più sicura e conforme agli attuali standard contabili, anche se ha lo svantaggio di indebolire il legame con il mercato d’origine favorendo la speculazione pura. Un passaggio al regime di physical delivery richiederebbe il riconoscimento di Bitcoin come valuta da parte delle principali banche centrali mondiali e nuove procedure contabili armonizzate a livello globale. Questo non sembra possa accadere nel breve.

Tuttavia con l’allargamento della platea di investitori sta diventando cruciale una corretta informazione; per uno strumento finanziario come Bitcoin disegnato esattamente per sfuggire ai divieti delle autorità monetarie, più che un futile tentativo di blocco appare sicuramente più utile la tracciatura di tutti gli operatori che entrano nelle valute digitali attraverso dei portali registrati e regolamentati, come la SEC sta avviando in USA con il market-maker Coinbase, il più popolare al mondo.

Dopo aver snobbato il fenomeno dunque, Wall Street riconosce l’esistenza delle valute digitali ed apre il mercato agli investitori istituzionali. Gli impatti potenziali di questi sviluppi sono enormi. Da un lato, il future instaura un meccanismo che rende più liquido e significativo il prezzo; questo potenzialmente limita i margini di crescita della bolla consentendo l’attuazione di vere strategie short, pur se rudimentali. . Il recente sell-off di Natale che ha visto Bitcoin perdere fino al 45% in pochi giorni mostra come in una situazione di bolla ci siano potenzialità di profitto enormi per strategie al ribasso ben congegnate.

Dall’altro c’è da aspettarsi che molto presto anche altre borse apriranno alla negoziazione in Bitcoin attraverso strumenti derivati più sofisticati, come le opzioni. La crisi del 2007-2008 dimostra che flussi in ingresso da investitori istituzionali e utilizzo massiccio di derivati sono proprio gli ingredienti che consentono la disseminazione incontrollata del rischio all’interno del sistema finanziario. Rendendo veramente pericolosa una semplice bolla speculativa.

TAG: bitcoin, bolla speculativa, Borsa valori, criptovalute, exchange, futures, market maker
CAT: Capitali, Innovazione

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