Prevenire meglio che curare: ecco la legge per “guarire” i possibili terroristi

6 Luglio 2017

Come si combatte l’insorgere del radicalismo islamico? Alla Camera c’è una legge depositata, a prima firma Stefano Dambruoso (Scelta civica) e Andrea Manciulli (Pd), e sottoscritta da una trentina di parlamentari di maggioranza e opposizione, che vuole una risposta a questo interrogativo. Si chiama “Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista violento” e affronta proprio uno dei nodi più spinosi della questione. Come abbiamo visto con il caso di Youssef Zaghba, il caso dell’attentatore di Londra cresciuto a Bologna con madre italiana, il problema della prevenzione è fondamentale. Oggi in Italia, se un genitore o una persona si accorge che qualcuno a lui vicino (figlio, parente, amico, conoscente) si sta radicalizzando, sta cambiando il suo approccio all’Islam e al terrorismo, ha davanti a sé una sola strada: denunciare la cosa alle forze dell’ordine. A parte la difficoltà che può provare un genitore dall’andare a denunciare il proprio figlio, o una persona denunciare un amico, tutto ciò può anche portare a nulla: la polizia e i carabinieri metteranno sotto osservazione il soggetto, ma se egli non commette reati e non dà evidenti segnali l’indagine si ferma lì. Mentre è sul fronte della prevenzione che bisognerebbe agire. La norma, seppur con qualche lacuna, sembra colmare questo vuoto. “Si disciplina l’adozione di misure, interventi e programmi diretti a prevenire fenomeni di radicalizzazione e di diffusione dell’estremismo violento di matrice jihadista nonché a favorire la deradicalizzazione e il recupero in termini di integrazione sociale, culturale, lavorativa dei soggetti coinvolti”, si legge nel testo.

Il testo di legge è arrivato giovedì 5 Luglio alla Camera, sono iniziate le votazioni che proseguiranno la prossima settimana, quando è previsto l’approvazione finale. Critiche sono state espresse da Fdi, secondo cui per prevenire il terrorismo basta la nostra intelligence, mentre Forza Italia ha criticato il fatto che nel testo non si fa un esplicito riferimento al monitoraggio delle moschee. “La repressione non basta, l’Italia può finalmente dotarsi di una legge saggia che oltretutto favorirà il dialogo tra istituzioni e cittadini islamici”, dice la relatrice del provvedimento Barbara Pollastrini.

La legge prevede un osservatorio centrale, al ministero dell’Interno, chiamato “Centro nazionale sulla radicalizzazione” (Crad), in cui vengono monitorate le situazioni a rischio, direttamente connessi al territorio, perché ad esso faranno riferimento dei “Centri di coordinamento regionali sulla radicalizzazione” (Ccr) sparsi nelle prefetture e negli uffici territoriali del governo. A vigilare su questi organismi è previsto anche un comitato di controllo parlamentare, formato da deputati e senatori. Dalla periferia le informazioni arriveranno al centro per essere scandagliate e analizzate. I Ccr metteranno in atto un monitoraggio costante su moschee, luoghi di culto, scuole, università, carceri, strutture sanitarie, ospedali e siti web.

Se si ha contezza che un giovane ha comportamenti strani o devianti, che possono essere indizi di un percorso di radicalizzazione che potrebbe arrivare ad estreme conseguenze, non si interviene con carabinieri e polizia, ma con assistenti sociali e personale specializzato, italiano e straniero, formato per andare a recuperare quel soggetto prima che possa farsi strada nella sua testa l’idea di abbracciare il terrorismo. “Un ragazzo con qualche simpatia per la jihad non lo riprendi andando a raccontargli quanto è bello lo stile di vita occidentale, così si rischia l’effetto contrario. Ma devi essere in grado di parlare la sua lingua, toccare le sue corde più profonde, farlo sentire integrato nella società. Bisogna portare un po’ di luce in una stanza diventata improvvisamente buia, ma con estrema cautela, parlando il suo stesso linguaggio e con personale specializzato”, racconta Carlo Panella, giornalista esperto di mondo islamico, che ha dato qualche suggerimento per la realizzazione del disegno di legge.

La nuova normativa, dunque, ha l’obbiettivo di agire a monte, per prevenire e stoppare sul nascere comportamenti pericolosi. Quando invece la linea viene oltrepassata, a quel punto intervengono le norme già esistenti sull’anti-terrorismo. Ma tutto quello che succede dal momento in cui una persona inizia a interessarsi a teorie estremiste fino a quando è pronto a diventare un combattente del jihad, su questo arco spazio-temporale finora gli strumenti per controllare e intervenire a livello formativo e di prevenzione erano inesistenti.

Dopo la discussione generale, ora il testo è pronto ad arrivare in Aula alla Camera, nel mese di luglio, ed essere approvato. “In tutti i paesi occidentali si opera su due fronti: la prevenzione e la repressione. Questa legge si occupa del primo aspetto”, sottolinea Andrea Manciulli, deputato del Pd e presidente della delegazione parlamentare presso la Nato. “Daesh non è Al Qaeda, non è una rete terroristica tradizionale con i suoi affiliati e fiancheggiatori. I suoi lupi solitari a volte non sono mai nemmeno entrati in contatto con membri dello Stato islamico. Queste persone le intercetti solo monitorando i comportamenti devianti e sospetti ben prima che sfocino in qualsiasi forma di radicalismo”, continua Manciulli. Il vero volano della crescita di Daesh, infatti, secondo il deputato, “è l’allargamento del bacino dei simpatizzanti: e il passo da semplice fan a quello di possibile attentatore in certi soggetti è breve”. Per questo Manciulli e Dambruoso si augurano che la legge venga approvata alla Camera prima della pausa estiva e a settembre in Senato. “Prevenire è meglio che curare”, diceva un’antica pubblicità. Una formula valida anche nella lotta quotidiana all’estremismo islamico.

TAG: Andrea Manciulli, daesh, isis, islam, jihad, Stefano Dambruoso, terrorismo islamico
CAT: Partiti e politici

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