Una generazione ha ancora bisogno di sognare

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16 Luglio 2017

L’avventura di Macron e del suo En Marché ! incarna il nostro tempo, rappresenta le idee di una generazione che fin ora non aveva trovato nessuno in grado di parlare il proprio linguaggio. Nessuno, o quasi, che aveva provato a dire ai giovani delle Banlieue che hanno lo stesso diritto di realizzare i propri sogni di quelli con qualche privilegio in più. Nessuno, che l’aveva detto con l’alfabeto giusto.

Con Macron non ci sono colori! Se sei bravo, sei bravo. Lui mette le mani nelle Banlieue. Parla più di mobilità che di sicurezza. Vuole ridare speranza ai giovani … Al liceo ci facevano capire che le buone scuole non erano per noi. Dobbiamo lavorare più degli altri per poterci emancipare, non siamo dei figli di papà. E giustamente Macron combatte i determinismi sociali”. Lo dice Mehdi, ventidue anni, madre algerina e padre bretone, cresciuto nella periferia parigina. Esempio di chi ci vuole provare e che per pagarsi gli studi in giurisprudenza alla Sorbona lavora tutte le sere in pizzeria dalle 20,00 alle 23,00 e che quando è nato En Marchè ! si è iscritto immediatamente candidandosi a coordinare il porta a porta a Sein-Saint-Denis, uno dei dipartimenti con la disoccupazione e la frustrazione sociale più alta.

Abbiamo bisogno di storie così, per rimetterci in moto, non delle solite logiche di partito asfittiche che difendono rendite di posizione indifendibili. Una parabola unica quella del Presidente francese chiamato ora alla prova del nove. Una discesa in campo da rileggere, riflettere con calma e capire. Cerchiamo di tirare le fila, anche grazie al primo libro italiano sull’argomento scritto molto bene da Mauro Zanon: Macron, la rivoluzione liberale francese.

Un tempo storico particolare, il nostro, negli ultimi venti – trent’anni, scrive Gauchet, abbiamo visto diffondersi “detradizionalizzazione, desubordinazione, disincorporazione, deistituzionalizzazione, desimbolizzazione”.

Le big della Silicon Valley, che affascinano anche con qualche problema col fisco, hanno avuto un grande ruolo in questo processo spostando l’oggetto d’esercizio del “potere”(per potere si intende foucaultianamente una trama di fili che struttura il campo d’azione degli altri, qualcosa di intenzionale ma non soggettivo) e con esso il suo funzionamento fisiologico. Negli anni ’80 il “potere” aveva ancora il suo principale punto d’intervento sulla “popolazione” come soggetto storico e il suo strumento era ed è prevalentemente la statistica che misura notoriamente fenomeni collettivi. Lo strumento invece messo in campo da quelle 5 aziende sulla bocca di tutti è l’algoritmo che contrariamente si attacca all’individuo e lo misura: le abitudini, lo stato di salute, piaceri, dispiaceri e chi più ne ha più ne metta. Dunque il punto di esercizio del “potere” diviene da vent’anni a questa parte l’individuo. Tutto ruota attorno a lui e ciò ha modificato l’orizzonte di senso sociale comune contribuendo a provocare ciò che abbiamo di Gauchet citato più sopra.

Ecco l’humus culturale in cui nasce il fenomeno Macron. Lo spazio-tempo in cui il Presidente francesce ha lanciato il suo En Marche ! e il perché la forma partito sta esaurendo la sua capacità di attirare consenso. La struttura partito non segue questo paradigma su cui si fonda oggi lo sviluppo sociale.

Giuliano Ferrara nell’introduzione al bellissimo libro di Zanon lo dice in altre parole: “Il mondo sovrano del singolo messo in rete che non ha alcunché sopra di sé, che non ammette più la derivazione dei diritti della persona dalla trascendenza divina e dalla Rivelazione, una volta impero latente e resistenza dell’attaccamento alla tradizione come struttura del religioso e ora concetto estraneo al nuovo senso comune totale della democrazia dei diritti umani, il mondo che non ha più se non come memoria il dna della nazione sostituito dall’anatomia della società civile internazionalizzata. E’ questo il tempo-mondo in cui Macron e la sua generazione crescono nella vita privata e pubblica. Crescono fiduciosi in un presente legato alla dialettica del denaro, del libero commercio mondiale, del sapere tecnologico, dell’integrazione del diverso etnico e nazionale in un meticciato aperto anche a diverse comunità. E’ un contesto di società in cui si afferma la dittatura relativista dell’individuo e delle sue voglie…”

Macron era consapevole dell’evoluzione della società quando ha deciso di scendere in campo. A differenza di molti suoi colleghi era stato educato alla profondità dell’analisi filosofica grazie all’esperienza con Paul Ricoeur, uno dei maestri del ‘900 e di cui a ventun’anni diventa assistente editoriale “per mettere a punto l’intero apparato critico della sua opera”. Ricoeur dirà a Macron: “Quando sono con lei, ho l’impressione di essere un contemporaneo”. Macron invece attraverso la filosofia individua quello che per lui sarà lo spazio teorico della politica: la filosofia “aiuta a costruire. Da un senso a ciò che altrimenti, è soltanto un magma di atti e discorsi. è una disciplina che non vale nulla senza il confronto con la realtà. E la realtà non vale nulla senza la sua capacità di risalire al concetto. Bisogna dunque accettare di vivere in una zona intermedia fatta di impurità nella quale non si è mai un pensatore sufficientemente brillante per il filosofo, e si è sempre percepiti come troppo astratti per affrontare la realtà. Bisogna essere in questa zona intermedia. Penso che questo sia lo spazio della politica“.

Non ha mai fatto vita di partito, non è mai andato a caccia di preferenze. E’ sempre stata insita in lui la consapevolezza e la necessità di riformare la sinistra di cui si è sempre sentito parte: sia quando nel 2012 era stato nominato vice segretario generale all’Eliseo e sia quando nel 2014 viene chiamato da Hollande per fare il Ministro dell’Economia. E’ una personalità ingombrante, poco incline “alla rigidità protocollare dei partiti tradizionali”, tant’è che rompe prima con Hollande e poi con Valls. Alla base dei diverbi c’è il tentativo del futuro presidente di aprire la sinistra alle politiche liberali: “essere di sinistra vuol dire essere efficaci per sbloccare ciò che paralizza l’economia”. Macron è convinto che non ci sia tempo per equilibrismi di partito perchè la situazione è molto grave e la sinistra deve prendersi le sue responsabilità. In un dibattito organizzato da Le Monde nel settembre 2015 fa una dichiarazione che farà rumore: “il liberalismo è di sinistra”. Dichiarazione che fa paura in un paese tradizionalmente statalista anche se la tradizione liberale non manca: basti pensare a Montesquieu, Condorcet, Toqueville.

Per Macron essere liberali di sinistra significa combattere le rendite di posizione a favore della valorizzazione dei talenti; sviluppare opportunità per le persone escluse dal sistema dandogli gli strumenti per affrontare il mercato; aumentare la spesa va bene laddove non è possibile emancipare, per aiutare gli ultimi. 

Vede il paese diviso in tre: “Esisitono tre stati nel paese” afferma da Ministro dell’economia “Anzitutto, ci sono le elite politico-economiche e giornalistiche in stato di nevrosi. Guardano il loro paese attraverso un prisma negativo perchè non sanno più vederlo così com’è. Poi ci sono i giovani, che combattono tra enormi aspettative e una disperazione profonda. Voglio attivare questi giovani permettendo loro di darsi un futuro. Infine c’è una Francia che pensa che la mondializzazione sia soltanto un rischio, una perdita. Sono le zone di declassamento che non riescono a proiettarsi in questi nuovi equilibri. La situazione non migliorerà fino a quando non avremo riconciliato questi stati della Francia”.

Capisce la necessità di andare oltre i partiti la cui struttura è asfittica, essi non riescono più ad abbracciare le esigenze di una società aperta. La loro imposizione gerarchica frena le energie sociali. Alla base di En Marché ! spiega Vincent Martigny, professore a Science Po: “c’è l’idea di una società dove gli individui, liberi dalle posizioni sociali troppo rigide evolvono in strutture flessibili, dinamiche, affrancate dalle regolamentazioni troppo pesanti che indeboliscono la loro energia, e occupano posti temporanei in funzione della loro motivazione a intraprendere e costruire dei progetti“.

Il 6 aprile 2016 Macron lancia il suo progetto transpartitico, tramite il quale vuole far saltare i blocchi della società francese e federare le energie sparse nel paese che i partiti tradizionali non sono in grado di intercettare.

Affida la campagna d’ascolto ad LMP, una startup di strategia elettorale che unisce big data e porta a porta. Parte la “Grande Marche” e in pochi mesi il futuro presidente recupera anni di militanza e volantinaggio dei suoi avversari. I suoi “marchers”, l’80 % tra i 18 e 25 anni, raccolgono centomila conversazioni in 6200 quartieri. Le analizzano e i risultati confluiranno nel programma elettorale che lo porterà ad essere eletto Presidente il 7 maggio 2017.

Guardandosi attorno viene da pensare che anche l’Italia sta aspettando il suo Macron in grado di aggregare e comprendere una generazione cresciuta nell’Europa della mobilità, della libera circolazione delle persone e dei beni, perenemmente in viaggio, iperconnessa, post ideologica, che usa Airbnb, ascolta la musica su Spotyfy e guarda i film su Netflix. “Che preferisce intraprendere che restare a vita nella pubblica amministrazione, che non idolatra il contratto a tempo indeterminato e crede nella società delle scelte per combattere le disuguaglianze”.

Manca questa “distruzione creatrice” nella politica italiana, ci ha provato Matteo Renzi ma Macron insegna che la questione è di struttura delle organizzazioni. Tuttavia ci sono ancora ottime intelligenze che qualche carta possono giocarla , qualcuno ci sta pensando. Grandi energie si muovono tra luce e ombra, comprendono la situazione ma non sanno se buttarsi significa bruciarsi. Se è vero però, che marxianamente la struttura determina la sovrastruttura, succederà presto qualcosa anche qui, nella nostra Italia. E torneremo a sognare e sperare.

 

 

 

 

 

TAG: Macron, Matteo Renzi, millenials, partito democratico
CAT: Partiti e politici

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