Bracciale Amazon, legami pericolosi. Innovazione estrattiva o inclusiva?

5 Febbraio 2018

di Luca Stanzione (Segretario Generale FILT-CGIL Milano)

Facciamo un’ipotesi: il braccialetto elettronico che Amazon vuole infilare ai polsi dei propri dipendenti non vibra e non fornisce alcuna informazione al lavoratore se non il dispendio di calorie, il numero di passi compiuti, la distanza a piedi percorsa. Al contrario, senza un neppur eccessivo sistema di rilevazione del movimento, fornisce al software non solo la posizione e gli spostamenti ma anche i movimenti del corpo, la postura, il peso dei pacchi e delle confezioni, il minimo movimento del corpo, del braccio e della mano. Il braccialetto memorizza, codifica e trasmette le scelte che il cervello dei lavoratori compie per svolgere quel lavoro e quella mansione.

Facciamo ora un’altra ipotesi: che la mole di dati che il braccialetto acquisisce sia la base di calcolo e di progettazione di una tecnologia meccanica che preleva e distribuisce i pacchi.

Qualche mese fa ho visitato il reparto di manutenzione di un’azienda che svolge trasporto ferroviario potendo guardare coi miei occhi un intero magazzino di prodotti, piccoli pezzi di ricambio, viti, guarnizioni, gestito unicamente in un armadio presso il quale l’addetto non ha che da chiedere il pezzo di ricambio necessario, la vite del calibro utile. L’armadio preleva, da solo, il singolo pezzo, e lo fornisce all’operatore. Un intero magazzino gestito senza alcun intervento umano.

E se il braccialetto fosse solo uno stadio intermedio, se l’obbiettivo di quella tecnologia fosse un altro?

Un intero ciclo di produzione in cui il robot sostituisce l’uomo.

Se fosse così, si aprono diverse questioni a cui i fan della disumanizzazione del lavoro non hanno ancora risposto. Per esempio: se un sistema digitale codifica i miei movimenti e quindi riesce a codificare il mio sistema di ragionamento più o meno inconscio si sta appropriando della mia intelligenza, del mio saper fare, del mio saper lavorare e quindi della mia professionalità. Se fosse così dobbiamo farci una domanda: chi paga questa professionalità “rubata”?

Un lavoratore di un magazzino o un driver percepiscono circa 8,80 euro per ogni ora lavorata senza braccialetto. Se allo stesso lavoratore viene “chiesto” di fornire i dati del proprio lavoro, viene richiesta un’ulteriore mansione. Chi la retribuisce? E qualora si riuscisse a determinare un incremento di retribuzione monetaria, questa sarebbe sufficiente per ripagare il fatto che in prospettiva quella stessa azienda potrà fare a meno dello stesso lavoratore?

Rimaniamo sempre nel campo delle ipotesi. I processi produttivi investiti di innovazione  per loro stessa natura mutano e cambiano velocemente. Qualora quel processo di lavoro fosse completamento automatizzato, sarebbe in grado di aggiustare i propri movimenti alla stessa velocità con la quale le persone correggono i propri? Oppure sarebbe necessario comunque ricorrere all’intelligenza umana? E in quali forme e in quali lavori?

Se succedesse tutto questo, si aprirebbe per chi ragiona di impresa, per chi rappresenta il lavoro, per i decisori pubblici e per la politica il grande problema di come si accompagna la trasformazione dei processi produttivi e la riqualificazione di quelle persone che oggi svolgono mansioni che verranno superate.

Cambiamenti che in altri ambiti le imprese e il sindacato confederale italiano ed europeo hanno già affrontato: l’automazione dei caselli autostradali, i treni della metropolitana senza autista, i processi industriali di assemblaggio delle automobili, etc.

Già oggi esistono nella filiera dei trasportatori dei prodotti e-commerce strumenti come i palmari in dotazione ai lavoratori. Sono palmari che “consigliano” il tragitto di consegna dei pacchi acquistati. Sistemi che escludono qualsiasi conoscenza di quei lavoratori. Oggi il palmare decide il tragitto e i tempi di consegna ma non tiene conto del fatto che i lavoratori hanno conoscenze maturate costantemente nel lavoro che svolgono. Per esempio: se so che in un condominio vi è la presenza del portinaio ad un certo orario, so che quel pacco è più utile consegnarlo prima di altri, perché questa scelta fa risparmiare tempo sul tragitto di consegna.

In un’azienda di questa tipologia il sindacato ha sottoscritto un accordo che istituisce una commissione paritetica per la gestione dei dati che il palmare acquisisce anche quando i lavoratori “disobbediscono” alle indicazioni dell’algoritmo per risparmiare sui tempi di consegna.

Riqualificazione, formazione e reimpiego di quei lavoratori diventeranno quindi – se l’ipotesi è verosimile – il campo di confronto, scontro e contrattazione. Un campo in cui la politica – e nella politica, la sinistra – deve decidere se giocare un ruolo attivo e di governo del cambiamento oppure essere spettatore.

Infine c’è la libertà del e nel lavoro, che non può mai essere controbilanciata da una contropartita economica, dalla retribuzione.

I fan e i detrattori del nuovo per il nuovo riducono il tema solamente ad applicazione della normativa. Cosa si è detto in queste ore di campagna elettorale? Sommariamente: i detrattori del Jobs Act sostengono che dopo la modifica dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori tutto è possibile, i difensori del Jobs Act dicono e scrivono che comunque in definitiva ci sono le Direzioni Territoriali del Lavoro (il Ministero). Entrambe non rispondono ad alcuni temi di fondo. Il più semplice: se viene indetta un’assemblea sindacale e ho un braccialetto che rileva dove sono, o tolgo il braccialetto o ci vado con il braccialetto, in entrambe i casi vengo tracciato. Se devo usufruire dei servizi igienici o c’è un calo di ritmo di lavoro e devo necessariamente rallentare, oppure decido di rallentare il ritmo per poi incrementarlo nei minuti successivi, se accuso della stanchezza fisica e devo recuperare delle energie, come concilio le esigenze umane con il sistema di produzione e velocità aziendale?

Diverse testimonianze di lavoratori Amazon raccolte in questi mesi raccontano di un sistema (ancora senza braccialetto) in cui dei supervisors intervengono se rilevano un rallentamento dell’attività del lavoratore, fino a stabilire se quel lavoratore potrà ancora avere il proprio posto di lavoro. Chi stabilisce questi criteri? Chi decide quale ritmo e quale spazio di libertà può avere una singola persona nel proprio posto di lavoro? Oggi a determinarlo è l’azienda in modo unilaterale con la supponenza di conoscere la professionalità delle persone che per essa lavorano.

Sarebbe necessario discutere e normare un livello di privacy dei dati che i sistemi elettronici rilevano. Un limite oltre a cui nessuno è consentito accedere, perché quel confine stabilisce il perimetro tra la funzione della persona e la persona stessa.

L’e-commerce e l’economia della connessione potrebbero rivoluzionare – ad incominciare dalle grandi aree metropolitane- il sistema non solo di distribuzione delle merci, ma la determinazione del valore dei singoli prodotti. Una rivoluzione che ha bisogno di governo, contrattazione, conflitto, opposizione e di etica, ovvero dei limiti e – in definitiva- di regole che di volta in volta bisogna porre per accompagnare la trasformazione della produzione e del lavoro affinché l’innovazione sia compatibile con il valore del lavoro, la sua umanità, la sua intelligenza, la sua libertà.

TAG: digitale, inclusione, innovazione, Lavoro
CAT: lavoro dipendente, Occupazione

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