Sono tutti Charlie Hebdo col credo degli altri

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20 Gennaio 2015

Quelli che non sono Charlie Hebdo, se gli offendi la mamma ti danno un pugno. Allora meglio non scherzare con loro, vedessi mai che, fraintendono, si offendono, e ti danno un pugno. Quelli che non sono Charlie Hebdo, dio solo sa cosa potrebbero farti se offendi il loro dio, ammesso e non concesso che tengano a Dio più che alla mamma. Un saggio orientale diceva: “a schelzare con i teleni, ci si lompono le leni”.

 

Ma essere o meno Charlie Hebdo è questione più complicata di quanto non appaia sull’onda dell’emozione del momento, a causa dei tragici eventi accaduti in Francia. E’ comodo e facile ergersi a paladini della libertà di espressione, se c’è da dar contro a uno straniero, perchè come è noto il sacro degli altri è sempre un po’ meno sacro. C’è da credere che, se la satira del giornale avesse toccato temi come l’Olocausto o l’11 settembre, avremmo avuto qualche #jesuischarlie in meno.

Il territorio che si estende dalla libertà di esprimersi alla facoltà di offendere è decisamente più grigio e indistinto di quanto tanti commentatori e politici, in cerca di pubblicità a buon mercato, vorrebbero lasciarci intendere e la “parabola del pugno in difesa della mamma” ci aiuta ad esplorare la questione. Se dico che tua madre ha problemi di peso la sto offendendo? Offendo anche te e, là dove vige la legge del taglione, devo aspettarmi la vendetta del tuo pugno riparatore? E se non avessi avuto alcuna intenzione di offenderti? Se avessi semplicemente inteso fare una mera constatazione?

E’ abbastanza evidente che non si può usare la tua arbitraria sensibilità come limite alla mia libertà di espressione. Le regole di convivenza devono essere il più possibile oggettive e prescindere da interpretazioni arbitrarie e questo dovrebbe essere il cardine di riferimento quando si ricerca, caso per caso, un discrimine tra l’offesa gratuita e intenzionale e la libera espressione.
A questo proposito sono emblematiche le parole del Rabbino Capo di Francia: <>

Un altro esempio utile può essere il caso delle volontarie italiane in Siria liberate di recente .

Se dico che pagare il riscatto non è stata una buona idea, sto esprimendo un’idea abbastanza neutrale, che peraltro si può argomentare considerando che i soldi del riscatto potranno essere utilizzati dai terroristi per uccidere innocenti e che in termini di Moral Hazard si crea un precedente che aumenta i rischi di ulteriori rapimenti in futuro. Tuttavia le dirette interessate e le loro famiglie potrebbero trovare offensiva questa valutazione, così come altri potrebbero vedere la propria sensibilità urtata da chi argomenta che sarebbe stato preferibile lasciarle in balia dei rapitori, anche a costo di assistere in video alla loro decapitazione. Ben altro discorso è invece quello di aggredire via social network (peraltro senza controllare la veridicità delle informazioni riportate)

Idee, valutazioni e persone che da queste possono sentirsi offese.

Dove finisce allora la libertà di espressione? Dove comincia il diritto a non essere offesi?
Lo stesso periodico, che oggi è diventato tragicamente il simbolo della libertà di espressione, nel 2008 ha licenziato il vignettista Maurice Sinet, sembrerebbe, a causa di un riferimento antisemita:
possiamo dire, paradossalmente, che le persone che lavoravano all’epoca per la rivista “non erano Charlie Edbo”? Che loro stessi in quell’occasione non sono stati all’altezza del simbolo di libertà al quale, il martirio dei suoi giornalisti ha dato vita?
Ma sarebbe un paradosso solo apparente: prima dell’attentato, la rivista esprimeva un punto di vista ben preciso e, nel pieno esercizio della propria libertà, decideva chi o cosa pubblicare e, implicitamente, chi o cosa rischiare di offendere. Tutti abbiamo delle sensibilità differenti e la garanzia della pari dignità per tutti, non potendo passare dal tentativo di non offendere nessuno (ipotesi di fatto impossibile) deve necessariamente muovere dal presupposto di garantire a tutti la possibilità di esprimersi liberamente.
Reagendo alla barbarie con la quale qualcuno ha deciso di limitare la libertà degli autori, dovremmo diventare tutti Charlie Edbo almeno per un giorno.
Ma essere Charlie Edbo non vuol dire necessariamente condividere la linea del giornale, (ricordiamo il celebre aforisma attribuito a Voltarie ) così come non vuol dire difendere genericamente la possibilità di chiunque di dire qualunque cosa; è troppo comodo essere Charlie Edbo con il credo degli altri, così come è infame sciacallaggio nascondere ingiurie, calunnie e falsità dietro il diritto alla libera espressione.

Il difficile e delicato equilibrio per una civile convivenza passa dalla necessità di tollerare anche e soprattutto le manifestazioni che disturbano la nostra sensibilità, ma al contempo deve essere sempre controbilanciato dalla responsabilità individuale (soprattutto con riferimento alle ingiurie e alle falsità), che è il naturale rovescio della medaglia per qualunque forma di libertà.

TAG: Chagall, Greta e Vanessa, libertà di espressione, Papa Francesco
CAT: discriminazioni, Religione

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