La storia di Fufi, la storia di noi

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9 Marzo 2018

“C’è poco e c’è tanto da raccontare”. Inizia così l’audiodocumentario Chiamatemi Fufi di Francesca Bellino con Fabiana Carobolante, in onda su Radio3 Rai da lunedì per TreSoldi che raccolta la storia di una donna qualsiasi. Se non fosse…

Se non fosse che Fufi è nata negli anni Quaranta. E’ una femminista. Ed è lesbica. Se non fosse che Fufi ha attraversato da protagonista – protagonista come tutte le donne che hanno lottato in prima persona per i loro diritti, e per trovare la felicità secondo quel percorso accidentato che la vita ossessionata dagli stereotipi e dal giudizio insegna – mezzo secolo italiano.

Fufi. Ma perché Fufi? Perché tutti la chiamano così. “La chiamano così – mi spiega Fabiana Carobolante – fin da bambina. Lei è nata nel 1940. Suo padre era ebreo, e sua madre cattolica. Si sposarono in fretta per le leggi razziali. Il padre venne deportato, ma quando riuscì a vedere la moglie decisero di parlare della bambina come un animaletto di casa. Lo fecero per proteggerla, perché temevano che rivelando di avere una figlia questa venisse deportata”.

“Ero destinata a essere qualcosa di diverso a quello che ci si aspettava che fossi. A partire dal nome. A partire da quello che ci sia aspettava da una donna negli anni Sessanta. Che avesse una famiglia, che si dedicasse alla casa e quant’altro”.

Così dice Fufi, nel corso di questo lavoro radiofonico che restituisce la sua voce limpida e forte, innovando il linguaggio: i tempi si sovrappongono, e la sua esistenza diventa un romanzo a puntate. Ogni episodio è infatti preceduto da un piacevole, e utilissimo, riepilogo di ciò che è accaduto in precedenza: le giornate, le battaglie, le sorprese sono un fiume in piena, che non smette di scorrere.

“Negli anni Settanta – continua Carobolante – quando Fufi frequentava il collettivo separastista di Via Pompeo Magno a Roma, un collettivo di sole donne, fra le riunioni di autocoscienza e i dibattiti, ci si accorse che le donne non avevano dei canti da poter portare in piazza. C’era Bella Ciao, ma non era un canto solo della donna. E dunque Fufi scrisse una parodia della canzone di Marinella, e da allora cominciò a raccontare in musica. Ha scritto sul divorzio, sull’aborto e la prima canzone omosessuale: Mi guardo in uno specchio”. Nasce anche un disco, autoprodotto: Canti di donne in lotta.

Ma la storia di Fufi racconta soprattutto di un movimento attivo e inclusivo, che si riuniva con periodicità e faceva della sua forza il coinvolgimento trasversale. Perché le battaglie (si può dire altrettanto oggi?) erano sempre e solo comuni. Erano battaglie di tutti. E il movimento femminista aveva un respiro internazionale. Una fotografia dell’otto marzo ritrae, a Campo de’ Fiori, Jane Fonda arrivata per dare la sua solidarietà e il suo sostegno. C’è anche Amsterdam. E poi il tempo di oggi: quando l’anno scorso, a un funerale in Turchia di una donna stuprata, le femministe presero la bara e la portarono al posto degli uomini. Nella Turchia musulmana questo non è ammissibile, ma le donne agirono di forza. E poi… C’è molto altro. Fra una parola e un sospiro, fra un ricordo e il presente.

 

 

 

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