Voilà la startup di app che coccola i dipendenti e sogna un’Italia diversa

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14 Gennaio 2017

L’asset cruciale di un’azienda (checché ne pensino certi datori di lavoro) sono le persone che vi lavorano. E questo è vero soprattutto quando le aziende in questione operano nei settori della cosiddetta economia della conoscenza, dove a fare la vera differenza non sono tanto le tecnologie, quanto le competenze e le abilità dei tecnologi.

San Francisco     foto di Dirk Beyer

Per tale motivo in quell’eldorado dell’innovazione che è la Silicon Valley è pratica corrente, tra i colossi del digitale, non solo trattare bene, ma coccolare i propri dipendenti, offrendo ogni tipo di benefit: dalla nap room agli asilo-nido aziendali, da ottime assicurazioni sanitarie alle birre artigianali gratis. E infatti nella classifica Forbes dei migliori datori di lavoro d’America, ai primi 12 posti ci sono 3 aziende digitali: Google, addirittura al secondo posto; SAS, al sesto; Facebook, che si classifica “soltanto” undicesima.

A Milano c’è una startup che sembra ispirarsi ai modelli lavorativi californiani. Si chiama BedningSpons, produce app scaricate in tutto il mondo ed è stata fondata nel 2013, in quel di Copenaghen, da 4 ragazzi italiani e uno polacco: Matteo Danieli, Francesco Patarnello, Luca Querella, Tomasz Greber e Luca Ferrari. E proprio quest’ultimo per questo blogpost mi racconta:

Personalmente, ho co-fondato l’azienda perché voglio avere un impatto positivo sul mondo, e credo che un’azienda di successo possa fare la differenza in tanti modi diversi. Io sto dando il massimo per essa, e lo stesso stanno facendo gli altri fondatori. E anche loro desiderano davvero fare la differenza.

È un’azienda sui generis, almeno per gli standard italiani. Ha una struttura gerarchica quasi piatta, l’età media è di circa 30 anni, grande è la passione per il ciclo di Star Wars. Composta da un team di programmatori d’eccellenza da tutto il mondo, periodicamente organizza ritiri aziendali collettivi in luoghi come la Tailandia, l’Australia o l’Argentina. In ogni caso, il loro modello di business sembra l’uovo di Colombo:

Le nostre app vengono scaricate, generalmente gratis, da utenti di tutto il mondo. Ogni volta che mostriamo una pubblicità, o che l’utente effettua un acquisto nell’app, abbiamo un ricavo. I costi sono principalmente legati alla ricerca e sviluppo necessari alla realizzazione delle varie app, e alle tecnologie sottostanti.

La squadra in Thailandia

Pensano che trattare bene i dipendenti, motivarli e offrirgli opportunità di crescita giovi anche alla salute dell’azienda. E questo è doppiamente vero in Italia, dove ci sono serbatoi immensi di talento e competenza. Proprio per questo motivo la startup ha lasciato la Danimarca traslocando in Italia, sottolinea Ferrari:

Per avere una startup con qualche probabilità di successo serve un team eccellente. Noi siamo tornati in Italia perché conoscevamo la passione, la competenza e la dedizione di tanti nostri coetanei; ragazze e ragazzi molto motivati e di talento, in un Paese con ancora troppi pochi sbocchi lavorativi all’altezza. Tornare in Italia, dunque, ha significato anche provare a coinvolgere alcuni di questi giovani fantastici nel nostro ambiziosissimo progetto.

E aggiunge:

Da italiano poi, non nascondo che è molto gratificante cercare di fare la propria parte, dando a qualche bella testa un motivo in più per restare in Italia e avere un impatto. Perché mentre a Londra, New York o in Silicon Valley si è solo una goccia nell’oceano (l’ho sperimentato di persona), in un ecosistema dell’innovazione ancora piccolo come il nostro si può davvero fare la differenza. Spesso il massimo dell’impatto ce l’ha chi pensa, e agisce, controcorrente.

Sogna un’Italia diversa, questo gruppetto di ingegneri. Un’Italia più innovativa, efficiente e meritocratica, al passo con quel mondo in perpetua trasformazione che hanno conosciuto durante i loro soggiorni in Silicon Valley, Tokyo o Danimarca. E così come il mondo cambia, è necessario che cambi anche il Paese. Lo sottolinea con forza Ferrari:

In Italia, quantomeno negli ultimi decenni, si è sviluppata una cultura che valorizza poco l’ingegneria, il dinamismo e l’esplorazione, e predilige invece la teoria, la forma, la staticità e l’adesione a percorsi canonici. Ciò in parte è comprensibile, visto il nostro passato assai orientato alla cosiddetta cultura alta, e dato che la natura umana tende a essere avversa al rischio, ma qui si esagera. A mio parere è un atteggiamento suicida, in un mondo sempre più globalizzato e trainato dallo sviluppo tecnologico. E poi un po’ mi stupisce, considerando che nel secolo scorso abbiamo prodotto così tanti grandi imprenditori.

Per Ferrari una delle chiavi di volta assolute per far ripartire l’economia italiana è l’università. Che deve diventare meno astratta e teorica, più concreta, applicativa e motivante. In particolare:

Riteniamo che l’università dovrebbe spingere molto di più sull’alternanza aula-lavoro. In Danimarca, una realtà che conosciamo bene, molti nostri colleghi d’università lavoravano 10, 20 ore a settimana in azienda prima della fine degli studi, e in settori molto legati alle loro aree di studio. In questo modo potevano affacciarsi sul mondo del lavoro già consapevoli di quale strada volevano seguire, e con competenze pratiche spendibili sin dal primo giorno in ufficio.

TAG: italia, Lavoro, silicon valley, startup, Università
CAT: Innovazione, Startup

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