La determinata umanità della sicurezza a sostegno della leadership

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12 Marzo 2017

“Sotto copertura per quattro anni”, così il Ministro degli Interni Marco Minniti si è scusato per non aver partecipato, nel tempo, ai dibattiti pubblici e alle discussioni. Recupera il tempo trascorso a occuparsi di intelligence, facendo un intervento che alza il dibattito interno al Pd ad un livello decisamente più alto rispetto a quello che abbiamo visto negli ultimi tempi.

Parole che sono macigni sulla coscienza collettiva del centro sinistra tutto. “La sicurezza è un bene comune, troppo importante da lasciare alla destra, che non sa utilizzare questa parola”: nei pochi minuti di intervento, riesce a definire una base valoriale che dovrebbe accomunare tutte le forze progressiste. Con una determinata umanità pone al centro del dibattito un tema da troppo tempo dimenticato nell’area riformista.

La sicurezza, infatti, non è solo ordine pubblico, ma è anche inclusione sociale. A dirlo, incredibilmente, è il Ministro degli Interni, che affronta con realismo e senza paura un tema così spinoso e controverso. Se, infatti, non è solo una questione di ordine pubblico, la sicurezza significa proteggere e difendere coloro che sono più deboli, ergendosi a paladini delle loro libertà. Sicurezza significa anche diritti, significa proteggere i principi fondativi della democrazia.

Ecco, quello che probabilmente è il Ministro degli Interni più competente degli ultimi decenni, presenta dei caratteri di umanità e di comprensione della realtà inestimabili. Citando Johan Huizinga, “viviamo in un mondo ossessionato e lo sappiamo”, indica esattamente cosa deve fare la sinistra oggi: liberare le persone dalle ossessioni, mentre gli altri lucrano sulle stesse. La sinistra ha il compito di “non fare finta di nulla”, ma di sollevare lo sguardo, con la capacità di pensare agli ideali e di scacciare le ombre in cui siamo immersi.

Con l’umanità tipica della sinistra e con il rigore di chi ha il compito di governare, il Partito Democratico deve essere interprete dei valori dell’accoglienza e dell’integrazione. La sinistra non può girare lo sguardo davanti a chi scappa dalla fame e dalle guerre. Non può interpretare il ruolo della destra più becera. La sinistra, però, deve anche sapere che c’è un limite all’accoglienza e quel limite è determinato dalla capacità dell’integrazione.

Infine, più nello specifico della campagna congressuale, affronta un altro tema spinoso per la sinistra. Quello sulla leadership.

Un partito moderno ha bisogno di una leadership forte. Sembra scontato, ma la storia di questi mesi ha raccontato una storia ben diversa. Una parte del Pd ha impiegato tutte le sue energie per abbattere la leadership di Renzi. Mentre là fuori, il populismo di destra di Lega e Movimento 5 Stelle galoppava su spazi aperti, c’è chi ha occupato il proprio tempo e le proprie energie per danneggiare l’immagine e la solidità della leadership riformista. E, in parte, ci sono anche riusciti. Salvo poi nascondere la mano successivamente e fuggire quando era il momento di ricostruire ciò che si era distrutto.

Il monito di Marco Minniti suona più che mai azzeccato. Chi ha una leadership giovane e riformista se la tiene stretta, la protegge. Se necessario la discute e la corregge, “ma non la ammazza”. La sinistra europea non può più permettersi di ammazzare i propri figli.

Questo congresso, in definitiva, rappresenta un momento cruciale per la vita stessa del Partito Democratico. Non soltanto per le discussioni nel merito dei valori, delle idee e delle prospettive programmatiche. Il punto cruciale è: quale leadership si vuole per il Partito Democratico?
Personalmente, credo che nel panorama politico mondiale, una leadership forte, condivisa all’interno dei partiti ma capace di mettersi in discussione, rappresenti un valore inestimabile, da proteggere e da conservare. Le forze progressiste hanno un bisogno disperato di leader capaci di interpretare il sentire comune ma, allo stesso tempo che siano in grado di scacciare le ombre e curare le persone dalle ossessioni, contro chi, sulle ossessioni, cerca di lucrare.

Ecco, il sostegno a Matteo Renzi non è e non deve essere un sostegno incondizionato, adorante e acritico. Il sostegno è quello che si dà ad un progetto comune, ad una visione che si può avere del partito e del Paese. A Matteo Renzi si può chiedere di essere interprete di tutto questo solo se si è disposti, in prima persona, a contribuire anche criticamente, ma in modo propositivo, al progetto che il Partito Democratico ha per l’Italia, con coraggio e determinazione.

TAG: immigrazione, Matteo Renzi, partito democratico
CAT: Governo

Un commento

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  1. silvia-bianchi 7 anni fa

    Ammesso e non concesso che la sinistra abbia davvero bisogno di un “leader forte capace di interpretare il sentire comune”, dubito che quel leader possa essere Renzi che ha portato il suo partito a sbattere a cento all’ora contro il muro del referendum costituzionale (cosa che avrebbe dovuto comportare il ritiro della patente politica, altro che la ricandidatura…).
    Quanto alla “sicurezza di sinistra”, bisognerebbe avere l’onestà intellettuale di riconoscere che la sicurezza è un diritto dei cittadini e che tra destra e sinistra cambiano le modalità per garantirla: mentre Salvini e le destre insistono a collegarla con l’immigrazione e propongono leggi più severe, liberalizzazione della vendita delle armi e “diritto all’autodifesa”, la sinistra – invece di tacere davanti alla cowboyizzazione dell’Italia – dovrebbe proporre ricette diverse. L’accenno all’integrazione era doveroso dopo gli applausi alla Bonino, ma stride parecchio con le politiche di Minniti che per il momento si è fatto notare soprattutto per l’idea di riaprire i CIE (opportunamente ridenominati per confondere le acque). La verità è che, dall’insistenza sui rimpatri all’evocazione di “identità e patria”, il Pd renziano sta passando dall’inseguimento del M5S a quello di Salvini. Sarà meglio correggere la rotta, prima che gli elettori di sinistra fuggano del tutto…

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