Clima e paesi in via di sviluppo: la speranza nei bambini

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7 Dicembre 2015

 

I bambini del Sud del mondo rappresentano la fascia più vulnerabile e che più soffre gli effetti del cambiamento climatico: l’alternarsi delle siccità e delle alluvioni causano scarsità alimentare e di risorse idriche, esponendo milioni di bambini alla malnutrizione e alla disidratazione con conseguenze irreversibili per il loro sviluppo.

Sono costretti a crescere in fretta, ad adattarsi a situazioni climatiche sempre più estreme e sono quindi privati della loro condizione di bambino, di quella fase della crescita fatta di giochi, di sogni e di apprendimento cognitivo, di cui tutti noi appartenenti ai cosiddetti Paesi Sviluppati abbiamo avuto il diritto di godere da piccoli.

Eppure, nonostante ciò, questi bambini non hanno una voce, il loro grido d’aiuto rimane inascoltato dal mondo occidentale, in quanto non hanno il diritto di partecipare alle discussioni e alle trattative per raggiungere gli accordi globali sul cambiamento climatico come quello che si sta tentando di raggiungere in questi giorni durante la COP 21 di Parigi.

Durante il side event “Climate Change and Children’s Rights: Children as vulnerable group and agents of change” tenutosi nella giornata dedicata alla gioventù e alle generazioni future (3 dicembre 2015), alcuni membri della “Children in a Climate Coalition”, che si batte per difendere e promuovere i diritti dei bambini come agenti di cambiamento negli accordi globali, tra cui Save the Children, UNICEF, Plan International, ChildFund Alliance e World Vision International, è stata evidenziata l’importanza di uno sviluppo attento ai bisogni dei bambini, invitando le istituzioni e le organizzazioni umanitarie ad impegnarsi a lavorare con i bambini nel pieno riconoscimento della loro capacità di prepararsi e rispondere al cambiamento climatico.

È importante capire cosa pensano i bambini e i giovani del cambiamento climatico e indagare su come affrontano le difficoltà con cui si scontrano tutti i giorni, in modo tale da stimolare la loro partecipazione attiva e poterli coinvolgere concretamente nelle decisioni politiche sull’adattamento.

Proprio per questo motivo il protagonista del side event è stato Cahaya Penjijawi, un bambino di soli 11 anni proveniente dall’East Sumba, un’isola dell’Indonesia che da anni soffre per colpa delle siccità. Cahaya, che significa luce in indonesiano, ha raccontato di come è difficile studiare sulla sua isola, perché lui e gli altri bambini sono costretti ad andare a cercare dell’acqua dolce sempre più lontano per aiutare i genitori a coltivare i piccoli campi che insieme alla pesca rappresentano la loro unica fonte di sostentamento.

bambino
Nel mio villaggio – ha spiegato – ogni volta che nasce un bambino, i genitori piantano un albero, è il nostro modo di mantenere l’armonia con la natura, ogni volta che nasce un essere umano, nasce anche una pianta. Per colpa della siccità questo non è stato più possibile.

Wahana Visi Indonesia (partner di World Vision International), insieme al governo locale, ha avviato un programma chiamato Utang Na Anamu, “Foresta per i nostri figli”. Attraverso questo programma si aiutano gli abitanti del villaggio a piantare sempre più alberi come materia prima in uno spazio comune, il cui fatturato sarà utilizzato per l’educazione dei figli in futuro. La riforestazione del progetto Utang Na Anamu è stata possibile grazie all’aumento di stoccaggio dell’acqua, di cui ha potuto beneficiare anche la coltivazione locale di mais e fagioli, migliorando l’alimentazione dei bambini e quindi permettendo loro di tornare a scuola e di crescere sviluppandosi in modo sano.

Il progetto Utang Na Anamu si è quindi tradotto effettivamente in una foresta per i figli degli abitanti dell’East Sumba, combattendo progressivamente la piaga della siccità e insegnando ai bambini ad amare e a prendersi cura dell’ambiente.

di Francesca Guarnieri, delegazione giovanile italiana

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