Social media, siamo tutti destinati a morire a stento

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15 Aprile 2017

I social sono nati come specchio e trasposizione virtuale della vita reale: amicizie, amori, battibecchi, litigi… C’è un aspetto che gli utenti di Facebook e altri social media spesso dimenticano. Che della vita, fa parte, a pieno diritto, anche la morte. Inutile fare scongiuri: provate a scorrere le vostre liste di contatti e probabilmente tra di essi troverete qualche amico passato a miglior vita, il cui profilo, però, è ancora attivo. Non ce ne accorgiamo, ma Facebook sta diventando un enorme cimitero virtuale. Cosa resterà, allora, dopo di noi della nostra vita online? Che fine faranno tutti i nostri dati – e-mail, tweet, status, fotografie e video – dopo la nostra morte? Rimarranno in cloud per sempre, intatti ed eterei, o si potrà ancora aspirare a un oblio delle informazioni? Che forme prenderà, in definitiva, la nostra eredità digitale?

Il problema lo affronta nel suo Il libro digitale dei morti – Memoria, lutto, eternità e oblio nell’era dei social network (Utet) Giovanni Ziccardi, professore di Informatica giuridica presso l’Università di Milano. Ziccardi  insegna anche Criminalità informatica al Master in diritto delle nuove tecnologie dell’Università di Bologna. Il suo è un vademecum per chi vuole sopravvivere in rete, o, forse, scomparire del tutto.

 

Professor Ziccardi, dopo tanti esperimenti sull’ibernazione e l’illusione di poter essere immortali, saranno i social a tenerci in vita dopo la morte? Magari senza che nessuno l’avesse previsto.

In effetti i social stanno cambiando il momento del “passaggio” tra la vita e la morte. Non certo come l’ibernazione, ma arrivando a influenzare anche l’ultima fase della vita della persona umana dopo aver condizionato pesantemente gli affetti, la sessualità, la vita di relazione, il modo di parlare, di fare politica e ogni altro aspetto della vita dell’uomo. L’idea di una immortalità dei nostri dati è ora concreta e visibile a tutti. I dati sopravvivono, la morte è entrata nei dispositivi, “in tasca” di tutti gli individui, sulle piattaforme social. E appare ancora più evidente quando i rapporti tra le persone sono soltanto telematici, dove la sensazione di distacco si attenua sempre più e vi è una sorta di continuità tra vita e morte digitale.

Quando, come e perché è nata l’idea del libro?

L’idea è nata lo scorso anno per diversi motivi. Il primo è stato l’annuncio dell’imminente “sorpasso” dei profili di morti rispetto ai profili di vivi sui social network, e in particolare su Facebook. I social, insomma, si avvicinavano sempre di più alla realtà della nostra società. Poi l’idea è nata anche percependo una attenzione diffusa, soprattutto negli Stati Uniti, per la cosiddetta “eredità digitale”, ossia per il patrimonio di dati e di informazioni che lasciamo e che può avere non solo un valore sentimentale ma anche economico. Se oltre 30 Stati negli Stati Uniti d’America hanno già fatto leggi, o le stanno facendo, su questo tema, un motivo c’è, ed è che l’argomento sta diventando di importanza mondiale. Al contempo mi interessava analizzare il diritto all’oblio, ossia la possibilità, o l’impossibilità, di rimuovere contenuti, di “far morire i dati”. Cosa che sta diventando sempre più complessa.

I social sono una Spoon River 3.0?

Forse sì. Semplicemente i social stanno diventando uno specchio di tutto ciò che ci interessa nella nostra vita e, quindi, anche della commemorazione della morte, delle manifestazioni di affetto e di cordoglio per amici che non ci sono più. Il tutto in un ambiente nuovo, molto lontano dai tipici luoghi che nella storia servivano a commemorare i defunti. Ci si dovrà abituare a questi nuovi ambienti, tanto confusionari quanto sinceri e immediati.

Lasciare online la bacheca di un defunto (cosa che accade, secondo ll suo studio, con una media di 650 casi al giorno) è una nuova maniera di elaborare il lutto?

Può essere, ma può anche semplicemente essere una trasposizione gioiosa sul social network di una possibilità nuova per manifestare affetto nei confronti di una persona che non c’è più, per riunire gli amici attorno a un “tempietto” digitale che prende vita e che fa circolare ricordi.

Alcuni studi sulle intelligenze artificiali stanno sperimentando una vita surrogata in cui la nostra identità digitale potrà vivere in eterno, continuando ad interagire. Come avverrà questa interazione? Parleremo con dei fantasmi o con chi?

Gli esperimenti sono ancora pochi, e a livello embrionale. L’idea è di dialogare con un robot che possa parlare come parlava una persona defunta, o apparire come se fosse quella persona. Più che con dei fantasmi, si parlerà con un sistema di intelligenza artificiale molto sofisticato che, però, ci ricorderà qualcosa di una persona che conoscevamo e che non c’è più. L’accuratezza non è ancora avanzatissima, è facile “indovinare” che sta parlando una macchina, ma non possiamo sapere come si evolverà in futuro.

Che lei sappia, Zuckerberg & co. si sono posti il problema degli utenti che trapassano, al di là dell’indicare nel proprio profilo un “erede”? Se sorpasso tra defunti e vivi ci sarà, come cambieranno i social?

Tutti i servizi stanno gestendo il problema della possibilità di indicare delle “ultime volontà” nelle piattaforme più importanti. Dalla nomina di un contatto erede a quella di esecutori testamentari (come consente ad esempio Google), sino alla possibilità di richiedere la rimozione di tutti i dati del defunto, ormai è possibile prevedere cosa accadrà e dare alle piattaforme precise istruzioni. Se ci sarà il sorpasso, probabilmente i social cercheranno di “isolare” i profili dei defunti in aree meno visibli, per evitare una sorta di “contaminazione” dell’ambiente.

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