Sul fiume, a Gorino. Quando la paura non trova argini

26 Ottobre 2016

Se ci pensate, la cosa più strana sono i giornalisti, gli inviati.

Quelli che si presentano lì, alle porte di Gorino, a raccontare quel che succede, a descrivere e riprendere volti e parole dei manifestanti. Non che non siano importanti, naturalmente. E sicuramente essere lì, dove qualcosa sta succedendo, è essenziale.

Quel che non torna, mi sembra, è l’atteggiamento che abbiamo tutti noi che leggiamo, e guardiamo; no, magari non tutti, ma molti di noi sì, ne sono sicuro: l’atteggiamento di chi sta guardando qualcosa di esotico, una realtà che non poteva immaginare esistesse, emersa come d’incanto dalle nebbie umide del Delta del Po.

Perchè, siamo sinceri, gli abitanti di Goro che dicono di sé di non essere razzisti, dicono di non essere stati avvisati in tempo, dicono che lì non c’è niente per loro, figuriamoci per chi arriva, non sono diversi dai nostri colleghi di ufficio o di officina, dai nostri vicini di casa, dalle persone con cui condividiamo l’autobus o il treno; sono le persone spaventate e rancorose, fragili di fronte alla crisi economica e smarrite dalle trasformazioni che li circondano, come dice magistralmente Ezio Mauro su Repubblica.

Nella civile e assi meno isolata Genova, poco tempo fa, un gruppo di condomini si è opposto con tutte le sue forze all’arrivo di una decina di migranti in un appartamento nella centralissima Via XX Settembre. Non ci sono riusciti, ma hanno celebrato una desolante vittoria quando hanno trovato un cavillo per impedire che in quelle stanze fosse allacciata l’acqua corrente. E come non ricordare il fastidio con cui la solare e raffinata Capalbio ha reagito all’ipotesi di arrivo di un gruppo di migranti, l’estate scorsa, con tanto di interviste sul Corriere a un po’ di teste d’uovo che si ritrovano lì per passare l’estate.

Nessuno di noi faticherebbe a trovare nelle cronache altri esempi simili, a far compagnia ai manifestanti di Gorino.

Opporsi al loro diktat con più energia, da parte delle autorità, sarebbe stato doveroso. Ma per opporsi a ciò che li ha spinti a manifestare, a scendere in strada e a sentirsi comunità, perversamente unita nel negare un poco di accoglienza a chi viene da sofferenze immani, serve altro che atti d’autorità.

Ci vorrebbe una politica europea e nazionale sull’immigrazione più chiara ed efficace, naturalmente. Idee, denaro, energie per gestire non solo l’emergenza ma l’ordinarietà. Lo ha detto qualche settimana fa il sindaco di Milano, in molti hanno condiviso il suo appello, non c’è molto da aggiungere.

Ma oltre a ciò che si può fare, diciamo così, dall’alto, quel che colpisce, per la sua assenza, è una risposta politica dal basso. Una risposta che non si limiti a stigmatizzare, condannare, inorridire, ma una risposta capace di contrastare paura e razzismo costruendo un diverso ordine del discorso; una egemonia di segno opposto.

Ci sono squallidi personaggi politici, a Gorino come ovunque, che alimentano paure e ci speculano politicamente. Ma sono lì, presenti agli accampamenti di protesta come sono presenti nella quotidianità a diffondere il loro odio in dosi via via più massicce. La loro narrazione riesce quasi sempre a diffondersi indisturbata, senza trovarne una di segno diverso che la contrasti: lì, sulla strada e nei campi inzuppati d’acqua del ferrarese.

Ormai la politica, diciamo così, progressista, sembra averci rinunciato: si gioca solo sugli schermi, quelli ampi delle tv e quelli minuscoli che abbiamo in tasca, che usiamo per accapigliarci fanaticamente da mesi sul bicameralismo più o meno perfetto.

Il “territorio”, fantomatico riferimento di mille convegni e centomila pensosi documenti, è sguarnito, lasciato a piccole minoranze di buona volontà, associazioni e centri sociali, che si oppongono a mani nude alla marea mefitica montante. Che provano a costruire integrazione e conoscenza, a parlare con le persone, proprio quelle che non sono razziste, non sono state avvertite in tempo, sono spaventate e smarrite. Prima che diventino carne a buon mercato per i razzisti, quelli veri e disgustosi. Anzi, non soltanto vengono lasciate sole, come ha ricordato Christian Raimo in questi giorni a proposito di Casetta Rossa a Roma, ma vengono boicottate e sgomberate dall’oggi al domani, per ottuse ragioni burocratiche.

La crisi dei partiti e delle organizzazioni di massa ha ragioni profonde, ampiamente indagate e minuziosamente descritte. Ma continuare a non porsi il problema della loro ricostruzione in termini adeguati ai tempi rischia di costare carissimo.

Oggi il prezzo lo pagano poche ragazze in cerca di aiuto, respinte con crudeltà in una notte triste e vergognosa. Domani, ma proprio domani, rischiamo di pagare tutti noi.

TAG: migranti, populismo, razzismo
CAT: immigrazione, Integrazione

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