Progettare l’intensità

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19 Settembre 2017

L’altra sera, mentre in televisione impazzavano programmi in cui finti architetti – o signore dal riconosciuto “buon gusto” – proponevano soluzioni alla moda per la ristrutturazione di case dissertando su un vaso o sulla scanalatura di una piastrella, ho avuto la fortuna di sfogliare un bel catalogo dal dorso in gommapiuma. Soluzione che non mirava a sorprendere il lettore – come accadeva con alcune delle pubblicazioni Actar o Taschen degli anni novanta – bensì a suggerire quello che si sarebbe trovato all’interno. Ovvero una serie di immagini di oggetti esposti alla Triennale di Milano dal 30 giugno al 30 luglio scorso in una mostra dal titolo Secondo nome: Huntington in cui quel materiale fungeva da supporto per didascalie e progetti. Per gli ignoranti come il sottoscritto, l’Huntington (scientificamente chiamata Còrea Major) è una patologia ereditaria degenerativa del Sistema Centrale Nervoso che colpisce le persone tra i 30 e 50 anni. Ovvero nel pieno della loro vita. La mostra esponeva proposte di designer affermati e di giovani under 35 (selezionati mediante il concorso …ma così è la vita! Junior Design Contest) che affrontano i vari aspetti di questa patologia con cui le persone devono negoziare la propria esistenza. Aprire una fialetta, mettere il cappuccio alla biro, sedersi sul water, indossare un vestito o cercare un appoggio in casa sono diventati i “contesti” che i progettisti hanno scelto nell’ampio territorio dell’Huntington, realizzando degli oggetti – grazie alla collaborazione di alcuni tra i più noti Fab Lab italiani – che contengono una carica poetica enorme, quasi commovente. “Sono proposte piccole, semplici, discrete, ma proprio in questo sta la loro peculiarità: nell’umiltà con cui hanno accettato di prendersi cura di una difficoltà, fornendo la risposta più complessa. Quella della semplicità” dice Silvia Annicchiarico, direttrice della Triennale DesignMuseum. Ed è proprio così, i lavori escono dal dominio della forma per considerare le intensità dei movimenti incontrollati o il grado di instabilità che sopraffà le persone colpite. Cercando di facilitare anche i familiari che assistono inermi all’avanzare di una malattia senza risposte. “Il ribaltamento di prospettiva appare determinante, perché per una volta non si è tentato di “risolvere” ma di ascoltare, il design non ha pensato a “correggere”, ma ad alleviare. A volte, semplicemente, ad augurare una buona vita” scrive Davide Crippa, il curatore. Mi trovo ad annuire silenziosamente mentre sullo schermo una collega illustra i pregi dell’Home Staging, ultima frontiera dell’arredamento foto-telegenico ad alta risoluzione ma a basso significato.

 

Davide Crippa (a cura di), Secondo nome: Huntington, catalogo della mostra, D Editore, 2017 (tutto il ricavato delle vendite sarà devoluto alle associazioni Huntington Onlus e AICH Milano Onlus)

 

TAG: design, huntington, La Triennale di Milano
CAT: Musei-Mostre

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