8 maggio1945: resa della Germania, ma non cessavano i crimini contro l’umanità

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7 Maggio 2016

“Poiché le guerre nascono nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che devono essere costruite le difese della pace”

Essere o non essere non è solo del dubbio amletico, ma la possibilità di continuare a esistere o  estinguersi, questo è quanto l’orologio dell’apocalisse, creato dagli scienziati del Bullettin of the Atomic Scientists  dell’Università di Chicago nel 1947, sembra volerci ricordare. Monito al fatto che la nostra esistenza  non si svolge in un mondo stabile  e che l’ oggi  potrebbe essere semplicemente un passato senza futuro, l’orologio è il  simbolo dell’urgenza della problematica legata alla presenza  di ordigni nucleari capaci di mettere fine all’esistenza umana.  Le sue lancette hanno  segnato pochi istanti alla mezzanotte, designando perciò come imminente la fine del mondo,  durante la crisi dei missili di Cuba, quando  i Sovietici, in reazione all’ installazione di missili nucleari statunitensi in Italia  ed in  Turchia, pongono   un base missilistica   a Cuba. Quattro furono, invece,  i minuti alla mezzanotte quando nel 1981 gli Stati Uniti, dopo l’invasione dell’Afghanistan da parte dell‘ URSS, boicottarono i giochi olimpici e Reagan iniziò una politica di riarmo con la  fabbricazione di una bomba a neutrone. Solo cinque, quando  nel 2007 il test nucleare effettuato dalla Corea del Nord  e il timore che anche  l’Iran potesse dotarsi  della bomba, fece pensare ad  una nuova guerra atomica

doomsday clock

Se l’ondata di distruzione abbattutasi su Hiroshima  e Nagasaki è una delle pagine più orrende della nostra storia, è giusto ricordare quanto siano ancora attuali i pericoli che l’ intero genere umano  corre considerando che sono 23000 le testate nucleari ufficialmente dichiarate.

Sebbene alcuni  impianti di produzione  e siti di esperimenti nucleari sono stati chiusi e il Trattato di non Proliferazione conta oggi l’adesione di 190 Stati,  gli arsenali nucleari sono tuttora pieni e  si lavora al loro mantenimento e miglioramento, motivo per cui  saremo sempre  in  pericolo se non si giungerà ad una totale  bonifica degli stessi.

Dopo l’ attacco terroristico alle Torri Gemelle, inoltre,  si è diffusa la tendenza a sviluppare armi nucleari di piccole dimensioni  che i terroristi  possono usare alla stregua di armi convenzionali. Conviviamo, insomma, con una spada di Damocle sulla testa sottovalutando un pericolo concreto.

La  storia della ricerca nucleare e della realizzazione della bomba atomica è costituita da  un intreccio di eventi che coinvolse  protagonisti dalla mente brillante, da segreti e dinieghi, scambi di informazione tra gli scienziati di Stati Uniti , Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia.

Fu qui, al Regio Istituto di Fisica dell’Università di Roma, che lavoravano scienziati illustri come Fermi, Rasetti, Segrè, Pontecorvo. Furono  queste e altre  menti brillanti  da entrambi i lati della cortina di ferro a avvertire per primi le implicazioni  catastrofiche che le scoperte sulla fissione  dell’uranio della Meitner e quelle successive  sulla reazione a catena  avrebbero avuto se usate per fini bellici dalla Germania nazista. Furono loro a svolgere una parte significativa nel dare continuo incremento alla rincorsa alle armi nucleari per tutti i quaranta anni della Guerra Fredda.

La lettera  che  nel 1939 Einstein, facendosi  portavoce dei timori avvertiti dai suoi colleghi, invia a Roosvelt sulla necessità di impegnarsi nella ricerca bellica, segnò la più grande mobilitazione di scienziati al servizio della guerra nonché  la creazione di laboratori segreti nota con il nome di progetto Manhattan.

I geni della fisica  che in qualche modo parteciparono alla creazione della bomba atomica furono  risucchiati da meccanismi che portarono morte e ignoranza e non vita e progresso, contravvenendo l’adagio socratico che vuole un sapere inseparabile dalla virtù.

Sicuramente non  ci  fu virtù nella decisione di Truman di sganciare la bomba atomica su  Hiroshima. Ma la storia si sa, a volte ha bisogno di giustificazioni, vere o presunte,  per rendere plausibili agli occhi del mondo le proprie azioni . Fu così che Truman, venuto meno la supposta minaccia da parte di una Germania ormai arresasi agli alleati,  bombarda Hiroshima chiamando in causa una rapida conclusione della guerra, mentre in realtà era preoccupato di evitare l’intervento dell’ URSS che già dopo la conferenza di Postdam aveva avanzato rivendicazioni sulla spartizione del Giappone

La lettera che Einstein aveva  mandato a Roosvelt il 25 Marzo 1945  nel tentativo di dissuaderlo dall’uso del terribile ordigno, rimase inevasa sulla scrivania del presidente  quando questi morì. Quando apprese la notizia della terribile tragedia abbattutasi su Hiroshima, Einstein  si pentì di aver scritto la lettera del 1939 e nel 55 redasse, insieme a Bertand Russel, il manifesto Russel -Einstein, primo  documento di denuncia  sulla minaccia  delle armi  nucleari e  prima tra le iniziative che trasformarono uomini di scienza  in attivisti politici.

La tragedia di Hiroshima e Nagasaki agì su  molti di essi come presa di coscienza delle loro responsabilità civili  che li condusse a farsi promotori del disarmo e  a impedire la corsa agli armamenti atomici anche attraverso il coinvolgimento  dell’opinione pubblica. Comunicare e  informare  i cittadini non esperti  fornendo la comprensione dei fatti relativi all’uso  dell’energia  atomica e alle sue  implicazioni,  divenne imperativo categorico. Così, otto anni dopo aver scritto la famosa lettera a Roosvelt, Einsten scrive all’uomo comune. Crede, infatti,  che  la comprensione e la mobilitazione  sia  l’unica difesa possibile e  parafrasando Gandhi, scriverà nella sua lettera: “Il potere dello spirito umano è più forte delle armi nucleari” .

Lavorare al progetto Manhattan fu un’ esperienza traumatica per alcun scienziati, soprattutto quando  si resero conto che anche la pura ricerca può trovare applicazione a volte mostruose e dovettero, perciò,  fare i conti con la propria coscienza. Fu questo il caso di Jozef  Rotblat, uno dei promotori del disarmo e  premio Nobel per la pace nel1995. Sfuggito alla sorte di altri ebrei polacchi a cui non riuscì, invece, a  sottrarsi la moglie, iniziò a lavorare all’ordigno a Los Alamos, in Messico, per il progetto Manhattan  con la finalità di prevenire l’uso che Hitler ne avrebbe fatto qualora anche i Nazisti lo avessero realizzato.  Preso da scrupoli morali,  se ne allontanò nel 44  quando  le agenzie di spionaggio confermarono che i tedeschi avevano interrotto il loro programma atomico e  che  probabilmente, quindi,  il vero scopo della bomba era quello di soggiogare l’Unione Sovietica.  Chi fu preso da un rimorso tardivo fu Oppenheimer  che, sentendosi responsabile per quanto aveva reso possibile a Hiroshima e Nagasaki, parla a Truman di scienza peccaminosa e  di scienziati che hanno le mani sporche di sangue. Chi non avverte il senso di responsabilità  sociale, ma è favorevole all’uso  dell’atomica per contrastare la minaccia nazista, fu Enrico Fermi. Uomo chiave del progetto Manhattan e  fermo sostenitore di una scienza libera ed irresponsabile, la sua posizione  opposta a quella profondamente etica  di Rasetti porterà alla rottura del loro sodalizio.

L’ orrore  suscitato non solo dall’elevato  numero di perdite in termini di vita umana, ma dal cerchio della morte  che avrebbe continuato a uccidere negli anni a venire, è  divenuto soggetto di diversi  film da “The Day After” a “Wargames”, da  “I Ragazzi di via Panisperna”  e  “L’ombra di mille soli” a “Hiroshima mon amour”.  Nello specifico,  in “Il dottor Stranamore”, ovvero come imparai a non preoccuparmi e a  amare la bomba, Kubrick racconta in piena Guerra Fredda e attraverso la lente del black humor  l’assurdità dell’ “ordigno di fine mondo”.  Nella figura del dottor Stranamore è  riconoscibile Teller, irriducibile sostenitore dell’atomica  nonché padre della bomba H.

Tiziano Terzani, rifacendosi al pensiero di Rotblat  sulla impossibilità di cancellare la conoscenza della costruzione delle armi nucleari dalla memoria umana, afferma: “una tecnologia che esiste, che si può praticamente trovare su internet, non la togli più di mezzo. Si può anche sognare che i cinque sei grandi paesi, tra cui l’America, la Russia, la Cina, rinuncino alle armi nucleari, però qualche terrorista se la farà comunque. Come si  può far dimenticare una tecnologia una volta che è stata inventata? Sai, se  a  un uomo gli fai vedere un ponte, anche se poi lo togli di mezzo non è che non attraversa più il fiume”

A enfatizzare i rischi di una tecnologia che corre più velocemente della consapevolezza, fu lo stesso Svevo che profeticamente nel 1923  in “La coscienza di Zeno” scriveva: “quando i gas velenosi non  basteranno più, un uomo fatto come tutto gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati come innocui giocattoli”

È evidente, quindi,  che l’unica arma efficacia per sventare il pericolo  è  imparare a convivere senza ricorrere alla guerra.  L’ antico adagio  “si vis pacem, para bellum”   deve essere riscritto adottando l’idea che la pace si realizza preparando la pace, unica ancora di sopravvivenza nel terzo millennio.Nessuno violenza, infatti, ha messo fine alla violenza, la catena di vendette non si spezza  rispondendo all’offesa con una  dalla portata superiore, si innesca invece una nuova catena dell’orrore.

Le  attuali dinamiche belliche che non  coinvolgono  più soltanto soldati, ma mietono ingenti  vittime tra la popolazione civile, ne sono, purtroppo, un tragico  esempio.  Non occorre andare troppo lontano con la memoria, a quando cioè nella guerra del Vietnam  gli Stati Uniti sganciarono tonnellate di Naplam, per ricordare quanto sia ancora attuale l’ uso di armi di distruzione di massa. Le armi chimiche sono tuttora  utilizzate nei conflitti armati, basti pensare alla strage di Damasco, nel vicino 2013, che si è vista bombardata con gas sarin lo stesso utilizzato contro i curdi nel nord dell’Iraq  nel 1988

Dinanzi a un mondo in perpetua guerra sembra  anacronistico parlare  di non violenza. Non violenza, però,  non vuol dire abdicare alla lotta, significa, invece, impegnarsi nel compito arduo di  creare nuovi strumenti di lotta, perché risulta più semplice addestrare a ammazzare che educare alla non violenza .

Se, come  afferma Rotblat, il fine ultimo della scienza è il miglioramento della condizione umana, trovare strumenti di lotta alternativi significa rimuovere situazioni  che generano povertà, sfruttamento,  ingiustizia e di conseguenza   odio, rabbia, terrore, ignoranza e facile  manipolazione .

Il concetto  di sicurezza umana, inoltre,  non può più solamente  essere  legato  a quello di deterrenza nucleare, basato a sua volta sul concetto di “distruzione reciproca garantita” e  creatore di  un clima di terrore in cui nessuno dei due nemici può permettersi di far scoppiare una guerra nucleare. Esso è invece  strettamente vincolato a quello di  disarmo nucleare .

Un’ idea, questa, fondante del trattato di non proliferazione  sottoscritto da 187 stati appartenenti all’ ONU  nel 1968  e da cui hanno preso le mosse i principali trattati per la limitazione degli armamenti nucleari, non ultimi gli accordi firmati dalle due superpotenze nucleari nel 1991 (START1, Strategic Arms Reduction Treaty)  e nel 2010 (NEW START)

Si tratta  in effetti di realizzare un  cambiamento del punto di vista, dando priorità a interessi riguardanti l’intero genere umano  su quelli di gruppi nazionali e politici, sostituendo la cultura della reazione e dell’aggressione a una cultura di prevenzione in cui si cercano soluzioni a problemi  prima che questi possano esacerbare esplodendo  in conflitti.

Abbracciare il credo di Gandhi diventando il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo, implica  una responsabilità di ciascuno, dell’uomo comune  non solo di chi detiene il potere, perché il pericolo dell’olocausto riguarda noi tutti. Sensibilizzare l’opinione pubblica affinché  si  esiga la messa al bando della produzione  di armi nucleari e il totale disarmo  è, pertanto, un passo necessario per trasformare i rapporti ostili tra gli Stati in reciproca fiducia.

In quest’ ottica, un importante contributo è stato dato dalla mostra itinerante “Senzatomica, “Per usare la storia come fonte di memoria attiva al cambiamento,  trasformare lo spirito umano per un mondo libero dalle armi nucleari”, ospitata a Napoli a Castel Sant’Elmo fino al 24 Aprile. In coerenza con l’impegno per la pace che caratterizza la Soka Gakkai (dal giapponese: Società per la creazione di valore, organizzazione laica buddista)  e col desiderio del secondo presidente, Josei Toda, di estirpare dalla terra questa minaccia, “Senzatomica” è una campagna rivolta ai cittadini italiani affinché prendano consapevolezza della perdurante minaccia nucleare, rifiutino il paradosso della sicurezza basata sulla reciproca minaccia di distruzione, osservino l’economia mondiale distolta dalla cura del soddisfacimento dei bisogni primari degli esseri umani. Il sottotitolo della mostra è un invito alla trasformazione del proprio comportamento nei conflitti e mira a creare  nei visitatori (a Napoli più di 27.300 di cui oltre 11.000 studenti) la consapevolezza che la trasformazione è possibile attraverso la presa di coscienza del proprio fondamentale contributo

In tempi di scenari globalizzati  in cui movimenti di popoli e ripercussioni di alterati equilibri di potere confermano che non si può considerare la  sicurezza  prerogativa del proprio orticello privato, bisogna coltivare un senso di lealtà verso l’umanità tutta. Lealtà  che non può  non tener conto  della condivisione  e del rispetto di valori in primis e della facoltà di  ogni Stato di partecipare a questioni di carattere economico, sociale, culturale godendo di quella libertà che, come affermava  Roosvelt, non può esistere senza sicurezza economica e indipendenza

La famosa lettera di  Kipling  al figlio, “Se”, diviene  nel discorso pronunciato da Rotblat durante la cerimonia per il conferimento del Nobel, un monito che serve da guida all’intera umanità, figlia di un mondo che la comunicazione globale ha reso più piccolo, ma non più vicino.

“La ricerca di un mondo libero dalla guerra ha uno scopo fondamentale: la sopravvivenza, ma se nel corso dell’impresa impareremo come assicurarci la sopravvivenza per mezzo dell’amore, invece che con la paura, con la gentilezza invece che con la costrizione; se impareremo a combinare l’utile e il dilettevole, l’opportuno e il caritatevole, il pratico e il bello, questo sarà un ulteriore premio per aver intrapreso questa missione”.

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