Auschwitz: condannato l’ex SS Hanning

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17 Giugno 2016

Condannato a 5 anni l’ex SS Reinhold Hanning per concorso in omicidio in almeno 170.000 casi per l’attività prestata nel lager nazista di Auschwitz dal gennaio 1943 al giugno 1944. La presidentessa del collegio giudicante del tribunale regionale di Detmold Anke Grudda ha dedicato un’ora per leggere il dispositivo della sentenza e si è rivolta più volte direttamente all’imputato. Hanning ha seguito attentamente restando seduto su una sedia a rotelle ma non ha mostrato reazioni e si è fatto accompagnare fuori subito al termine. Il Procuratore aveva chiesto una condanna a 6 anni, le parti civili una condanna senza indicarne l’entità, la difesa aveva perorato l’assoluzione.

 
Nel caso Demjanjuk nel maggio 2011 si era segnata una svolta nell’indicare colpevole di concorso in omicidio chiunque ha prestato servizio in un campo di annientamento nazista. A Detmold oggi 17 giugno 2016 si è andati oltre. Per la prima volta un tribunale tedesco ha emesso una condanna che si estende a tutti i modi di condurre alla morte i prigionieri di un lager nazista. Non solo con lo Zyklon B dove i genitori vedevano morire i loro bimbi prima di soccombere essi stessi, ma anche attraverso la sistematica denutrizione che portava al disfacimento degli organi interni, le selezioni arbitrarie, le esecuzioni sommarie, la carenza di igiene, la sistematica raffica di perfidie riflesse nella stessa incisione “Il lavoro rende liberi” sul portale di ingresso del lager.

 
Prima ancora che la corte desse lettura alla sentenza il 95enne sopravvissuto al lager Leon Schwarzbaum, che ad Auschwitz ha perso 35 membri della sua famiglia, ha consegnato una lettera personale per Hanning al difensore di questi Johannes Salmen. In essa si indica che se anche Hanning si è distanziato dalle SS nella sua unica dichiarazione resa nel corso del processo, egli è comunque stato un ganglio nella macchina di morte nazista. Schwarzbaum lo accusa di aver presentato in aula solo una versione di comodo. <Doveva dire di più quello che è successo ad Auschwitz> afferma <Auschwitz era l’inferno in terra>.

 

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Leon Schwarzbaum © AMJ

Questo è in buona sostanza anche quello che ha ritenuto la corte. Pur indicando che forse l’imputato non è più egli stesso in grado di ricostruire la realtà dei fatti, la presidentessa Grudda gli ha indicato esplicitamente di non credere che non è mai stato alle rampe dove arrivavano i convogli di prigionieri. Né che abbia chiesto due volte, senza ottenerlo, il trasferimento al fronte. <Lei aveva una scelta> gli ha detto la giudice Grudda <facendosi trasferire non avrebbe dovuto rinunciare alle sue convinzioni>. Lei ha deciso di restare ad Auschwitz mentre ognuno capiva subito semplicemente che ad <Auschwitz non si poteva compartecipare .. e deve avere anche messo convinzione nell’espletare le sue attività visto che è stato promosso per due volte>.

 
Per contro la corte ha escluso che si possa imputare ad Hanning una partecipazione diretta in prima persona ai crimini. Ha invece responsabilità di correo perché ha sicuramente visto sia dalla torre di guardia, che accompagnando le squadre di prigionieri al lavoro coatto, così come girando liberamente nel lager come ha dichiarato di ave fatto, che lì morivano uomini, donne e bambini innocenti; morivano quotidianamente ed egli è stato scientemente un ingranaggio nel funzionamento del lager. Non importa che siano passati 70 anni, né l’età dell’imputato. Alla fine della seconda guerra mondiale serpeggiava un clima di cancellazione, i tedeschi non volevano parlare, semmai apparire come vittime, ha proseguito il giudice Grudda. Anche se la figura di reato per ausilio in un omicidio esisteva già, c’è voluto un profondo cambiamento nella società e nella politica perché si arrivasse con il processo Demjanjuk a riconoscere che ogni guardiano in un campo di concentramento nazista è stato un ingranaggio nella “soluzione finale”. Naturalmente c’è una linea fluida tra il semplice sapere cosa succede, il darvi ausilio ed il commettere crudeltà in prima persona. Si deve valutare caso per caso. Non ci sono prove che Hanning abbia ucciso nessuno direttamente, ma è certo che egli è stato attivo ad Auschwitz nel tempo di cui all’atto di accusa, ed è quindi senz’altro corresponsabile.

 
Non c’è una pena adeguata per crimini simili, ma la corte deve rifarsi a quelli previsti dal legislatore che detta un minimo di 3 ed un massimo di 15 anni. Nel computo della pena a favore del reo, ha spiegato il magistrato, hanno giocato sia che provenisse da condizioni familiari semplici, che la giovane età di 18 anni nell’aderire alle SS, così come l’essersi  nel processo distanziato dal loro operato riconoscendo la sua colpa di avere aderito ad un’organizzazione criminale, ed anche i suoi attuali 94 anni ed il trascorrere di oltre 70 anni dai fatti. Nondimeno una pena inferiore ai 5 anni non sarebbe apparsa congrua. Mentre una superiore avrebbe invece travalicato la soglia che ciascuno deve poter avere di godere di una chance di vita successiva all’incarcerazione. La corte peraltro non ritiene neppure essa debba essere effettivamente applicata, ciò che conta è che è penalmente rilevante e da sanzionare che l’imputato abbia partecipato alla “soluzione finale”.

 

<Siamo sicuri che il processo ha provato l’imputato> ha osservato rivolgendosi all’uditorio, e poi indirizzandosi ad Hanning stesso gli ha detto che l’aver affrontato per 4 mesi il giudizio confessando di essere stato ad Auschwitz costituiscono un primo passo che deve essergli riconosciuto. <Adesso resta però a lei il successivo> lo ha invitato ad elaborare le sue colpe.

 

 

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Giudice Anke Grudda © AMJ

La presidentessa ha poi lodato apertamente lo sforzo delle parti civili di testimoniare e come i loro racconti siano estremamente importanti. Ha evidenziato che mentre loro soffrono a vita dei loro ricordi, l’imputato ha potuto godere nel dopoguerra di una vita pacifica. Questo processo deve servire alle nuove generazioni come monito a cosa può portare l’adesione ad ideologie razziste e che negano il valore umano, ha esortato il pubblico in aula.

 
Il difensore dell’imputato Andrea Scharmer per parte sua al temine dell’udienza ha commentato di non essere stupito del verdetto stante il clima di condanna anticipato dai media che gravava sulla corte ed a cui questa non ha potuto sottrarsi; pur soggiungendo che ha ammirato il modo sovrano con cui il giudice Grudda ha letto il verdetto. Ha poi soggiunto che col collega Johannes Salmen farà probabilmente richiesta di appello nel termine previsto di una settimana in attesa che venga depositata la sentenza scritta; dopo di che avranno un mese di tempo per eventualmente depositare i motivi di impugnazione. Ritiene di individuarne già una ragione nella ritardata giustizia ad oltre 70 anni dai fatti.

 
L’85enne canadese William E. Glied, che è comparso come parte lesa, si è dichiarato dal canto suo grato ai giudici perché <ora a chi nega la Shoà si potrà dire: guarda che cosa ha statuito un tribunale tedesco a Detmold>.

 
Anche la 85enne connazionale Hedy Bohm ha ringraziato i giudici per il verdetto e di aver potuto vedere così avverarsi quello che non aveva mai creduto possibile: assistere in Germania ad un tribunale tedesco emettere una condanna dell’Olocausto, soggiungendo con voce rotta dall’emozione, che i suoi cari morti ad Auschwitz potranno forse riposare finalmente in pace.

 

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Le parti civili William E. Glied e Hedy Bohm ©AMJ

Nell’aula d’udienza, ricavata eccezionalmente collocando diverse fila di sedie nell’ingresso dell’edificio principale del tribunale, i due erano insieme al già citato Leon Schwarzbaum e la signora Erna de Vries, in rappresentanza di tutte le 58 parti civili costituite originarie da Israele, Germania, Ungheria, Canada ed USA.

 
L’avvocato Thomas Walther, che con i colleghi Nestler e Mayer rappresentava il gruppo più consistente delle parti civili, ha sussunto l’importanza storica del verdetto osservando che i nazisti volevano cancellare la memoria stessa degli ebrei e la circostanza che invece fossero presenti in aula anche i figli ed i nipoti dei loro mandanti è la vera vittoria. Per il professor Nestler il verdetto costituisce un precedente che varrà in tutti i casi a venire. Allo stato si deve però considerare la sentenza nel caso Hanning come l’ultima condanna ad essere pronunciata da un tribunale tedesco legata al massacro di oltre 1 milione di persone nel lager nazista di Auschwitz-Birkenau. Delle circa 8.200 SS attive ad Auschwitz ne sopravvissero alla guerra circa 6.500. Di esse solo poco più di una quarantina sono state portate in giudizio.

 
Da informazioni rilasciate dal direttore dell’autorità centrale per la persecuzione dei crimini di Auschwitz di Ludwisburg, Jens Rommel, peraltro penderebbero indagini in un ulteriore nuovo caso in corso di istruzione a Francoforte. Sono anche ancora aperte indagini in 3 casi relativi ad ex SS un tempo attive nel lager di Majdanek, e 3 rispettivamente a Bergen Belsen, Stutthof e Neuengamme.

TAG: Auschwitz, condanna, Germania, SS
CAT: Giustizia

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