Classifica Concreta di fine anno 2017

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31 Dicembre 2017

A fine anno è sempre duro riassumere i dischi fondamentali usciti, in un periodo storico dove la quantità sormonta la qualità e anche il vicino in cantina può fare qualcosa e caricarla online. Non metto in dubbio che si sia sempre fatta molta musica, ma un tempo la scrematura era più facile grazie a una serie di mezzi che rendevano più difficile il rapporto diretto col pubblico, la comunicazione. Internet in parte, confermando le promesse, ha liberato energie e idee mentre dall’altra ha messo in mostra la mediocrità latente nella società, anche nella classe creativa, rendendo più arduo il compito di fare ordine, focalizzandosi su ciò che effettivamente ha un senso compiuto e contestualizzato. Un valore insomma, capace di trasmettersi nel tempo e giustificare l’esborso monetario (dischi, concerti, gadget) per gingillarsi fra contenuti, immaginari ed emozioni.

Questa classifica di fine anno 2017 è dunque impostata molto didascalicamente, cercando di fissarla su motivazioni quanto più concrete possibili, poco eteree, contestualmente al fatto che la musica è in primis un ensemble di emozioni.

 

 Best of album

1) Lana del Rey – Lust for Life: il disco della signorina diva/anti diva è quanto di più rarefatto si possa chiedere in termini di sonorità, fra l’acustico e la deriva trap. È adatto a tempi digitali, dove l’immaginario vapor-wave, in bilico fra passato e futuro, sta commutando tutto verso un domani quanto più vicino possibile a un Blade Runner scevro dei toni dark (no, non ho citato Black Mirror!). Ascolto: 13 Beaches e God Bless America and All the Beautiful Women in It.

2) Cigaretters After Sex – Self Titled: questo album mi ha sempre ricordato le chitarre di Pink Moon (Nick Drake) volte non ad indagare l’oscurità della mente umana bensì la sua luce, o meglio la ricerca della luce, della positività in mezzo al frastagliamento quotidiano. Delicatezza e potenza, cosi unite e cantante, difficilmente si trovano nel 2017 e pure nelle annate vicine. Ascolto: Apocalypse, live at Studio Brussel in Belgio 

3) Japandroids – Near to the Wild Heart of Life: il Canada ricorda che voglia dire energia nel rock, nel punk, lasciando orpelli e fronzoli ad altri. Pur deviando verso sperimentazioni elettroniche e brani non sempre evocativi come al solito, i Japandroids sanno tornate al fulcro della questione: perché ascoltiamo il rock? Per la libertà trasmessa a fior di pelle di essere sé stessi senza paura. Semplice, efficace. Ascolto: North East South West.

Ps: live assurdo, da buttar giù la transenna, la scorsa estate al Parco della Musica di Padova 

4) Giorgio Poi – Fa Niente: Giorgione prende ispirazione dalle sonorità anni ’80 senza diventare il fratello meno famoso dei Thegiornalisti, imbastendole con melodie agrodolci e testi curati, frutto di immagini e ricordi. La sua è la scrittura, vera scrittura, emotiva di chi qualcosa da dire ed è capace di fissarlo, ibernarlo per sempre. Le sue storie si legano alle tue storie è il risultato è una diversa consapevolezza. Come quando andiamo al mare d’inverno per tornare a ricordi felici di estati passate, cercando un conforto e spunti nuovi per il futuro; come quando cerchiamo innovazione dal contrasto, Giorgio sa ispirarci. Ascolto: Tubature, Niente di Strano.

Ps: live esplicativo all’Anfiteatro del Venda (Padova) lo scorso 25 aprile

5) Sundara Karma – Youth is Only Ever Fun in Retrospect: 24esima posizione nella classifica inglese per questa giovane band che tiene alto il nome del rock anche quando la sua influenza è a minimi storici. Ottima scrittura e sonorità, ritornelli da cantare per celebrare la felicità, estetica perforante come quella dei video di Explore o She Said. Nulla di rivoluzionario ma il loro essere pop permette alla “baracca” di continuare a finire nelle playlist commerciali, così da non scomparire totalmente dai radar del main relegandosi alle nicchie. Ascolto: Explore e Lose the Feeling.

Ps: presenti nella prima puntata del programma Indica, su Radio Sherwood

 

Menzione speciale per gli album

Godlblesscomputers – Solchi: inconsciamente aspettavamo questo Godbless da Veleno Ep: un artista potente nella sua dimensione artistica capace di travalicare i confini dell’elettronica per introdurre strumenti e visioni musicali di più ampio respiro. Codesto Lp è il sunto del background dell’autore ed è il mio disco riflessivo, quello da ascoltare camminando per la città, girovagando solo per il gusto di girovagare e facendomi trasportare dal flusso di coscienza. Se al lavoro le incognite sono troppe, le ansie pure e le paure diventano pane da pranzo, io so e voi, ora, sapete dove dirigervi per evadere. Ascolto: How About U e Adriatica.

 

Menzioni speciale per il Rap italiano

Guè Pequeno – Gentleman: il nuovo disco di Guè ha alti e bassi ma penso si tratti di gusti, infatti in ogni caso sorprende per la capacità del milanese di rimanere al passo coi tempi (dello stile anglosassone) proponendo in anticipo flow e sound rispetto alla concorrenza. Pequeno è il rapper (lasciando stare l’hip hop, altro discorso) che spesso diremo di non volere ma di cui abbiamo bisogno, che vede nella freschezza della (sua) musica e nell’innovazione costante una sincera passione e un vero simbolo di potenza, tassello imprescindibile dell’identità di G e trendsetter. Ascolto: Trinità, Oro Giallo.

Lazza – Zzala: “Lazzino è un fottuto punchlinerz”, citando una passata barra. Lazzino però pare quest’anno si sia evoluto adattando la sua scrittura e la sua fantasia, capace di competere con i mostri della scena italiana, alle sonorità trappone del 333Mob e trovando la strada per mostrare appieno le capacità, alternando riferimenti personali a riferimenti di pura matrice street. La sensazione più vivida è che Lazza sia in procinto di esplodere totalmente per posizionarsi sopra le teste di molti, ma questo è un parere strettamente di chi scrive. Ascolto: Overture e Zzala.

Lungo il 2017 nel rap italiano si è:

  • vista l’affermazione delle sonorità trap (finalmente);
  • lo scollamento dalle origini politiche che aveva (finalmente);
  • si è parlato molto di soldi e nuove scarpe ma un po’ di ambizioso materialismo è utile per destare noi giovani da un periodo socialmente demotivato e asfissiante;
  • la morale ai testi inutile, decontestualizzata e bigotta ha sempre meno seguito

A 10 anni dai primi successi di Fibra, Marcio e Dogo il cambiamento è radicale. Se volete una critica all’american dream, leggetevi American Dust di Richard Brautigan.

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Un ricordo e un ringraziamento a quel mostro di soul man che sarà per sempre Charles Bradley! Leggendario. Ascolto: l’album Victim of Love.

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Buon capodanno e buon ascolto!

TAG: 2017, album, best of 2017, black, classifica, dischi, elettronica, fine anno, pop, recensioni, Rock, trap
CAT: Musica

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