Immigrazione e l’ambivalenza dell’Europa

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29 Aprile 2016

Ricercate nella vostra memoria l’immagine di un bambino – sconosciuto o a voi vicino non ha importanza – che perde per un attimo il suo sguardo nel vuoto. Ha interrotto improvvisamente le sue attività ludiche per soffermarsi a riflettere su qualcosa che a voi sfugge, assumendo le sembianze di un adulto tanta è la gravità dell’espressione. Secondo la psicologa austriaca Melanie Klein un tale momento altro non indica che la presa di coscienza da parte del bambino della maggiore complessità e la bassa nitidezza morale della realtà che lo circonda. Coglie cioè il concetto fondamentale di ambivalenza e le ragioni per cui una stessa persona possa alternativamente essere benevola o meno a seconda della situazione e delle necessità.

E gli avvenimenti dei mesi di marzo e aprile stanno sicuramente mettendo a dura prova la capacità dei cittadini comunitari di comprendere quali siano i reali orientamenti dell’Unione europea in merito alla questione immigrazione; ambivalenza sembra essere l’unico termine adatto a descrivere ciò che sta accadendo.

Con soddisfazione infatti il vice-presidente della Commissione europea ha affermato che il controverso patto tra Unione e Turchia sta cominciando a dare i suoi frutti sottolineando come nelle passate settimane si sia assistito ad un netto calo degli arrivi di migranti irregolari.

Nei giorni precedenti però, erano state sollevate da una vasta maggioranza di eurodeputati serie preoccupazioni a proposito dell’accordo in questione. Durante un dibattito tra Donald Tusk e Jean-Claude Juncker i parlamentari avrebbero invitato sia Consiglio che Commissione a vigilare sulla situazione dei diritti umani e libertà di espressione in Turchia, esprimendo seri dubbi sul fatto che il paese potesse essere considerato sicuro per i rifugiati. Che i parlamentari siano stati presi dal “senso di colpa” ora che il patto è stato realmente messo in pratica? Lo scorso 4 aprile infatti hanno avuto inizio i primi respingimenti di migranti dall’isola greca di Lesbo e da allora circa 340 persone sono state traghettate nuovamente al di fuori dei confini europei. Questo in ottemperanza a quanto stabilito unanimemente dai 28 leader europei lo scorso 18 marzo secondo cui i migranti “irregolari” che arrivano in Grecia – quindi in definitiva tutti – devono essere portati nuovamente in Turchia per attendere l’esito della loro richiesta di asilo.

Nonostante le preoccupazioni espresse da Bruxelles, rimane poi ancora insoluta un’altra delicata questione: il futuro dei migranti che in questo momento sono bloccati nel campo profughi di Idomeni. Qui 12.000 persone sono in attesa di una risposta alla loro richiesta di proseguire il viaggio verso il cuore dell’Europa dopo che Austria (sempre più propensa anche ad una chiusura del Brennero ora che la destra è in netto vantaggio nelle recenti elezioni) ed altri paesi dell’area hanno deciso di serrare la rotta balcanica. Intrappolati al confine tra Macedonia e Grecia, i migranti continuano ad essere bersaglio dei gas lacrimogeni e delle granate assordanti della polizia macedone mentre l’Unione fa da spettatrice e tace (o al massimo sospira) nonostante si crucci.

E’ però un’Europa al contempo “generosa”, si badi bene: la Commissione europea ha infatti annunciato altri 83 milioni di euro per migliorare le condizioni di vita dei rifugiati che si trovano in questo momento in Grecia; che facciano però ritorno a casa loro (o in Turchia) una volta rifocillati e nuovamente in forze. All’inizio di marzo poi, la stessa UE varava un meccanismo europeo per la gestione della crisi caratterizzato da una filosofia molto diversa dalla successiva intesa con Istanbul. In quell’occasione veniva infatti deciso di stanziare 300 milioni per il 2016 e 200 milioni rispettivamente per il 2017 e 2018 da devolvere alle organizzazioni umanitarie già operanti in Grecia come Unhcr e Croce Rossa. Una politica di gestione dell’emergenza di stampo assistenzialista condivisibile o meno quindi, ma che sicuramente si distacca dal pugno duro – e dall’immobilismo – mostrato nelle settimane successive; in accordo non rimane altro che la recente “contrizione” degli eurodeputati.

Secondo la dottoressa Klein apprendere il concetto di ambivalenza è per il bambino fondamentale per godere appieno dei suoi futuri rapporti umani. Soprattutto in campo amoroso sarà al contempo capace di accettare e gestire le gioie e le possibili delusioni che naturalmente il suo partner provocherà in lui. Dovremmo quindi ringraziare il modo inconsistente e spesso duplice con cui l’Unione europea sta portando avanti la gestione della crisi migranti: forse in futuro riusciremo persino a stimare l’ambiguità del suo operato e ad apprezzarla maggiormente. Sempre secondo la psicologa austriaca però, ci sono alcuni soggetti che anche crescendo non riescono ad adeguarsi alla dualità dell’individuo, con ripercussioni pesanti sulla loro capacità di mettersi in relazione con l’altro. Inizialmente potranno anche essere degli amanti spassionati; al primo atteggiamento poco cristallino però si allontaneranno subito, non riuscendo più a provare alcun sentimento.

TAG: Chiusura Brennero, emergenza immigrazione, Idomeni, immigrazione, Melanie Klein, senso di colpa, Unione europea
CAT: diritti umani, immigrazione

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