Renzi, il premier che annientò il concetto di stile

17 Gennaio 2016

Cos’è una questione di stile? Per molti anni, su un giornale femminile come «Grazia», a questa domanda ha risposto con una certa leggerezza consapevole Donna Letizia, al secolo Colette Rosselli, già moglie di Indro Montanelli, titolare di una famosa rubrica dal titolo più che significativo: “Il saper vivere”. In quelle poche righe, che seguivano generalmente il quesito di una lettrice, la signora Rosselli dispensava le sue pillole di saggezza, indicava una strada da percorrere, catturava una sfumatura, ne esibiva la necessità in caso di situazioni imbarazzanti.

Se possibile, Donna Letizia è stata la prima, vera, disvelatrice di tutti i conflitti di interesse, laddove un nostro comportamento avrebbe potuto generare un abbassamento del decoro, una caduta appunto di stile, una diseleganza, un profittare indebito di un potere personale per ottenere favori o semmai dispensarne qualcuno. “Ah, che disgrazia le questioni di stile”, scriveva quasi trent’anni fa Ivano Fossati, piccole pieghe anche un po’ sghembe dell’animo umano, cose apparentemente di nessuna grammatura universale, eppure in grado di determinare la dignità complessiva di una persona. Per resistere oggi, Colette Rosselli dovrebbe avere un cuore e una tempra d’acciaio. Vorrei farvi l’esempio di una piccola ma significativa questione di stile che sarebbe piaciuta a Donna Letizia e che riguarda il primo giorno di lavoro di Mario Calabresi a Repubblica. Il direttore ha preferito “scomparire” dalla prima pagina, laddove sotto la dicitura «Fondatore: Eugenio Scalfari» per lunghi vent’anni ha campeggiato: «Direttore: Ezio Mauro». Calabresi apparirà solo in gerenza, com’è normale che sia dopo quarant’anni eccezionali.

In politica stanno avvenendo cambiamenti eccezionali, Renzi ne è certamente protagonista. Ha imposto, questo il suo grande merito, un evidente cambio di passo e di ritmo, ha lavorato sulla mentalità, sul maledetto parassitismo dei burocrati, ha sgrassato il calcare di parte della macchina statale, al cui interno ha certamente ingrossato il numero dei nemici. Ha imposto il suo dinamismo e chi non sta al gioco che lo disperda il vento. Sulla politica, sulle cose fatte e da fare, sul modo di condurre un partito, il primo partito, sul procedere in Europa, sui rapporti con gli alleati disinvolti, ecco, su tutto questo il giudizio è aperto e ognuno traccerà il suo.

Qui vogliamo parlare di qualcosa che Renzi ha introdotto e che riguarda direttamente le questioni di stile così care a Colette Rosselli. Ha introdotto la Disinvoltura. Che non è esattamente la disinvoltura di quel meraviglioso spianato italiano di un Gigi Rizzi, che va alla conquista di BB e lascia tramortiti i francesi. Oh no. Quella fu una disinvoltura che ci fece anche un po’ orgogliosi, e nemmeno un po’ invidiosi perché di Gigi Rizzi e di tutti quegli straordinari playboy non avevamo neppure un’unghia di talento. No, la disinvoltura di Matteo Renzi, il nostro presidente del Consiglio, è anch’essa un cambio di passo epocale dello stile, è il naufragio dei comportamenti, è il tracollo di un dignitoso comune sentire. Ciò che solo qualche anno fa sarebbe apparso come assolutamente impensabile, e cioè affidare parti delicatissime della macchina dello stato agli amici personali, si è fatto norma con il suo arrivo a Palazzo Chigi. Se per caso vi è capitato di avere una qualche responsabilità, in aziende private o anche di potere pubblico, avrete immediatamente passato in rassegna, come i dieci comandamenti, cosa «NON FARE». Tra le primissime cose che non si possono (mai) fare, è affidare lavori ai propri amici del cuore, anche se nei campi di destinazione professionale essi sono tranquillamente in partita e dunque meritevoli di poter lavorare. Spiegare il perché non si debbano fare certe cose è persino faticoso, è un fondamento delle società democratiche, sono le minime pre-condizioni che alimentano il rispetto per quelle pari opportunità che tranquillizzano e spengono ogni malizia. Dovrebbe essere una consuetudine che scatta in automatico e che spinge gli amici a rassegnarsi immediatamente dall’ottenere qualsivoglia favore o facilitazione dal sodale che ha fatto fortuna.

L’ultima storia, effettivamente da cyberspazio, è quella di Marco Carrai a capo della cyber security, l’Agenzia per la Sicurezza Informatica di Palazzo Chigi, cioè del Paese. È una cosa troppo grave per riderci sopra, come verrebbe di getto, vista che tra i due, ai tempi, c’era già stato un passaggio di case “a gratis”, ad uso gratuito del sindaco di Firenze. Una questioncella da Donna Letizia e oltre. Ma insomma, quello che davvero sorprende e anche un po’ sconcerta è l’assenza assoluta di sensibilità istituzionale da parte del presidente del Consiglio. È già capitato altre volte, in certi consigli di amministrazione come ad esempio la Rai o anche all’interno della macchina dello stato, e il meccanismo è sempre lo stesso: proteggersi con i vecchi amici, in una logica difensiva davvero di basso profilo. In un’azienda privata, lo chiamerebbero gli azionisti chiedendogli conto di una tal disinvoltura, e facendolo accomodare alla porta dopo averne sentito debitamente le ragioni. Ma qui gli azionisti sono i cittadini ai quali, già affannati da molti altri tormenti, è difficile chiedere uno scatto di indignazione anche per le questioni di stile.

Dispiace davvero che tra le cose che Matteo Renzi avrà cambiato dell’Italia, ci sia anche il concetto di stile. Una volta che lo hai perso (lo stile), non lo recuperi più.

TAG: marco carrai, Matteo Renzi
CAT: Partiti e politici

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