Cosa succede in Myanmar

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28 Agosto 2017

Da circa tre giorni in Myanmar (o Birmania) ha ripreso la guerra tra le forze di sicurezza birmane e l’esercito Arakan per la Salvezza dei Rohingya, causando moltissime vittime. I morti sono già 98, di cui 80 tra i ribelli. Molti della minoranza Rohingya hanno lasciato le loro abitazioni nello stato del Rakhine, oltrepassando il confine ed entrando in Bangladesh, con il rischio di essere respinti. Ieri, in occasione dell’Angelus, Papa Francesco, che visiterà Myanmar e Bangladesh nel mese di novembre, ha ricordato la condizione di oppressi della minoranza musulmana.

Colpisce che del governo in carica oggi in Myanmar faccia parte un’attivista birmana per i diritti umani, premio Nobel per la pace e leader della Lega Nazionale per la Democrazia Aung San Suu Kyi.
Suu Kyi, esortata più volte ad attivarsi per garantire i diritti agli oppressi, ha rotto un silenzio durato mesi sul tema. La donna ha addossato però le intere colpe delle violenze ai Rohingya, definendoli terroristi, colpevoli di usare “bambini soldato”, addirittura con la cooperazione di alcune Ong. Le informazioni sono però difficili da reperire perché la zona dello stato nord occidentale del Rakhine è chiusa a cameraman e giornalisti. Il Rakhine, un tempo miniera d’oro del riso, è oggi uno stato poverissimo e teatro di continue violazioni dei diritti umani.

Ma perché il Myanmar perseguita i Rohingya?

Il problema (si dice) è la religione. I Rohingya, un tempo commercianti e originari del Bangladesh, sono musulmani. Il Myanmar è a maggioranza buddhista. I Rohingya sono poco meno di un milione su una popolazione totale di 50. La maggior parte di loro vive nello stato di Rakhine che in passato si chiamava Arakan, da cui il nome del loro movimento. Molti Rohingya sono stati relegati in ghetti o sono fuggiti in campi profughi in Bangladesh e sulla zona di confine tra Thailandia e Myanmar. Più di 100 000 Rohingya vivono in campi per sfollati, anche perché le autorità hanno proibito loro di lasciarli.
Nel 2012 la situzione è ulteriormente peggiorata: è avvenuto un omicidio di una ragazza buddhista e tre giovani musulmani sono stati accusati del fatto. Gli scontri tra le due etnie sono diventati violentissimi. Da quel momento, secondo l’UNHCR, sono 160 mila i Rohingya che hanno abbandonato il Myanmar, anche verso la Malesia e l’Indonesia. I Rohingya non hanno cittadinanza, non hanno diritto di voto, hanno grossi limiti nell’accesso all’istruzione. L’ultimo rapporto sullo Stato del Rakhine sottolinea con preoccupazione il problema della radicalizzazione, ragione usata anche come giustificazione per la violenza perpetrata nei confronti di tutta la popolazione Rohingya.

 

(Foto di copertina © EU/ECHO, Flickr.com)

 

 

TAG: Aung San Suu Kyi, Birmania, Myanmar, Rohingya
CAT: diritti umani, Geopolitica

Un commento

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  1. evoque 7 anni fa

    Aung San Suu Kyi non mi ha mai convinto. Quando poi seppi che lei rimase in Birmania mentre il marito, malato terminale di cancro, si stava consumando in Gran Bretagna e che neppure lasciò la Birmania – lei disse perché altrimenti le avrebbero impedito di rientrare – per dare l’ultimo saluto al marito defunto, la mia disistima nei suoi confronti divenne totale. E’ una delle tante eroine di carta che vivono grazie a una stampa compiacente che le innalza a esempio. Ma di che?

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