The Lobster: cinema wittgensteiniano

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5 Maggio 2016

In occasione del prossimo Festival di Cannes, sperando di poter sperimentare la visione di opere che spingano sempre più in là l’orizzonte del cinema contemporaneo, qui si analizza – come buon auspicio… – un lungometraggio significativo della precedente edizione. The Lobster è l’ultimo film di Yorgos Lanthimos, quarantenne cineasta greco, molto apprezzato dal pubblico dei festival cinematografici. Cast e produzione internazionali (Colin Farrell, Rachel Weitz, Léa Seydoux, Ben Whishaw e John C. Reilly) uscito nel 2015, il lavoro del regista greco ha definitivamente consacrato il suo stile e taglio autoriali, pregni di paradossi surreali e di richiami alla storia del cinema per raccontare sentimenti, sensazioni e vite di essere umani a noi contemporanei, ma allo stesso tempo rappresentabili oltre qualsiasi temporalità.
Il film racconta di come in un futuro prossimo e immaginario essere single sia vietato, pena l’arresto e la deportazione in un grande hotel nel quale si è obbligati a trovare l’anima gemella in 45 giorni di tempo, allo scadere dei quali  – se non dovessero trovarla – gli ospiti saranno trasformati in un animale a loro scelta. Appena fuori dall’albergo c’è un bosco dove si trovano i ribelli, chiamati i solitari, individui fuggiti che vivono liberi e single, a cui non è concesso però di stare con nessuno. David, il protagonista Colin Farrell, è un architetto appena rimasto solo che transiterà prima nella grande struttura ricettiva – decidendo, se succedesse, di trasformarsi in aragosta – senza incontrare quell’amore obbligatorio che poi invece troverà in mezzo ai ribelli (Rachel Weitz), là dove non è consentito.

Qui si proverà ad analizzare il film come vera e propria opera wittgensteiniana, cioè richiamandosi alla filosofia di Ludwig Wittgenstein (1889-1951), in special modo al testo Ricerche Filosofiche, edito postumo da suoi allievi dell’università di Cambridge, dove studiò ed insegnò in due archi temporali differenti (interrotti dalla I guerra mondiale e da impegnative scelte personali) della sua vita. Il film di Lanthimos può essere infatti letto come pratica artistica di giochi linguistici – nucleo basilare del pensiero di Wittgenstein, sviluppatosi come radicale cambiamento rispetto alle prime riflessioni giovanili, ed idea iniziatrice della svolta linguistica che attraversò la filosofia nel ‘900. Parliamo cioè di contesti connaturali all’esistenza umana (forme di vita) che ne descrivono-giustificano i molteplici ed indeterminati aspetti, indagabili grazie il linguaggio comune-ordinario a cui ogni persona viene educata; il seguire una regola, l’uso, l’attività pubblica della quale sono intessuti, il vedere come e le somiglianze di famiglia sono le caratteristiche fondamentali dei giochi linguistici [vedi L. Wittgenstein, Ricerche Filosofiche, Einaudi, Torino, 2014 – I, sez. 23]. Si utilizzerà perciò lo stesso stile del filosofo austriaco per esplorare le dinamiche del film che consentiranno di mostrare tali analogie e similitudini, scrivendo quindi per paragrafi o sezioni:

Lobster locandina

1. Le forme di vita uniche consentite sono quelle comunitarie. Senza relazioni, non è possibile la società.

2. Nella struttura alberghiera vengono realizzate quotidianamente lezioni esemplari, secondo un linguaggio ostensivo, per riavvicinare alla vita sociale gli individui che si ritrovano soli, dimentichi della comunicabilità tra persone.

3. Impossibilità dunque di un linguaggio privato, come di una vita privata.

4. Educazione degli adulti. Come i bambini in una scuola, le persone vengono istruite nuovamente.

5. La trasformazione in animale: metafora dell’impossibilità di una comunità – e di un linguaggio – basati solo su se stessi.

6. Somiglianze di famiglia: vengono ricercate caratteristiche in comune per trovare il proprio partner.

7. Esiste però una voce della tentazione in ogni individuo che lo porta a ribellarsi a questo stato di cose, a questa impossibilità di vivere privatamente (David-Farrell ne sembra sopraffatto…). Mentire non basta e non serve, si viene scoperti.

8. Possibile un’esistenza solitaria? Individui in questo stato vengono braccati come se fossero in una battuta di caccia alla volpe.

9. Fuga dalla vita comunitaria. I Solitari: non sono altro che una tribù-società alternativa, pur sempre plasmata da regole e linguaggi da apprendere ed adottare.

10. David-Farrell e la donna-Weitz: loro incontro è scoperta della possibilità di un linguaggio nuovo, immaginabile ed inventato, purché sia comune. Loro infatti condividono forme di vita, come il sentimento dell’amore.

11. Dunque, il seguire una regola non è azione rigida, ma viene plasmata nel vissuto e dall’esperienza. Si può sempre superare, cambiare, per rispondere al mondo in cui viviamo.

12. La Città come immagine, metafora: labirinto di strade, strutture e formalità del nostro linguaggio-forme di vita-società.

13. I solitari, a cominciare dalla leader-Seydoux, scoppiano a causa dunque dell’impossibilità di un linguaggio-vita privati. I sentimenti di gelosia, rabbia ed invidia in questo caso rappresentano come le forme di vita – la loro comunicabilità – siano estremamente profonde e radicate nell’essere umano.

14. Ma perdendo la somiglianza di famiglia – la possibilità di mondo e linguaggio comuni – è realizzabile ancora una condivisione della realtà? Esiste una terapia per ciò? Il film non potrà rispondere…

TAG: Ben Whishaw, cannes, cinema, colin farrell, critica cinematografica, Cultura, festival di cannes, Filosofia, forme di vita, giochi linguistici, John C. Reilly, Léa Seydoux, Ludwig Wittgenstein, rachel weitz, Ricerche Filosofiche, The Lobster, Yorgos Lanthimos
CAT: Cinema, Filosofia

Un commento

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  1. marina-serafini 8 anni fa

    Wittgenstein sosteneva la normale comunicabilità tra i giochi linguistici, identificando in tale fluidità strutturale l’elemento di ricchezza proprio della comunicabilita’, condizione sostanziale della possibile quanto auspicabile evoluzione umana. L’autore rifiutava il solipsismo sistemico: l’uomo si è fatto e si fa nella continuità del processo interattivo che lo accompagna, costituendolo necessariamente da sempre. Il rifiuto del linguaggio assolutamente privato è quello che gli fa dire che per “capire che tre è un numero bisogna avere una pur vaga percezione di cosa sia un numero”. Il senso di tale affermazione rimanda proprio al suddetto concetto di continuità interattiva necessaria. Un po’ il concetto gadameriano della “tradizione”, che ci fa e che noi stessi facciamo, in quanti vi siamo già nati e vi operiamo attraverso , modificandone il corridoio in cui si troveranno già gli altri che verranno.
    Il rifiuto del gioco privato -la comunicazione/amore tra i due- all’interno del film non mi sembra corrispondente al rifiuto di linguaggio privato come indicato da Wittgenstein. Nel film i due amanti sono in un processo di continuità sociale e comunicativo con il contesto in cui agiscono. La comunità non li rifiuta per mancata possibilità di comprensione: la comunità è comunque composta da esseri umani, non da alieni, e in quanto tali condividono quel sentire comune che appartiene alla forma di vita primigenia; loro lo sanno, in breve, che cosa è un numero.
    Comunque complimenti: articolo interessante!

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