“Vi racconto il rancore della mia Macerata, ignorarlo sarebbe fatale”

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7 Febbraio 2018

Caro Direttore,

sono un giovane maceratese scosso e preoccupato per quello che è successo e sta succedendo nella mia Città. Essere cittadino di Macerata è stato fino a questo momento un onore discreto. Salvo qualcuno che riusciva a riconoscerti a casa dell’accento piuttosto marcato, la maggior parte degli italiani non sapeva nemmeno in quale regione fosse. Si figuri la mia sorpresa quando un amico olandese mi ha chiamato sul cellulare, chiedendomi come stava la mia famiglia. Vivendo all’estero, ho dovuto trovare conferma da mio fratello. Ho accettato che ci fosse stata una sparatoria in centro soltanto dopo aver visto le foto. Fino a quel momento, le assicuro, ero in uno stato di completa negazione. Eppure, a due giorni da questi eventi terribili che ormai conosciamo tutti, c’è una domanda che affligge me e tanti altri maceratesi: come è possibile che sia successo proprio a Macerata?

La risposta più semplice sarebbe chiamare in causa la follia dell’attentatore. Secondo una narrativa che ha ormai preso piede, il giovane che ha compiuto il gesto avrebbe avuto gravi problemi psicologici, aggravati da una situazione familiare disastrosa. Naturalmente se l’attentatore fosse stato nero non si sarebbe fatta alcuna indagine sul trascorso familiare del criminale, né la sua situazione psicologica sarebbe stata utilizzata come una giustificazione. Ma il doppiopesismo non discredita in alcun modo la veridicità di questa tesi, ed è indubbio che Luca Traini avesse dei problemi. Né può essere sottovalutato l’effetto che può aver avuto su Traini la storia, sebbene non collegata in alcun modo, della ragazza trovata a pezzi in due valigie il cui responsabile sembra essere uno spacciatore nigeriano. Una tale miscela, terribile, di eventi, sarebbe sufficiente a far ribollire una grande città, figuriamoci una provincia dimenticata dai media come Macerata.

Eppure sono convinto che l’infermità mentale o i problemi psicologici del singolo soggetto non bastino a spiegare l’entità del problema che sta vivendo la provincia di Macerata. Altrimenti non si spiegherebbe il caso di Chinyere Immanuel, picchiato a morte appena un anno fa a Fermo, a pochi chilometri da Macerata. Mancini, un ultrà della squadra locale di calcio, aveva ammazzato il giovane nigeriano dopo che questo aveva osato reagire ad insulti razzisti (african scimmia!) urlati contro di lui e sua moglie. Anche in quel caso si era parlato di un caso isolato provocato da un ragazzone con dei problemi. Ma se due indizi fanno una prova, forse è il caso di chiedersi come mai la provincia della provincia sia diventata, almeno stando alle ricostruzioni giornalistiche, il centro del disagio italiano.

Macerata è tradizionalmente una città di sinistra. Il sindaco attualmente in carica, del partito democratico, è stato recentemente rieletto con una ampia percentuale. Eppure la provincia, inclusi molto elettori del sindaco, sembra essere sempre più disorientata ed arrabbiata. E non farsi domande sulle cause di questo disorientamento e questa rabbia, derubricando il fatto ad una follia individuale, vuol dire guardare da un’altra parte davanti ad una bomba ad orologeria, disinteressandosi del fatto che presto o tardi potrebbe tornare ad esplodere.

L’immigrazione non è arrivata nel maceratese con la crisi dei rifugiati. Il nostro territorio è formato da tanti piccoli borghi medievali, ed alcuni di questi hanno conosciuto una forte immigrazione extraeuropea già da molti anni. A Corridonia, la cittadina dove Traini era candidato con la lega, negli ultimi venti anni sono arrivati talmente tanti pakistani da essere rinominata, dispregiativamente, “Pakistonia”. Eppure fino a qualche anno fa, nonostante qualche mugugno, la provincia aveva retto e, in alcuni casi persino vinto, la sfida contro il razzismo. Cosa è cambiato?

Ovviamente non ho la risposta a portata di mano. Sta di fatto che un paio d’anni fa su Facebook è sorto un gruppo chiamato “sei di Macerate se”. L’intento iniziale credo fosse quello goliardico di autocelebrare l’identità post-contadina del cittadino maceratese. Ma nell’arco di poche settimane si è trasformato in una cloaca in cui alcuni cittadini, spesso sotto falso nome, riversavano tutto il loro odio contro i neri arrivati dai barconi. Coloro, a dir la verità nemmeno pochi, che cercavano di riportare un po’ di sobrietà nel gruppo venivano tacciati di essere dei “radical chic”, dei “buonisti” che non conosceva il disagio vissuto dalla periferia. Ma spesso i commenti o i post peggiori non venivano da disoccupati o disperati, ma da persone normali, con un lavoro e tutte le comodità “borghesi” che rinfacciavano ai “buonisti”.

Nel frattempo anche i giornali locali, forti di una “readership” che farebbe gola anche ad alcuni portali di informazione nazionale, rincaravano la dose. Un famoso articolo di opinione scritto sul più importante quotidiano della provincia paragonava una zona di Macerata al “Bronx”, sostenendo che nella provincia lo spaccio di droga fosse ormai allo stesso livello del famoso quartiere di New York. I commenti nello stesso giornale, specialmente sotto gli articoli più allarmistici e volutamente esagerati aventi ad oggetto l’immigrazione, diventavano ulteriori focolai di odio e razzismo, finché lo stesso portale era costretto ad adottare una (tardiva) politica di identificazione obbligatoria dei commentatori. Ma ormai parte del danno era stato fatto: lo sdoganamento provinciale dell’odio razzista era stato ultimato, ed i commentatori non dovettero far altro che commentare sulla pagina Facebook invece che direttamente sul sito del giornale.

Naturalmente i mezzi di informazione locale hanno amplificato e distorto un problema che, tuttavia, esiste. La crisi del Mediterraneo ha effettivamente portato tantissimi rifugiati, e molti maceratesi vedono la loro città riempirsi di uomini neri, mentre la tesi comune tanto sui giornali quanto sulla strada è che finiranno tutti per spacciare o delinquere. La loro venuta è infatti coincisa con un bombardamento mediatico sia a livello locale che nazionale, ove discriminare ed odiare in base al colore della pelle non era più considerato qualcosa da stigmatizzare, ma anzi un comportamento accettabile e condivisibile. Tanto che ad essere emarginati ed etichettati non erano più i razzisti, ma coloro che cercavano di arginarli. E non importa quanto dicono i dati Istat sui numeri dell’immigrazione, perché ormai la percezione della realtà è diventata più importante della realtà stessa.

Parte della sinistra, specialmente quella più militante, non ha dato una grande prova di sé. I centri di prima, seconda e terza accoglienza sono gestiti dal GUS (gruppo di umana solidarietà), che nella provincia di Macerata è una vera e propria potenza economica, dando lavoro a moltissime persone. Molti giovani, spesso disoccupati, hanno inviato il loro curriculum nella speranza di lavorare nel settore ed unire, come si dice, l’utile al dilettevole, ovverosia avere finalmente un lavoro stabile facendo allo stesso tempo un’attività moralmente gratificante. Eppure il GUS è diventato in provincia il simbolo dell’associazionismo di sinistra che difende l’integrazione perché ci lavora sopra, e non un emblema di solidarietà. Credo che maggiore trasparenza nella selezione dei collaboratori ed una minore vicinanza alla politica avrebbe aiutato.

La maggioranza dei maceratesi è ancora saldamente ospitale con chi ha bisogno, e solidale con chi fugge dalla guerra e dalla povertà. Molti appartenenti alla minoranza “rumorosa” e razzista, che a parole inneggiano al terrorista su Facebook, sono migliori di così. Tanti maceratesi a parole odiano gli stranieri, ma nei fatti si sono dimostrati molto generosi. Ho assistito ad alcuni casi di persona. Per gli altri voglio credere che sia così. Ma rimane il fatto che qualcosa si è rotto nel patto sociale della provincia, che impone a chi odia i diversi, i reietti e gli sfortunati di nascondere le proprie idee invece che cercare continuamente nuovi accoliti. Allo stesso tempo, chi è apertamente a favore dell’immigrazione, totale o controllata che sia, è sempre costretto a fare distinguo ed a trovare qualche giustificazione per le sue idee, pena l’essere additato ed incolpato di essere un ipocrita.

Oggi c’è stata una manifestazione spontanea contro il razzismo ai Giardini Diaz, uno dei punti nevralgici della città. Purtroppo si sono presentate poche persone, forse duecento, dopo che tanto il Sindaco quanto il Partito Democratico, la cui sede è stata colpita della pistola di Traini, hanno chiesto alla popolazione di non manifestare per non scaldare ulteriormente gli animi. Mi dicono che quando a parlare sono stati cittadini comuni, che hanno invitato Macerata a mantenere il raziocinio ed il tradizionale senso di accoglienza e solidarietà, l’esigua folla abbia accolte le parole con degli applausi. Ma quando componenti del centro sociale locale hanno invitato i cittadini ad un antirazzismo militante ed hanno accusato i razzisti di essere fascisti, ci sono stati dei mugugni. Questo perché anche i cittadini maceratesi più accoglienti e generosi hanno capito che le cause di questa cortina di odio che sembra essersi riversata sulla città, e più in generale sulla provincia italiana, non vanno ricercati nella cattiveria o nel fascismo delle singole persone, ma in un malessere più profondo e generale che va assolutamente affrontato di petto, piuttosto che lasciato bruciare lentamente fino al prossimo focolaio.

Francesco Pennesi

TAG: Macerata
CAT: Integrazione

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