Cop21: la beffa di un accordo vincolante, ma senza obblighi per chi sottoscrive

8 Dicembre 2015

di Terfé Gerotto e Federico Brocchieri

È in corso in questi giorni a Parigi la COP21, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che dovrà portare al raggiungimento di un nuovo accordo globale.

Molte discussioni, attualmente, pongono al centro del dibattito proprio la natura giuridica dell’accordo che verrà approvato al termine del summit: ci si chiede infatti se esso sarà legalmente vincolante e se gli Stati che non rispetteranno quanto sottoscritto, potranno incorrere in sanzioni.

VINCOLANTE O NON VINCOLANTE?

Un’accurata analisi della questione fonda le basi sul significato dell’espressione “legally binding” (legalmente vincolante) e sulle ripercussioni di tale definizione sul testo: per essere definito tale, un accordo deve essere vincolante nella sua interezza o possono essere vincolanti anche solo alcune parti di esso?

Con un elevato grado di fiducia, è possibile affermare che l’accordo di Parigi sarà legalmente vincolante. Tuttavia, al contrario di quanto si possa ritenere, tale definizione significa che si tratterà soltanto di un accordo – espresso per iscritto – fra due o più Paesi: non vi sarà invece alcuna implicazione diretta rispetto al grado di vincolo degli elementi al suo interno.

In particolare, poiché il testo negoziale finale sarà a tutti gli effetti un accordo internazionale (ed in quanto tale considerato “soft law”), nessuno Stato potrà di fatto essere obbligato a rispettare tutti i punti in esso contenuti. In effetti, già nella natura degli obiettivi presentati dai paesi, denominati “contributi nazionali volontari” (in inglese “INDCs), era possibile intuire come – essendo determinati a livello nazionale – non sarebbero stati soggetti a meccanismi sanzionatori diretti. Ad avvalorare questa tesi, il parere di alcuni esperti presenti alla Conferenza secondo i quali il valore legale degli elementi dell’Accordo dipenderà solo ed esclusivamente dai termini che saranno rispettivamente utilizzati riga per riga: ecco dunque come la scelta di “shall” (dovere), piuttosto di “shall strive to achieve” (si sforzano di conseguire) o ancora “are encouraged to” (sono incoraggiati a) sarà determinante nel definire il grado di vincolo dell’oggetto delle frasi, rendendo di conseguenza l’Accordo di Parigi composto da elementi vincolanti e non vincolanti.

A complicare ulteriormente la situazione, il fatto che l’esito della COP21 sarà composto da almeno due documenti distinti: l’Agreement (Accordo), contenente le disposizioni generali e a lungo termine valide per tutto il periodo d’impegno (che con ogni probabilità assumerà la forma di un protocollo, scelta che però a sua volta non avrà particolari ripercussioni legali) e la COP Decision, che racchiuderà invece le decisioni specifiche ed aggiornabili di anno in anno, assieme agli allegati dei contributi nazionali volontari ed all’atto di adozione dell’Agreement. E se la firma dei Capi di Stato sarà necessaria per il primo documento (che sancirà un periodo d’impegno dal 2020 al 2030), lo stesso non sarà per il secondo la cui approvazione spetta al Presidente di turno della COP.

OBAMA SI, OBAMA NO.

barack-obama-cop21Altra questione spinosa riguarda gli Stati Uniti: riusciranno ad aderire nonostante la maggioranza repubblicana al Congresso che bloccherebbe qualunque proposta in tema di cambiamenti climatici? Proprio per questa ragione, sempre a sentire gli esperti, gli USA non firmeranno mai qualcosa che – per sua natura – vada a richiedere l’approvazione del Congresso: ciò può essere infatti scongiurato, sfruttando i poteri esecutivi del Presidente Obama che per Costituzione ha la facoltà di vincolare gli Stati Uniti ad un “accordo” internazionale se e solo se gli obblighi che ne derivino possano essere soddisfatti tramite le leggi già esistenti. Poiché il Congresso approvò, oltre 20 anni fa, l’adesione alla Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite (UNFCCC), un escamotage potrebbe essere rendere – come pare sarà – l’Accordo di Parigi un accordo “under the Convention”, ovvero nell’ambito delle finalità del testo della Convenzione Quadro del 1992.

QUALE FUTURO?

COP21Come si può allora sperare di vedere risultati concreti, se niente ci garantisce che i Paesi “facciano i compiti”? Nella realtà, il nodo spesso è più pratico che formale: infatti, sebbene i Paesi probabilmente non saranno passibili di sanzioni, eventuali inadempienze comporterebbero comunque conseguenze significative, con danni non indifferenti in termini di reputazione e, di riflesso, economici.

Oltre alle ricadute sul consenso nazionale – per il fatto di risultare fra i pochi paesi ad eludere un problema che riguarderà le generazioni attuali e future – anche a livello internazionale scatterebbero una serie di meccanismi che determinerebbero ad esempio la perdita di reputazione, di finanziamenti, di accesso ai meccanismi di mercato e tanto ancora, se un Paese non rispettasse gli impegni o dovesse addirittura decidere di abbandonare l’accordo. Sanzioni “indirette”, insomma.

E se a qualcuno può importare poco dell’immagine, a nessuno non interessa del proprio portafoglio

 

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CAT: clima, Parigi
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