Un’analisi del voto. Il Pd di Renzi, la sinistra e il post-berlusconismo

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6 Giugno 2016

Fatta trascorrere più di una giornata dalla chiusura delle urne, spente le tv con le maratone elettorali infinite del solito circo mediatico ed analizzato con più attenzione il voto reale, forse è possibile esprimere un primo giudizio sugli esiti di questo iniziale turno delle elezioni amministrative:

1) L’importanza del contesto, il 2016 non è il 2011: 5 anni fa si è votato in un sistema politico prettamente bipolare, durante la fine della stagione del berlusconismo di governo (dimessosi poi pochi mesi dopo) e alla vigilia di una gravissima ricaduta nella recessione dell’economia italiana, da cui il Paese sta reagendo solo da pochi mesi e senza inoltre grande entusiasmo ed efficacia. Capire questo porta inevitabilmente ad analizzare più laicamente il voto, e a poter dire che non è avvenuto il temuto tracollo del Pd. Anzi queste amministrazioni – che hanno  subito la più grande stagione di tagli di risorse nella storia repubblicana –  sono state guidate spesso nel segno del buon governo, alcune hanno vissuto un vero e proprio rinascimento in mezzo a mille difficoltà come Milano e Torino, ed infatti i candidati sindaci risultano essere tutti piazzati al primo posto nel voto di ieri e con ampi margini sui secondi, tranne Cagliari dove addirittura il candidato del centro-sinistra unito Massimo Zedda ha vinto subito con oltre il 50 % delle preferenze. E, dulcis in fundo, questo risultato è scaturito dentro un quadro politico ormai stravolto fin dal 2013 grazie all’ascesa del M5S che ha reso irrimediabilmente tripolare la contesa elettorale in Italia.

2) L’eredità delle giunte arancioni e del centro-sinistra pagano ancora: come ricordato, le amministrazioni segnate dalle vittorie del centro-sinistra nel 2011 hanno ricevuto ancora il primato nel consenso del voto, e soprattutto hanno “difeso” il sistema bipolare. In questi casi infatti il M5S è una forza politica residuale che si aggira intorno al 10%, tranne che a Torino dove sostituisce in pratica un centro-destra deflagrato in mille rivoli e scegliendo proprio per questo una candidata che si rifà, quasi per censo, al mondo borghese e moderato della città come Chiara Appendino.

3) Il sistema politico tradizionale tiene: centro-destra e centro-sinistra dopo i ballottaggi del 19 Giugno governeranno quasi il 95% degli oltre 1.300 comuni al voto, con un Pd ed i suoi alleati che vinceranno alla fine quasi in 1.000 paesi e città. Questi sono dati di fatto, dovuti anche alla scelta di non presentarsi nella stragrande maggioranza dei comuni da  parte del M5S, chiara evidenza della difficoltà nel radicamento territoriale e soprattutto nel presentare una classe dirigente diffusa e degna di questo nome. Forse è anche una lezione appresa dalle mille difficoltà vissute nella decina di comuni che già amministrano in Italia, Parma, Livorno o Quarto per fare alcuni esempi.

4) Unità e campo largol’unica via di salvezza per il centro-destra: il vecchio schema, o format“Casa delle Libertà” è la strada necessaria ed obbligata per il centro-destra nazionale. Non sono autosufficienti né una semplificazione moderata né una deriva lepenista, pena un’inconsistenza elettorale e politica desolante come quanto accaduto a Torino. Milano invece, con la candidatura azzeccata di Stefano Parisi, è l’esempio illuminante della scelta prossima futura che dovranno prendere Berlusconi, Salvini e Meloni.

5) La sinistra del Pd non esiste e non esisterà mai, è solo un’inutile perdita di tempo politicistica: le batoste elettorali dei vari Fassina a Roma, Ariaudo a Torino e Rizzo a Milano stanno lì a dimostrare quanto sia inconsistente molto del dibattito che si vive nel mondo autoreferenziale del circo mediatico-informativo-politico. Un’accozzaglia di ceto politico invecchiato male, sconclusionato, capace di tradire oltre 20 anni di scelte fondamentali della sinistra italiana solo per una battaglia rancorosa contro l’attuale segretario del Pd e premier Matteo Renzi. Qualsiasi ragionamento politico, alleanze o similia, con questa minoranza di testimonianza e di reduci privilegiati è solo perdita di tempo, lo capiscano anche gli oppositori interni nel Partito democratico. Non esiste un’alternativa, di governo, a sinistra del Pd.

6) Gli errori di Renzi: è la prima volta che durante una tornata elettorale il premier-segretario commetta degli errori così marchiani, e due sono i più evidenti: la scelta di Beppe Sala a Milano, una forzatura dovuta ad un troppo semplicistico expottimismo che non ha permesso all’esperienza di governo di Pisapia di poter esprimere direttamente una propria continuità e quindi un giudizio più limpido e chiaro su una stagione che comunque ha trasformato la città meneghina; mischiare la campagna referendaria con le amministrative è stato un suggerimento politico-propagandistico malaugurato che incredibilmente Renzi ha accolto e fatto suo non capendo così di restringere il potenziale elettorale dei candidati sindaci nelle città, perché è noto da mesi come i massimi campioni del fronte del NO siano esponenti intellettuali e culturali ascoltati dentro e fuori il mondo del Pd. Per il ballottaggio ci si dovrà concentrare espressamente sulle proposte ed i destini della città al voto, non certo incoraggiare e fomentare ben prima del tempo il TCRil tutti contro Renzi. Inoltre dovrà essere affrontato definitivamente il caso Pd, partito contemporaneamente di lotta e di governo. Non è più possibile infatti procedere in questo modo, è necessaria una gestione condivisa e collegiale del partito e del governo, responsabilizzando direttamente anche la cosiddetta minoranza interna ed evitando ulteriori strappi e scontri al calor bianco con le realtà vicine al campo largo del centro-sinistra, in primis il mondo del lavoro. Il ministro Padoan in una delle sue prime interviste aveva fatto presente come svariati studi dell’Ocse o di altre istituzioni economiche internazionali ricordavano che le cosiddette riforme strutturali possono essere efficaci e dare esiti positivi se realizzate con un vasto consenso della cittadinanza, producendo così multipli di potenziale di crescita in più grazie al clima di fiducia instaurato. Questo dovrà essere il nuovo stile del governo Renzi se non vuole trasformare in un redde rationem il referendum costituzionale di Ottobre e rischiare di spezzarsi, politicamente, l’osso del collo.

7) Il caso Napoli, cioè di cosa parliamo quando parliamo del Pd come “Partito della Nazioneil risultato del Partito Democratico è quello che più di tutti può essere analizzato in una prospettiva nazionale, è infatti l’esempio plateale di cosa significhi destrutturare un partito, renderlo schiavo di potentati e correnti locali, non essere in grado di proporre candidature credibili e progetti di visione. Diventare in definitiva un comitato di potere che si crede pigliatutto ed invece è profondamente residuale nella dinamica elettorale. Ecco un vero campanello d’allarme che dovrebbe interessare il gruppo dirigente renziano.

TAG: amministrative 2016, Amministrative Napoli, beppe grillo, beppe sala, Giacchetti, governo, lega nord, luigi de magistris, m5s, Matteo Renzi, milano, Pd, piero fassino, Roma, stefano parisi, VIRGINIA RAGGI
CAT: Enti locali, Partiti e politici

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