Intervista a Grazia Verasani: “Sono una lettrice compulsiva”

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23 Ottobre 2016

Il suo ultimo romanzo, Lettera a Dina (ne abbiamo scritto qui), è in ristampa da qualche settimana, le date delle presentazioni si susseguono e le recensioni entusiaste fioccano sia sul web che sulla carta stampata. Parliamo della scrittrice Grazia Verasani (www.graziaverasani.it), regina indiscussa del noir (menzione speciale Premio Scerbanenco 2015, il suo Quo vadis, baby? e la saga con al centro il personaggio di Giorgia Cantini non hanno bisogno di presentazioni), autrice di racconti, romanzi, pièce teatrali e canzoni. I suoi lettori la ritrovano con una certa frequenza anche su Facebook, dove con uno stile peculiare, ormai vero e proprio marchio di fabbrica, condivide pensieri, opinioni, spunti artistici, dalla musica alla fotografia. La scrittura della Verasani ipnotizza perché intrattiene e svela, diverte e induce a riflettere al contempo. Una scrittura di sfumature e contrasti, rivelazione di un’anima dark ma pure delicata. Noi degli Stati Generali l’abbiamo contattata e le abbiamo fatto qualche domande sul suo rapporto con la scrittura e naturalmente sulle sue letture.

Il suo ultimo romanzo, Lettera a Dina, è la storia di un’amicizia che si alimenta prima di presenze e poi di assenze. Il ricordo, il pensiero, la comunicazione attraverso la musica e i libri contano nei rapporti umani e nella definizione di un individuo, secondo lei?

C’è un verso di una canzone di Piero Ciampi che dice “La tua assenza è un assedio”. Mi piace molto e penso sia indovinata per la storia di amicizia che racconto, a maggior ragione se si tratta dell’assenza di qualcuno con cui siamo cresciuti e che, morendo, rappresenta nostalgia, rimorso, ma anche una sorta di arto fantasma che ci accompagnerà per sempre. Ma, per rispondere, sì, credo che tutto ciò che è arte e che assorbiamo, facciamo nostro, definisca la nostra personalità.  Si tratta sempre di incontri, che siano tra persone o attraverso i libri, i film, il teatro, i quadri, la musica. Io, senza queste cose, non potrei vivere. Non troverei proprio un senso alla vita.

Dopo aver letto Lettera a Dina, Gianpaolo Serino, uno dei critici letterari più competenti in Italia, l’ha definita la più ironica ed esistenzialista autrice italiana. Si ritrova in questa definizione?

Serino è stato generoso. Di sicuro l’ironia è una difesa di cui approfitto spesso per sdrammatizzare gli eventi drammatici che accadono, per vederne, inesorabilmente, un lato comico. Credo che l’ironia sia una tecnica di sopravvivenza ma credo che non si debba abusarne, se no rischia di sfociare in amarezza e sarcasmo. L’esistenzialismo è la lunga coda a cui si è appigliata la mia generazione.

La sua esperienza di autrice è variegata: ha scritto per la narrativa, la musica e il teatro. La scrittura per lei sembra avere diverse declinazioni e destinazioni, o sbaglio?

Da bambina, dovevo essere sempre distratta, perché mi annoiava concentrarmi su una cosa soltanto. E anche da adulta. Ho molti amori, e bene o male, cerco di viverli tutti. Credo che la libertà maggiore sia avere la possibilità di esprimersi con più mezzi espressivi. In narrativa mi piace passare dal romanzo “bianco” a quello noir. Amo la musica, il teatro e il cinema e ho provato a scrivere utilizzando tecniche diverse. Ma alla fine, quello che conta, è lo stile o, meglio, la voce: e ognuno ha la sua, di qualunque forma creativa si interessi.

Ci racconti di lei quando non era ancora una scrittrice affermata: quando e quanto scriveva? Cosa la appassionava?

Ho cominciato a scrivere presto, perché ho iniziato a leggere presto, e credo che le due cose siano estremamente collegate. Ho fatto il conservatorio, quindi direi che il primo approccio è stato la musica, un’inclinazione che ho riversato, volente o nolente, nei miei primi racconti e in ogni libro successivamente pubblicato. Non è stato facile trovare una strada principale (la scrittura) quando il mio “eclettismo disperato” mi portava a scegliere anche strade secondarie, e quindi il lavoro come attrice in vari teatri stabili e poi la musica, i concerti, i dischi, il premio Recanati per la canzone d’autore. Tutte esperienze che alla fine sono convogliate nella scrittura, che è diventata col tempo la mia relazione più stabile.

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Che tipo di lettrice è? Da quali libri è stata attraversata? A quali libri sente di dover ritornare?

Sono una lettrice compulsiva. Leggo tantissimo e, non essendo mai stata snob, leggo di tutto, a parte il “rosa” sdolcinato e i libri mal scritti (che abbandono dopo due pagine), che siano gialli o altro. Ho ovviamente le mie bibbie e autori di riferimento. In primis Robert Walser, Céline, la narrativa americana della lost generation, ma anche la Ginzburg, la Bachman, la Ortese, e poi Chandler, i noiristi francesi, Patricia Highsmith. Un romanzo fondamentale, a cui ritorno spesso è Martin Eden di London, ma anche Jane Eyre di Charlotte Bronte, i racconti di Cechov e Turgenev, e autrici, tantissime autrici contemporanee o del novecento, soprattutto Françoise Sagan. Senza contare la poesia. I saggi. La filosofia antica.

Cosa sta leggendo in questo momento?

In questo momento sto leggendo Daphne di Tatiana De Rosany sulla vita della scrittrice Daphne du Maurier, e ho appena finito Il rumore del tempo di Julian Barnes, altro autore tra i miei preferiti insieme a Saul Bellow, Martin Amis e Philip Roth.

TAG: intervista a grazia verasani
CAT: Letteratura

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