In Germania non ci sono ‘bamboccioni’ perché c’è uno Stato sociale

27 Ottobre 2016

Questo articolo potrebbe fermarsi al titolo. Siccome il termine autorazzista “bamboccioni” sta circolando di nuovo, però, bisogna aggiungere qualcosa. L’Italia è un paese con uno Stato sociale sostanzialmente insufficiente in cui, tuttavia, ci si meraviglia delle storture di un welfare inevitabilmente familiare. Sarebbe l’ora di ammettere la realtà e cercare di superarla, constatando che in diversi altri paesi europei è ancora la dimensione pubblica a favorire l’autonomia di giovani donne e uomini.

IL CASO TEDESCO

Lo Stato sociale in Germania ha diverse criticità. Si tratta di un sistema eterogeneo ed è assolutamente fondamentale non trascurarne specifiche zone d’ombra e deviazioni ideologiche. Il welfare del paese è il risultato storico di decenni di evoluzioni, mutazioni e stratificazioni dell’economia sociale di mercato della Germania Ovest, prima, e di quella unita, dopo.
Detto questo, resta un fatto: oggi, un tedesco medio che voglia lasciare casa a 18 anni, ha buone opportunità per farlo. Non potrà certo fare una vita da nababbo (e perché mai dovrebbe?), ma può provare a muoversi, può crearsi un raggio d’azione, può contare su una condizione sociale minima garantita, può evitare di finire ostaggio di una rete clientelare costituita da meccanismi di continua ricattabilità. Insomma, un giovane tedesco può evitare di dover fare la vita di un giovane italiano.
Secondo il Global Youth Development Index 2016 (pubblicato dal Commonwelth Secretariat), la Germania è il paese che offre la migliore qualità della vita ai giovani tra i 15 e i 29 anni. Un dato che è certamente dovuto ai primati dell’industria e dell’economia tedesche. Ma se vogliamo capire su cosa poggi questa condizione generalmente favorevole, è lo Stato sociale uno dei fulcri da considerare.

Le forme del sostegno sociale utilizzabili dagli studenti e dai neo-lavoratori tedeschi sono varie. Nessuna di queste è perfetta e ci sono settori di popolazione che sono, de facto, esclusi dal potenziale di sviluppo offerto dal welfare (ad esempio una parte degli immigrati, comunitari e non, o i cittadini tedeschi finiti ai margini dello stesso sistema). Tuttavia, gli elementi che costituiscono lo Stato sociale tedesco offrono una serie di prospettive concrete, utilizzabili e riconoscibili.
Si può partire citando il Kindergeld, che significa letteralmente “soldi per bambini”. Si tratta di un assegno pagato a chi è genitore: la cifra è solitamente di 190 € al mese ed è disponibile per 300 mesi, dalla nascita di ciascun figlio fino al suo 25mo anno di età. Questo sostegno non è vincolato al reddito ed è indubbiamente utile a qualsiasi nucleo familiare, fino a fungere come una prima rampa di lancio per la fase di distacco di un giovane dalla propria famiglia.
Si basa sull’entità del reddito familiare, invece, una formula come quella del BAföG, che è una sorta di prestito d’onore mensile per i giovani che non possono mantenersi mentre frequentano l’Università. Completati gli studi, la somma viene restituita a rate allo Stato, ma senza interessi e solo quando il neo-laureato avrà iniziato a guadagnare uno stipendio adeguato. Più generalmente, la vita di tutti gli studenti tedeschi è resa agevole da una quasi gratuità nell’uso dei mezzi pubblici, dall’accesso a costi molto ridotti alle mense universitarie e da consistenti sconti sulle attività sportive e culturali. Esiste poi una tipologia specifica di contratti lavorativi part-time riservati unicamente agli studenti.
Per chi voglia totalmente svincolarsi dalla famiglia senza avere ancora entrate economiche, inoltre, ci sono altre opzioni, tra cui lo stesso sussidio di disoccupazione di base Hartz IV, vale a dire una cifra mensile di circa 800 € che l’Agenzia del Lavoro paga al cittadino, senza ufficiali limitazioni temporali, in cambio di un documentato impegno della ricerca di un’occupazione o alla frequentazione di corsi di formazione professionale.
I meccanismi del sistema Hartz IV sono spesso molto problematici, controproducenti, intrusivi e ottusi (soprattutto per chi resta cronicamente intrappolato nel limbo burocratico e nelle relative conseguenze esistenziali).
Tuttavia, è innegabile che anche questa formula, combinata con altri provvedimenti (ma non sovrapponibile con il Kindergeld), possa rivelarsi molto utile, specialmente se utilizzata temporaneamente e con una certa consapevolezza.
In tal senso, sono da sottolineare anche le forme di sostegno economico per chi voglia intraprendere la libera professione o fondare un’attività imprenditoriale, possibilità che si rivelano molto utili alle donne e agli uomini più giovani.
A questi esempi del welfare tedesco si aggiungono altre modalità di supporto sociale: le politiche abitative, il sostegno delle ragazze madri e delle mamme single, la fiscalità agevolata per le nuove imprese o per i lavoratori autonomi all’inizio della carriera.
Si potrebbe inoltre scrivere un volume intero sugli investimenti nell’istruzione pubblica dello Stato tedesco e sulla strategia statale per far dialogare e interagire il più possibile scuole e università con il mondo del lavoro. Anche il sistema scolastico tedesco è più che criticabile, a partire da quella che è la precoce e rigida selezione delle carriere scolastiche, che tende a penalizzare prematuramente i figli delle famiglie più disagiate. Resta il fatto, però, che la capacità del sistema d’istruzione di mantenere il passo con il mondo del lavoro è, nel quadro dell’attuale assetto economico europeo, tra i più funzionali e funzionanti.
La stessa cosa può valere per la sanità tedesca, che è un mix tra pubblico e privato: un sistema non molto trasparente ma, anche in questo caso, ammortizzato dalle garanzie minime statali.
C’è poi la questione degli stipendi veri e propri, dove, malgrado alcune situazioni limite, sono stati recentemente inseriti provvedimenti quali il nuovo salario minimo, che è andato a ridurre il rischio di un eccessivo proliferare di contratti atipici (a partire dagli stage). I sussidi di disoccupazione per chi esce temporaneamente dal mondo del lavoro, infine, completano il quadro di una struttura di ammortizzatori sociali che cercano di tendere verso il concetto (molto) teorico di flexicurity.
Nel complesso, quindi, senza andare ulteriormente nei dettagli, un welfare come quello tedesco permette a un giovane studente o a un giovane lavoratore di intraprendere percorsi di autovalorizzazione individuale. Il sistema sociale offre una libertà di movimento e una possibilità di scelta del rischio che possono potenzialmente essere vitali per costruire l’autonomia di chi si affaccia sul mondo del lavoro e, più semplicemente, per chi voglia lasciare il nido familiare alla prima occasione.

ITALIA ≠ GERMANIA

Certo, l’Italia non è la Germania. Mai come ora, i due paesi sono diversi, per non dire opposti, per non dire in opposizione. In Germania c’è una forte economia d’esportazione, il debito pubblico non è stratosferico e la posizione di aggressivo dominio nell’area Euro è un fattore tanto oggettivo quanto cruciale, senza contare quella che è una dinamica europea di divisione internazionale del lavoro. Tutto vero, così com’è anche vero che in Germania ci sia decisamente meno evasione fiscale e che le famiglie abbiano capitali privati molto più ridotti rispetto alla media italiana (a dimostrare che lo Stato (post)democratico tedesco dia molto, ma pretenda anche tanto).
In quanto al tasso di disoccupazione palesemente più basso, le motivazioni sono molteplici e sarebbe impossibile affrontarle qui, ma è difficile non notare come il circolo aggressivo-virtuoso dell’economia sociale di mercato tedesca si basi proprio sulle disseminate ammortizzazioni del welfare (e che tramite queste punti a legittimarsi moralmente nel paese).
Quindi, se vogliamo semplicemente e unicamente domandarci perché tanti ragazzi italiani siano inchiodati a casa e quelli tedeschi lo siano molto meno, la risposta è spesso nello Stato sociale, che rimane uno degli elementi strutturali di un mercato del lavoro mai ripiegato su se stesso e continuamente stimolato e sferzato in nome della crescita.

Se in Germania non ci fosse l’attuale Stato sociale, per intenderci, tanti giovani adulti sarebbero dei cosiddetti “bamboccioni” e stazionerebbero involontariamente a casa dei genitori, con conseguenze di mancata emancipazione economica e di una più difficile emancipazione personale.
In pratica, senza lo Stato sociale, anche i giovani tedeschi sarebbero quasi esclusivamente legati alle fortune (o alle sfortune) di famiglia. O, forse, senza Stato sociale e con più disoccupazione, i giovani tedeschi sarebbero tutti in strada impugnando mazze e bastoni, cosa che succederebbe anche in Italia se non ci fosse l’attuale welfare familiare.
Il welfare, infatti, per chi se lo fosse dimenticato, non è un atto di carità, ma un incentivo alla pace sociale, al fine di ridurre le conflittualità, in nome dell’uguaglianza delle opportunità. E il sostegno pubblico alle giovani generazioni, sempre per chi se lo fosse dimenticato, non è un’opera di babysitting, ma è funzionale a meccanismi di mutua assistenza e servirebbe a evitare un continuo riprodursi del conflitto intergenerazionale.

SCARDINARE L’AUTORAZZISMO ITALIANO

La retorica dei “bamboccioni” italiani è semplicemente il sintomo di un paese ostaggio di chi non voglia ammettere la concretezza delle attuali contingenze materiali del Paese.
Il fatto che, troppo spesso, a parlare di “bamboccioni” siano i rimasugli di un’élite politico-culturale che ci ha lasciato solo macerie, ci può dare ampiamente il polso della situazione. La retorica del “bamboccione” è il colpo di coda di strutture di potere in declino, che cercano disperatamente di farsi assolvere di fronte alla Storia e che non vogliono riconoscere i danni dell’arretratezza delle politiche sociali in Italia.

Sia chiaro: oggi, il welfare è sottoposto a una decostruzione precisa e permanente, in tutta Europa e nella stessa Germania (soprattutto sotto la spinta dell’immigrazione economica). Lo Stato sociale europeo si è basato per anni su meccanismi di supremazia internazionale che sono ora in via di mutazione. Non si può ignorare che gran parte del welfare occidentale abbia contato per decenni su forme di sfruttamento geopolitico che si stanno innegabilmente riducendo.
Non si tratta quindi di propagandare soluzioni a buon mercato o paragoni tanto semplicistici quanto irrilevanti, non si tratta di dire che in Italia bisognerebbe fare come in Germania o che la Germania possa continuare a imporsi con il proprio sistema di welfare per altri trent’anni.
Si tratta qui unicamente di cogliere e circoscrivere un dato attuale nella sua semplicità, spiegando perché i tedeschi, al contrario degli italiani, non siano oggi in cima alle classifiche dei trentenni e degli ultra-trentenni che vivono ancora a casa dei genitori (classifiche come quella presentata pochi giorni fa dall’Eurostat, in cui risulta che il 67% degli italiani tra i 18 e 34 anni vive ancora con la famiglia). Si tratta qui di capire perché, ancora più in basso tedeschi nelle classifiche dei giovani rimasti a casa, ci siano paesi come la Francia, l’Olanda e la Danimarca: tutte nazioni in cui, al momento, il welfare struttura la convivenza sociale.
Si tratta qui di spiegare perché vada immediatamente abbandonata qualsiasi tendenza a interpretare classifiche del genere con i paradigmi repressivi dell’autorazzismo. Si tratta qui di capire che una tendenza sociale va modificata con un’azione politica e non con vuote e imbarazzanti narrazioni moralistiche. Vedere che qualcuno provi a riproporre questa parola imbecille, “bamboccioni”, fa infiammare il cuore, fa sentire l’esigenza incontrollabile di disinnescare definitivamente una propaganda decadente e ostile al nostro presente.

Proprio perché la realtà sociale è, oggi, così aperta e turbolenta, proprio perché le circostanze internazionali sono sempre più ferocemente impregnate di incertezze, è importante poter viaggiare leggeri, occuparsi di ciò che conta e chiamare formule come quella dei “bamboccioni” con una precisa descrizione scientifica: “inutili stronzate con cui non bisogna più perdere tempo”.

TAG: europa
CAT: Occupazione

3 Commenti

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  1. vincesko 7 anni fa

    Articolo interessante e condivisibile, ma con le seguenti, importanti obiezioni. 1. Il termine “bamboccioni” non è autorazzismo, ma rappresentare icasticamente la realtà culturale (in senso antropologico) effettuale italiana (io preferisco usare il termine “mammoni”, ad indicarne… l’eziologia, anche se esistono, beninteso, parecchi padri-mammoni). Come risulta anche dall’ultima statistica, anche parecchi giovani mammoni che hanno un lavoro preferiscono restare a vivere in famiglia con i genitori. 2. A parte le esagerazioni, anche rifiutare certi termini o abusare degli eufemismi o adottare sinonimi meno anticipatici (ad esempio, operatore ecologico al posto di spazzino) è un altro modo in cui si manifesta l’ipersensibilità – diciamo così – della cultura italica mammona, che sottende un’incapacità di mettere in campo azioni politiche di rivendicazione e superamento delle carenze legislative. 3. Per “evoluzioni, mutazioni e stratificazioni dell’economia sociale di mercato”, la quale è compresa anche nel fondamentale art. 3 del TUE, che definisce ed esplicita l’intera missione dell’Unione europea, si deve intendere una sostanziale violazione dei suoi assunti di base (allego questa discussione tra Carlo Clericetti e me che mi permise di sceverarne il grano dal loglio “Dialogo con Carlo Clericetti sulla solidarietà tra gli Stati dell’UE e sull’economia sociale di mercato” http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2848095.html oppure
    http://vincesko.blogspot.com/2016/06/dialogo-con-carlo-clericetti-sulla.html). 4. Interessante il quadro del welfare tedesco, ma osservo che manca un riferimento esplicito all’importante capitolo dell’abitazione, sotto forma di alloggio pubblico o di sussidio all’affitto (in Germania si spende per l’housing sociale 30-40 volte quanto si spende in Italia), per non parlare del costo degli alloggi privati, da acquistare (il prezzo al metro quadro è da 2 a 4 volte quello in Italia, ma ora è in atto anche in Germania – come rileva la Bundesbank – una bolla immobiliare) o affittare. 5. Detto questo, occorre anche in Italia, che è ormai quasi l’unico Paese a non avere un reddito minimo garantito visto che la Grecia lo ha fatto recentemente, introdurlo, affiancandolo con un corposo piano pluriennale di alloggi pubblici di qualità (“Dossier reddito minimo garantito” http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2798018.html oppure http://vincesko.blogspot.com/2015/07/dossier-reddito-minimo-garantito.html).

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    1. igor-fiorini 7 anni fa

      Oggi in Italia quello che tu definisci come “un lavoro “, con un articolo indeterminativo, non è altro che un contratto precario che, citando l’autore dell’articolo, ti tiene “ostaggio di una rete clientelare costituita da meccanismi di continua ricattabilità”.
      Il welfare dona un minimo di autonomia e crea, quello si, la possibilità di costruirsi un futuro, quindi famiglia, consumi ecc. andando a disattivare in parte il meccanismo proprio ricattatorio che oggi è il mercato del lavoro italiano.

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      1. vincesko 7 anni fa

        Cioè, secondo te, nel Paese dei mammoni, non esistono mammoni. Neghi l’evidenza. Negare l’evidenza è una evidente esagerazione. E, come tutte le esagerazioni, rinvia infallibilmente a coda di paglia. PS: Ho scritto che sono favorevole al RMG. Lo sono da sempre, molto prima che lo proponesse M5S. Anzi, ho aggiunto la casa, che è l’elemento che fa veramente la differenza. Se possiedi una casa o puoi pagare un affitto sociale (100-150€/mese), anche un RMG di 400€ ti permette di resistere, a certe condizioni (ad esempio rinunciare all’auto), qualche anno, in attesa di un lavoro decente. O, se non sei un mammone, te lo vai a cercare altrove.

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