La comunicazione sociale è sulla buona strada

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14 Gennaio 2017

L’iniziativa del MIT sulla prevenzione degli incidenti stradali dovuti a comportamenti rischiosi rappresenta un ottimo esempio di campagna sociale efficace

Il tema delle campagne pubblicitarie con finalità sociali è piuttosto spinoso, soprattutto in Italia. Storicamente, le immagini scioccanti che caratterizzano questo genere di comunicazione nei paesi anglosassoni da noi funzionano molto poco. Anzi, talvolta producono l’effetto contrario a quello che si desidera, ovvero una sorta di rimozione collettiva che ci porta a pensare che quelle scene siano troppo brutte ed inquietanti per riguardarci davvero.

A questo proposito, lo scorso settembre abbiamo avuto modo di analizzare come alcune campagne su droga e aids siano risultate fallimentari proprio per un approccio troppo impattante, oltre che per alcuni difetti di ordine culturale in merito alle tematiche specifiche.

L’esempio positivo è invece rappresentato dalla campagna “Sulla buona strada”, lanciata nel corso del 2016 dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. L’oggetto del messaggio era tutt’altro che nuovo (i rischi derivanti da errati comportamenti alla guida), ma lo stile comunicativo è stato pienamente azzeccato, suscitando unanimi consensi.

L’appalto per questa campagna è stato assegnato a TBWA Italia, che fa parte dell’omonimo gruppo internazionale fondato a Parigi nel 1970 e che si è occupato di grandi brand come Coca Cola, Absolut Vodka, Air France e Philip Morris. Sebbene TBWA a livello globale si autodefinisca “the disruption Company”, lo stile adottato per “Sulla buona strada” è stato tutt’altro che “disruptive” (dirompente). Anzi, va sottolineata positivamente la scelta di non mostrare immagini shock di incidenti o corpi feriti, per lasciarle invece immaginare allo spettatore. Invece del classico “pugno nello stomaco”, del quale la pubblicità spesso abusa, si punta su volti inquadrati in primo piano che raccontano storie comuni, le quali poi prendono una piega inattesa.

Complici le luci che sfumano sullo sfondo, i protagonisti rivelano di essere rimasti vittime di comportamenti imprudenti sulla strada, inducendo immediatamente nello spettatore un senso di immedesimazione. La sovraimpressione della data di nascita e di morte (quest’ultima è sempre il 2016) conferisce solennità al messaggio, ma senza il senso di angoscia derivante da campagne analoghe, nelle quali invece si adotta un registro severo e colpevolizzante.

Con estrema semplicità, ma nel contempo con grande abilità, i cinque video affrontano altrettante imprudenze ricorrenti, dal punto di vista delle persone. Il video su Paolo punta sulla necessità di usare le cinture di sicurezza, quello su Carolina sulla distrazione rappresentata dal cellulare, la storia di Giorgia sottolinea l’importanza di rendersi ben visibili quando si va in bici, il video su Fabio e Dario punta sugli “utenti deboli” (ciclisti e motociclisti) e quello riguardante Luca ricorda l’importanza di usare sempre i dispositivi di sicurezza appositi, quando si portano in auto i bambini.

Nulla di particolarmente nuovo, come abbiamo già detto, se non nello stile: sarebbe stato facile veicolare gli stessi messaggi usando l’imperativo, ma il risultato sarebbe stato decisamente meno efficace.

TAG: campagna pubblicitaria, incidenti, mit, pubblicità progresso
CAT: costumi sociali, Media

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