Tutto quello che c’è da sapere sulle proteste in corso negli Stati Uniti

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31 Gennaio 2017

L’ordine esecutivo

Sabato 28 gennaio Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che ha sospeso per 120 giorni il programma di ammissione dei rifugiati nel paese, lo U.S. Refugee Admissions Program (Usrap), ha vietato per 90 giorni l’ingresso per i cittadini di sette paesi a maggioranza mussulmana (Iran, Iraq, Siria, Sudan, Libia, Somalia, Yemen) anche se in possesso di regolare visto e ha sospeso a tempo indeterminato il programma di accoglienza dei rifugiati siriani. Il divieto è motivato dalla Casa Bianca e dal Partito Repubblicano con l’intenzione di “Proteggere la nazione dall’ingresso negli Stati Uniti di terroristi stranieri”. Tuttavia, gran parte degli esperti fa notare che il divieto non solo non ridurrà il pericolo, ma lo accrescerà.

Nelle ore immediatamente successive alla firma dell’ordine esecutivo, i rifugiati che erano già in viaggio verso gli Stati Uniti e il cui arrivo era già stato approvato sono stati bloccati negli aeroporti. Stessa sorte è toccata ai cittadini di quei sette paesi inclusi nell’ordine esecutivo che erano già in viaggio verso gli Stati Uniti muniti di visto. E’ stata a lungo incerta, invece, la situazione delle centinaia di migliaia di persone provenienti da quei sette paesi e in possesso di visto (sia Immigrant Visa che Non-Immigrant Visa), buona parte delle quali vive e lavora negli Stati Uniti. Il rischio era che fossero espulse dagli Stati Uniti o che non potessero più farvi ritorno nel caso in cui fossero uscite. Domenica sera il Ministro della Sicurezza Nazionale John Kelly ha detto che il divieto di ingresso non sarà applicato ai possessori di Immigrant Visa (nota anche come Green Card). Resta però ancora incerta la situazione dei possessori di tutte le altre decine di visti indicati come Non-Immigrant Visa.

Donand Trump firma l’ordine esecutivo che, fra le altre cose, sospende per 120 giorni il programma di ammissione dei rifugiati negli Stati Uniti (Peter Stevenson/The Washington Post).

Le proteste negli Stati Uniti

A partire da sabato in tutto il paese è cresciuta una forte mobilitazione popolare. La Casa Bianca, sommersa dalle telefonate di protesta, ha sospeso la linea telefonica per i cittadini. Nei principali aeroporti degli Stati Uniti si sono svolte manifestazioni di protesta contro l’ordine esecutivo firmato da Trump e sono arrivati degli avvocati per cercare di risolvere la situazione di quelle persone che non possono più entrare negli Stati Uniti dopo esservi atterrate. Diverse migliaia di persone hanno protestato di fronte alla Casa Bianca.

Il giudice Ann Donnelly di Brooklyn, accogliendo il ricorso di un’organizzazione per i diritti umani, ha sospeso alcuni effetti dell’ordine esecutivo firmato da Trump e ha stabilito che temporaneamente rifugiati e stranieri non dovranno essere rimpatriati. Altri giudici sono intervenuti con provvedimenti analoghi. Coloro che si oppongono all’ordine esecutivo  sostengono che da una parteil divieto di ingresso e la conseguente detenzione violi il diritto al giusto processo sancito dal sesto emendamento, dall’altra che accogliere selettivamente gli immigrati in base ad un criterio religioso sia incostituzionale e violi la libertà di religione sancita dal primo emendamento.

Andrew Cuomo, governatore dello stato di New York, ha chiesto agli uffici governativi di esplorare tutte le possibili opzioni legali per aiutare le persone bloccate negli aeroporti e ha chiesto alla polizia di permettere a migliaia di manifestanti di usare la metropolitana per raggiungere l’aereoporto ed unirsi alle proteste. La New York Taxi Workers Alliance, un sindacato di tassisti di New York, ha indetto uno sciopero di un’ora in contestazione con l’ordine esecutivo del Presidente. Bill De Blasio, sindaco di New York, è intervenuto ad una manifestazione di Battery Park, condannando il divieto e invitando i presenti a “battersi per i valori di questa città e di questo paese”.

Hillary Clinton ha scritto su Twitter: “Sono dalla parte di coloro che stanno manifestando in tutto il paese per difendere i nostri valori e della nostra Costituzione. Questo non è quello che siamo”. Diversi parlamentari Repubblicani, tra i quali  hanno criticato l’ordine esecutivo firmato da Trump. Il senatore John McCain ha detto in un’intervista televisiva che “in alcune regioni l’effetto sarà di facilitare la propaganda dell’ISIS” e ha ribadito su Twitter che il divieto potrebbe avere conseguenze controproducenti. Centinaia di accademici, inclusi 13 premi Nobel, hanno firmato una petizione per opporsi all’ordine esecutivo di Trump, definito da più parti illegale oltre che contrario ai valori e alla storia della democrazia americana. Lunedì 30 gennaio si è svolta una protesta dei parlamentari Democratici davanti alla Corte Suprema, a Washington.

I guru dell’hi-tech americano e i capi di grandi aziende multinazionali hanno criticato l’ordine esecutivo di Trump. Mark Zuckerberg, Ceo di Facebook, ha scritto: “Se non ci fossero stati gli immigrati in Usa non ci sarebbe stata questa grande nazione con la sua forza economica, politica e sociale”. Alle parole di Zuckerberg hanno fatto eco quelle di Tim Cook, Ceo di Apple: “La nostra azienda non esisterebbe senza l’immigrazione. Senza l’apporto di tutte le intelligenze, senza discriminazioni religiose, la nostra nazione non potrà prosperare e portare avanti l’innovazione”. Brian Chesky, Ceo di Airbnb, ha criticato l’ordine esecutivo firmato da Trump e ha annunciato che la sua compagnia offre alloggi gratuiti per i rifugiati e per i viaggiatori a cui è stato vietato l’ingresso negli Stati Uniti. Howard Schultz, Ceo di Starbucks, ha annunciato l’intenzione di assumere 10mila rifugiati nei prossimi cinque anni.

Le proteste fuori dal John F. Kennedy International Airport di New York, il 28 gennaio (AP Photo/Craig Ruttle)

Le reazioni all’estero

Molti leader internazionali hanno criticato l’ordine esecutivo firmato da Trump. Mohammad Javad Zarif, ministro degli esteri iraniano, ha detto che l’ordine esecutivo rappresenta “un chiaro insulto al mondo islamico”. Il Parlamento iracheno ha chiesto al governo di adottare il principio della reciprocità rispetto al divieto imposto dalla Casa Bianca ai cittadini iracheni diretti negli Usa, vietando l’ingresso ai cittadini americani per 90 giorni. Ahmed Aboul Gheit, segretario generale della Lega Araba, si è detto “profondamente preoccupato”.

Il primo ministro canadese Justin Trudeau ha scritto su Twitter: “A tutti coloro che scappano dalle persecuzioni, dal terrore e dalla guerra, il Canada vi darà il benvenuto, indipendentemente dalla vostra fede. La diversità è la nostra forza”. Theresa May, primo ministro del Regno Unito, ha detto di non essere d’accordo con Trump e François Hollande, primo ministri  francese, ha detto che Washington deve continuare a fare la sua parte sull’immigrazione. Angela Merkel, la cancelliera tedesca, ha dichiarato: “La necessaria e decisiva lotta al terrorismo non giustifica in alcun modo un generale sospetto contro persone di una specifica fede, in questo caso musulmana, o persone di specifica origine. L’azione contraddice a mio avviso il concetto fondamentale dell’aiuto internazionale ai profughi e della cooperazione internazionale”.

L’Unione Europea  ha risposto alle accuse di Trump, che aveva giustificato il suo ordine esecutivo come il tentativo di evitare il caos che si è verificato in Europa. Margaritis Schinas, portavoce della Commissione, ha dichiarato: “Questa è l’Unione europea e noi non discriminiamo sulla base della nazionalità, della razza o della religione, non solo per l’asilo, ma per qualsiasi altra nostra politica. La Commissione e il presidente Juncker hanno costantemente ribadito il nostro attaccamento a questi principi”. Durissima anche la condanna dell’Alto commissario del Consiglio per i diritti umani dell’Onu, Zeid Ra’ad al-Hussein, che ha definito il divieto di ingresso nei confronti dei cittadini di sette paesi islamici “illegale e meschino”.

A partire lunedì 30 le proteste si sono allargate anche in città come Londra, Bristol, Edinburgo, Tokyo, Bruxelles e Toronto, oltre che negli aeroporti e in molte città statunitensi. Lunedì sera si è svolta a Londra una manifestazione a cui hanno partecipato circa 10mila persone e sempre lunedì nel Regno Unito una petizione online contro la visita di Donald Trump ha raccolto più di un milione e mezzo di adesioni.

Una manifestazione fuori da Downing Street a Londra, il 30 gennaio (© Ray Tang/Xinhua via ZUMA Wire)

La difesa della Casa Bianca

La Casa Bianca e il Partito Repubblicano sostengono che l’ordine esecutivo firmato da Trump non costituisce un “divieto per mussulmani” (“muslim ban”), perché esso non riguarda un’appartenenza religiosa, ma una provenienza nazionale. Tuttavia questa tesi è messa in difficoltà da una dichiarazione di Rudolf Giuliani, ex sindaco di New York e collaboratore di Trump, che alla tv Fox ha spiegato che Trump gli aveva annunciato di voler attuare proprio un “muslim ban”. Inoltre, circa un anno fa, lo stesso Trump reagì agli attacchi terroristici di San Bernardino invocando un “totale e completo divieto di ingresso negli Stati Uniti per i mussulmani”. Infine, discriminare le persone per il loro paese di nascita non è meno che discriminarle per la loro religione.

Molti hanno accusato Trump di aver escluso dal divieto paesi come l’Arabia Saudita, l’Egitto, l’Afghanistan, il Pakistan, Qatar e Emirati Arabi da cui provengono molti terroristi solo perché in questi paesi ha investimenti e proprietà. Trump ha cercato di difendersi sostenendo che la lista dei sette paesi indicati nell’ordine esecutivo sarebbe stata ereditata dall’amministrazione Obama. Tuttavia, le limitazioni imposte dall’amministrazione Obama – in due momenti successivi nel 2015 e nel 2016 – alla concessione dei visti per i viaggiatori che erano stati nei paesi inclusi in quella lista non sono neppure paragonabili a quelle imposte da Trump. Inoltre, Trump ha cercato di difendersi chiamando in causa un ordine esecutivo firmato da Obama nel 2011 relativo all’accoglienza dei rifugiati provenienti dall’Iraq. Tuttavia, quest’ordine esecutivo non prevedeva una sospensione dell’accoglienza dei rifugiati, ma solo una restrizione sulle procedure dei controlli (vetting process) e avvenne in conseguenza della scoperta che due rifugiati iracheni erano coinvolti nella fabbricazione di bombe che avevano avuto come bersaglio le truppe statunitensi in Iraq.

Le proteste fuori dall’aeroporto internazionale di Chicago, il 28 gennaio (JOSHUA LOTT/AFP/Getty Images)

Gli ultimi sviluppi

Lunedì sera Donald Trump ha licenziato Sally Yates, l’Attorney General (più o meno l’equivalente del ministro della Giustizia), che aveva ordinato al Dipartimento di non difendere in tribunale il decreto sull’immigrazione del presidente. La Casa Bianca ha affermato che Yates “ha tradito il Dipartimento di Giustizia rifiutando di attuare un ordine messo a punto per difendere i cittadini americani’”.  Trump ha nominato ministro della Giustizia reggente Dana Boente, procuratore del distretto orientale della Virginia. Dana Boente sarà in carica fino a quando Jeff Sessions, nominato da Trump ministro della Giustizia, non sarà confermato dal Senato. Il ministro reggente ha annunciato l’intenzione di ordinare al Dipartimento della Giustizia “di fare il nostro dovere giurato” e di difendere l’ordine esecutivo firmato da Trump venerdì.

Lunedì Barack Obama, è intervenuto per la prima volta dopo dieci giorni dalla fine della sua presidenza. Attraverso un comunicato affidato al suo portavoce Kevin Lewis, Obama ha dichiarato di essere dalla parte dei manifestanti e di essere “profondamente in disaccordo con l’idea stessa che le persone possano essere discriminate per la loro fede o religione”. Martedì 31 Bob Ferguson, il procuratore generale dello Stato di Washington, ha annunciato l’intenzione di lanciare un’azione legale contro l’ordine esecutivo firmato venerdì da Donald Trump. Ferguson è tra i 16 procuratori generali che hanno sottoscritto una dichiarazione in cui l’ordine esecutivo viene definito “anti americano e illegale”.

Barack Obama durante il suo discorso di addio a Chicago, il 10. gennaio (credit Doug Mills/The New York Times)

Tutto questo mentre il grado di disapprovazione dei cittadini Usa per Donald Trump ha toccato un nuovo record: il 51% della popolazione ritiene che il presidente non dovrebbe essere il loro leader, mentre il 42% approva il suo operato. E’ quanto emerge da un recente sondaggio della Gallup. Un risultato, questo, raggiunto da Trump dopo poco più di una settimana dal suo insediamento, mentre George W. Bush ha superato la soglia del 50% di disapprovazione nell’arco di tre anni. Inoltre, per quanto sia del tutto legittimo per un Presidente licenziare l’Attorney General, prima di Donald Trump solo un Presidente degli Stati Uniti lo aveva fatto. Quel Presidente si chiamava Richard Nixon e dopo otto mesi da quel provvedimento dovette dimettersi perchè messo in stato d’accusa.

TAG: diritti civili, Donald Trump, immigrazione, Politica estera, Stati Uniti
CAT: diritti umani, Geopolitica

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