Appunti minimi verso il Congresso: testamento biologico e fine vita

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1 Marzo 2017

Dato che il Partito Democratico si sta avviando a una campagna congressuale in cui tutti ribadiscono la necessità di parlare di contenuti ma tutti si limitano a enunciarne soltanto gli argomenti, ho pensato fosse il momento giusto per buttare giù qualche appunto per provare a stimolare il dibattito. Un dibattito che spero inizi a concentrarsi sulle idee, piuttosto che sui carri da cui si scende o su cui si cerca di salire. L’altro giorno è morto Fabiano Antoniani, anche conosciuto come Dj Fabo. Era tetraplegico e cieco, voleva porre fine alla sua vita e per farlo è dovuto andare in Svizzera, perché qui da noi non esistono leggi che regolino il fine vita. Molti dicono sia sbagliato parlare di questi argomenti sull’onda delle emozioni suscitate da eventi simili, e forse hanno ragione: gli stessi dibattiti nati dopo le morti di Eluana Englaro e di Piergiorgio Welby non hanno portato sostanzialmente a nulla. Ma io credo vada fatto, credo se ne debba parlare. A fare gli struzzi non si guadagna nulla. Fondamentalmente dovremmo partire tutti da una domanda: se la persona che amo di più al mondo fosse malata terminale e mi chiedesse di aiutarla a morire, io cosa farei?

Sui mezzi pubblici le persone ne parlano, parlano della scelta di Fabiano Antoniani. Sono in larga parte parole di pietà e di comprensione per un gesto che non può essere giudicato, sono in larga parte parole di condivisione della sua scelta. Il primo dato che registro è che le persone hanno già un grado di comprensione probabilmente più alto di quello che pensa la politica. Il secondo dato che registro è che sono tendenzialmente su posizioni molto più aperte rispetto alla classe politica. Emiliano, Orlando, Renzi, hanno l’obbligo morale di riportare al centro del dibattito questo temi. Magari ripartendo dalla Convenzione di Oviedo, il primo trattato internazionale sulla bioetica, stilato nel 1997 dal Consiglio d’Europa, entrato in vigore nel 1999, recepito dall’Italia nel 2001 ma mai ratificato dal Parlamento italiano. Una mancata ratifica che non ha mai dato luogo alla necessità di adeguare il proprio ordinamento ai principi di questa Convenzione, dove all’articolo 9 si afferma che “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione”. Praticamente il principio del testamento biologico. Cari candidati alla segreteria, perché non partite almeno da qui, perché non dite che è ora che l’Italia ratifichi quella Convenzione, perché non affermate chiaramente che è ora che l’Italia colmi anche questo tragico ritardo?

Alla Commissione Affari Costituzionali della Camera sono in discussione due disegni di legge su questi temi. In totale sarebbero otto disegni di legge, ma due sono stati ritirati e gli altri quattro sono in attesa di iniziare l’esame. Il primo dei due in discussione era stato presentato da Possibile, il secondo dal Movimento 5 Stelle. Due proposte che hanno una relatrice sola, ovvero Donata Lenzi, deputata del Partito Democratico. Dovrebbe quindi esserci una larga maggioranza per concludere il dibattito e approdare al voto in aula, ma in realtà anche la scorsa settimana c’è stato l’ennesimo rinvio. Il testo che dovrebbe arrivare in aula si comporrebbe di 5 articoli. In sunto, eccoli:

L’articolo 1 tratta del consenso informato e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata. Il disegno di legge prevede poi che ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere ha il diritto di rifiutare in tutto o in parte qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico e ha diritto di revocare in qualsiasi momento il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento. Ma questo rifiuto o questa rinuncia non può comportare l’abbandono terapeutico. Il medico è obbligato a rispettare la volontà espressa dal paziente ma quest’ultimo non può esigere trattamenti sanitari contrari alle norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali. L’articolo 2 disciplina i casi in cui siano coinvolti minori e pazienti incapaci. L’articolo 3 è quello su cui si concentra maggiormente lo scontro, quello che stabilisce le disposizioni anticipate di trattamento, attraverso le quali qualunque cittadino maggiorenne, capace di intendere e di volere, in previsione di una eventuale futura incapacità di autodeterminarsi potrà esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari. Nell’articolo 4 si prevede la pianificazione delle cure condivisa tra medico e paziente in caso di patologia cronica e invalidante o se vi sia un’evoluzione della malattia che porti inarrestabilmente al peggio, alla quale il medico deve attenersi. L’articolo 5 contiene le disposizioni transitorie.

Il dibattito prosegue da un anno senza arrivare a una conclusione. Il centrodestra fa le barricate: vuole imporre che idratazione e nutrizione artificiale siano considerate trattamenti vitali e non terapie, vogliono slegare il medico dall’obbligo di ottemperare alle disposizioni del malato, chiedono si prosegua la fase di riflessione rimandando ancora il dibattito. Dall’altro lato l’Associazione Luca Coscioni, per bocca di Marco Cappato, afferma che la legge è una buona base di partenza ma che presenta ancora delle ambiguità per cui potrebbe facilmente non essere applicata e non affronta nella sua complessità tutto il problema. Ad esempio non sarebbe stata utile per realizzare il desiderio di Fabiano. In particolare l’Associazione Luca Coscioni chiede che venga almeno inserita nella legge la possibilità di estendere le scelte del malato anche alla cosiddetta “sedazione continua profonda”, cioè quella tipologia di cura palliativa che accompagna il paziente fino alla morte senza soffrire. Il loro obiettivo è che divenga un diritto esplicitamente previsto, al quale corrisponda un dovere che non lasci spazio a interpretazioni o soprusi. Cappato intanto, dopo essere tornato dalla Svizzera dove ha accompagnato Fabiano, è andato spontaneamente a denunciarsi dai Carabinieri anche al fine di obbligare lo Stato a un’assunzione di responsabilità. Come in altri casi in cui erano in discussione dei diritti umani, un eventuale procedimento penale potrebbe arrivare là dove la politica ha scelto di abdicare al proprio ruolo.

Il Partito Democratico in tutto questo deve iniziare a esporsi, deve iniziare a prendere una posizione precisa e decisa. Il Partito Democratico in tutto questo deve ripartire nella battaglia sui diritti delle persone, inserendola a chiare lettere nel idee e negli obiettivi che devono essere alla base della comunità che forma questo partito. E dato che questo Congresso serve, a parole, proprio per ristabilire idee e priorità, non si può non parlare di queste cose, non si può più continuare a giocare nell’ambiguità che per troppo tempo ha contraddistinto il dibattito interno del Pd. Chiedo che nelle mozioni congressuali si faccia esplicito riferimento a questi temi, chiedo che si abbandoni ogni timidezza nel parlarne in pubblico, chiedo che il partito che si definisce punto di riferimento per il centrosinistra si spenda per iniziare ad approvare almeno la Convenzione di Oviedo e per dare poi a ogni persona la piena attuazione del diritto di autodeterminazione, anche di fronte alla morte. Se dovesse capitare a me, voglio la libertà di poter scegliere di mettere fine a una vita (la mia) che non ritengo più degna di essere vissuta. Non trovo parole migliori che quelle scritte da Enrico Sola: “Questa è una battaglia che non ha colore, se non il rosino della nostra pelle: mette d’accordo chiunque sia passato attraverso un’esperienza di malattia terminale con un proprio caro o con un amico. Conosco gente che la pensa come me su questo tema e che ha i busti di Mussolini in casa e altri che vanno a messa tutti i giorni eppure capiscono il valore umano dell’eutanasia. Dovremmo farci qualcosa. Parlo di noi cittadini, perché la politica sul tema è lenta e pavida”. Ecco, cari Emiliano, Orlando e Renzi: siate finalmente meno pavidi, ritornate a dare battaglia su un campo in cui il Pd è stato assente per troppo tempo.

TAG: andrea orlando, Associazione Luca Coscioni, congresso, fine vita, Matteo Renzi, michele emiliano, partito democratico, testamento biologico
CAT: Partiti e politici

3 Commenti

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  1. silvia-bianchi 7 anni fa

    Sinceramente non penso che i temi di bioetica siano i migliori sui quali costruire l’identità di un partito o di una mozione congressuale: sappiamo benissimo che già oggi nel Pd ci sono i “cattodem”, che sono più in sintonia con la Lorenzin, e i Retedem (la componente degli “ex civatiani”) che sono su posizioni molto più “radicali”. Un candidato Segretario che mettesse questi temi al centro del dibattito non farebbe altro che spaccare ulteriormente un partito già abbastanza in sofferenza, rischiando di provocare ulteriori fuoriuscite.
    Il Pd dovrebbe invece elaborare sul tema una posizione complessiva, ispirata al principio di laicità: una proposta di legge sul testamento biologico dovrebbe, secondo me, prevedere sia un “protocollo per non credenti”, che permetta la sospensione delle cure e la sedazione profonda, sia un “protocollo cattolico” coerente con i riti e le convinzioni dei credenti (e, ovviamente, altri “protocolli” per altre fedi religiose). Ognuno dovrebbe insomma poter scegliere per sé stesso un percorso riconosciuto e rispettato da tutti, come è giusto che accada in uno Stato laico

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  2. robbieg 7 anni fa

    La richiesta non è di costruire l’identità di un partito solamente sui temi bioetici, ma di farlo ANCHE su temi di bioetica, temi sui quali il Pd è stato troppo spesso ondivago. Una posizione chiara, mantenuta senza tentennamenti, sarebbe almeno un punto di partenza.

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  3. robbieg 7 anni fa

    La richiesta non è di costruire l’identità di un partito solamente sui temi bioetici, ma di farlo ANCHE su temi di bioetica, temi sui quali il Pd è stato troppo spesso ondivago. Una posizione chiara, mantenuta senza tentennamenti, sarebbe almeno un punto di partenza.

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