Il Leopardi di Martone e Germano

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13 Gennaio 2017

Su Rai 3. Ore 21:15 del 12 gennaio 2017

Noi non credevamo oggi, in questa Italia confusa e affranta dalla crisi, di poter assistere a un momento di accorato raccoglimento sulla nostra storia nazionale, sulla nostra lingua – che più viene stuprata e più amiamo -, sulla nostra poesia, sul Leopardi poeta lirico e intellettuale sommo che è intimamente nostro, come il gelato, il belcanto, il pallone (elementi questi che trovano nel film il loro momento). Tutto ciò grazie all’intuito didascalico alto di gamma di Martone, l’ispirato regista di quel bel film sul nostro Risorgimento che è Noi credevamo e che con il primo Ottocento ha dimostrato di avere grande consuetudine. Documentarismo intelligente, delicatezza e intensità accompagnano la ricostruzione filologicamente accudita e di grande resa figurativa della vita di Leopardi in questo Il giovane favoloso (2014).

Se lo strabiliante interprete Elio Germano s’è potuto mostrare a Venezia all’atto della presentazione del film con il pugno teso (ma sbagliando la mano, che è quella sinistra e non la destra) è perché ha voluto sottolineare con tale provocazione, dettata dagli uffici stampa forse, la “lettura” della vita e dell’opera di Leopardi quale poeta e intellettuale “progressivo” imposta, sulla scia di Cesare Luporini, dal grande Sebastiano Timpanaro, il quale nel suo leopardismo-marxismo (ma sarebbe più corretto dire Engelsismo) ha voluto sempre sottolineare il peso della natura sull’agire umano, sulle sue volizioni, sui suoi stessi esiti ultimi, tale che “la fragilità biologica dell’uomo non potrà essere veramente superata”, come scriveva Sul materialismo, e invitando perciò la filosofia della prassi (leggi, il marxismo) che da quella natura volevano trascendere, a prenderne doverosamente atto, proprio avendo egli, Timpanaro, appreso quella lezione da Leopardi, di cui sottolineava di contro il pessimismo agonistico.

Dopo alcune doverose precisazioni e correzioni sul leopardismo degli stenterelli (quello che sottolinea sardonicamente che con quel fisico non poteva essere di certo ottimista) con le quali Martone sottolinea l’ovvia disconnessione tra la corporeità del Poeta e la sua visione del mondo; dopo l’emozionante declamazione dei componimenti poetici più amati da tutti noi, quelli posti sotto il segno del puro lirismo idillico come La sera del dì di festa e L’Infinito come dell’indicazione filosofica de La ginestra scanditi con dolcezza, non vengono certamente taciuti dall’ideatore del film il materialismo appunto, l’ateismo e lo scetticismo del Poeta di Recanati (come invece spesso viene fatto da coloro che spingendo solo sul pedale del passero solitario e del paterno ostello intendono fraudolentemente oscurare il sensismo materialista di matrice holbachiana).

A coronamento di questa lettura non poteva mancare perciò nella pellicola una citazione netta dallo Zibaldone che ci piace qui riportare a conclusione delle nostre impressioni sul film:

“ Il mio sistema introduce non solo uno Scetticismo ragionato e dimostrato, ma tale che, secondo il mio sistema, la ragione umana per qualsivoglia progresso possibile, non potrà mai spogliarsi di questo scetticismo; anzi esso contiene il vero, e si dimostra che la nostra ragione, non può assolutamente trovare il vero se non dubitando; ch’ella si allontana dal vero ogni volta che giudica con certezza; e che non solo il dubbio giova a scoprire il vero ( …), ma il vero consiste essenzialmente nel dubbio, e chi dubita, sa, e sa il più che si possa sapere”.

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Nota aggiunta ai miei critici

Ripeto. In accordo con Sebastiano Timpanaro, che mi sembra l’ispiratore di fondo,  Martone restituisce Leopardi all’ateismo di d’Holbach senza toglierlo al lirismo del paterno ostello e delle lune romantiche delle bas bleu . Alcune di esse hanno dichiarato su Facebook che non appena hanno sentito declamare L’Infinito si sono alzate e hanno abbandonato la sala per cialtronaggine conclamata sia del regista che dell’attore (ok, ma se uno ha scritto L’Infinito cosa si doveva recitare la Cavalleria rusticana?). Citazioni precise dall’epistolario e dallo Zibaldone dei Pensieri, battute contro i preti tel quel, per chi stava sotto l’oppressione delle tonache (soffocante il fideismo di mammà) fu quasi spontaneo diventare atei e anticlericali: nelle Marche come di lì a poco soprattutto nella Romagna di Andrea Costa e Benito Mussolini. Alto tasso di ateismo si registrava nelle terre dello Stato pontificio, che impiccava a piazza del Popolo interpretando il vangelo, tanto è vero che tuttora nel catechismo non ha cassato la pena di morte… Le “pagine” fiorentine sono aderenti ai fatti e restituite nell’air du temps, Fanny Targioni Tozzetti, Capponi e Niccolini compresi. Tommaseo era quel che era, un cattolico “metà giovedì grasso e metà venerdì santo” (Manzoni dixit) e viene restituito alla sua bassezza di letterato (altra cosa è il lessicografo). La figura di Giordani è data nella sua grandezza di intellettuale provinciale di genio (leggere e rileggere le pagine di Timpanaro che così ce lo tratteggia in Classicismo e illuminismo nell’Ottocento italiano). Le pagine napoletane fosche e belle, Ginestra compresa. Per i sorbetti e la società napoletana rileggere qualche pagina di Ranieri. Il lupanare, sulla scorta delle memorie di Ranieri ci poteva stare, anche se forse non c’è stato nella realtà. Giacomo rimase onanista. Solo l’accompagnamento musicale è una nota stonata, dovuto forse a esigenze produttive e alla spendibilità della pellicola all’estero. Nell’insieme nessuno meglio di Martone conosce “visivamente” il nostro Ottocento. Rivedere Noi credevamo per credere. Questo è il film che ho visto. Superbo a mio avviso. Giudizio che confermo.

TAG: Elio Germano, Giacomo Leopardi, Mario Martone
CAT: Letteratura

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