Sulla strada di Damasco

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4 Dicembre 2016
Da Twitter @PetoLucem

Da Twitter @PetoLucem

In Siria, stante la confusione che permea il conflitto, Assad e le sue truppe sembrerebbero mettere le basi di una futura vittoria sul campo.
L’assedio della parte orientale di Aleppo continua, ma volge ormai verso la sua conclusione; la città di Damasco e la campagna circostante sono ormai state riprese e tutte le grandi città siriane occidentali Homs, Hama, Latakia e Tartous sono controllate dall’uomo forte di Damasco.

Questo succedersi di vittorie è però frutto – anche e soprattutto – della presenza di soldati e di armi russe e iraniane corroborate da migliaia di truppe mercenarie afgane e iraqene. Assad lo sa bene, le sue truppe, fino all’intervento diretto di Mosca l’anno passato, erano sulla difensiva e concedevano territori agli insorti, un mix di siriani e mercenari finanziati da Paesi con agende molto diverse e spesso conflittuali, quali Turchia, Paesi del Golfo e Arabia Saudita. Tutti attori comprimari che si interfacciano con Washington, la cui già non lineare strategia mediorientale è ancora più offuscata dal mistero su quale sarà la linea della nuova presidenza Trump.

Il conflitto quindi può essere visto con diverse lenti mollemente interconnesse:
1. molto blandamente e con le dovute cautele il conflitto siriano è il palcoscenico dell’ennesimo scontro intramusulmano in cui Riyad e Teheran tentano di porsi come guide politiche di riferimento;
2. assistiamo sempre più al ritorno di Mosca sul palcoscenico mediorentale e all’affaticamento del protagonismo statunitense;
3. a lato persiste il tentativo turco di risolvere la questione curda interna, non solo con la repressione locale, ma anche cercando di imporre la propria egemonia sui territori confinanti popolati in prevalenza da curdi in Iraq e Siria;

Stante tutte queste considerazioni e questi scenari, quella parte di popolazione che ha supportato i ribelli e che ha paura di future repressioni nei confronti dei siriani di confessioni sunnita potrebbe aumentare la pressione migratoria verso la UE: la Turchia questo lo sa bene e sta già considerando di utilizzarla come arma di ricatto verso l’Unione Europea.
Inoltre, i massacri silenti che si stanno compiendo da anni in Siria hanno il silenzio complice anche di questa Europa, che non solo non ha un ruolo attivo dello scenario internazionale, ma sempre più è consapevole spettatrice di eventi che stanno già cambiando le sue sicurezze elettorali e che sfociano in populismi e nazionalismi baldanzosi e protagonisti.

TAG: Aleppo, Guerra in Siria, Trump, Turchia, Unione europea
CAT: diritti umani, Medio Oriente

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