Quando gli affari vanno bene la mafia non spara. Ma nella Capitale va davvero tutto bene?

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28 Agosto 2015

La regola da sempre è una soltanto: non si spara quando gli affari vanno bene e non si spara se non ci sono equilibri da ridefinire. Funziona così a Palermo, funziona così a Napoli. Funziona così ovunque vi sia criminalità organizzata. E funziona così anche a Roma dove si è sparato, e tanto, quando ci furono da conquistare traffici e territorio e poi, ancora, quando si dovettero difendere le posizioni conquistate. Poi, nella Capitale – città del Potere, il quale è ovunque – gli equilibri criminali sono stati garantiti soprattutto per mezzo di accordi, favori, collusioni che negli ultimi decenni hanno attraversato ogni ambiente, tanto che si è potuto anche fare a meno di sparare. Ebbene, ora quegli equilibri potrebbero essersi incrinati. E il vuoto di potere è tale che, mentre il sindaco se ne resta in vacanza a chilometri di distanza, il prefetto ha tradotto la resa dello Stato – a proposito dell’elicottero che gironzolava sui tetti della Capitale d’Italia – con una frase inescusabile e inspiegabile: «Se fosse stato un terrorista sarebbe stato un problema per tutti». E, allora, non che debbano tornare i tempi dei marsigliesi o della Banda della Magliana, ma certo ce n’è abbastanza per chiedersi se il peggio debba ancora accadere.

La regola, si diceva, è che non si spara quando tutto va bene. Ebbene: è piuttosto evidente che a Roma non tutto ora vada bene: non sul territorio, non nei palazzi della politica. E questo per molte ragioni. La prima di queste ragioni sta nel fatto che l’arrivo alla guida della procura di Giuseppe Pignatone  prima, e la corposissima inchiesta su Mafia-Capitale poi, hanno evidentemente assestato un colpo non da poco a certi equilibri i quali, stando alla stessa inchiesta, erano piuttosto consolidati. In questi casi è evidente che ci si debba aspettare che sul territorio quegli equilibri dovranno in qualche modo ricomporsi; e gli argomenti della criminalità tutti li conoscono. Ebbene, quello che, in strada e a Palazzo, è accaduto nelle ultime settimane andrebbe riconsiderato soprattutto alla luce di questa premessa. A partire dal clamore sollevato dal funerale di Vittorio Casamonica, e fino all’assenza prolungata del sindaco Ignazio Marino dalla città o al commissariamento di fatto appena decretato.

Partiamo dalla vicenda Casamonica. Naturalmente non si intende qui discutere delle tradizioni di quella famiglia. Il fatto è che, però, fosse anche al di là d’ogni intenzione, quell’evento ha provocato un certo clamore poiché – stando almeno al racconto di giornali, televisioni, magistrati e forze dell’ordine – quella famiglia avrebbe una certa posizione nella mappa criminale della città. Lo Stato, travolto da mille e mille critiche, ha accusato il colpo e ha vissuto questa storia come una sfida e come un proprio fallimento. Ed è per questo che, con tutta probabilità, nelle prossime settimane si manifesterà una reazione delle istituzioni contro il gruppo riunito attorno alla famiglia Casamonica. E, se non fosse già la logica a suggerirlo, ci sono comunque le parole del prefetto Franco Gabrielli a soccorrere: «Dobbiamo fare uno sforzo per dimostrare che non abbiamo alcuna paura dell’ambiente criminale, ma non in un’ottica di legge del taglione». E la sostanza è chiara, al di là d’ogni apparenza e della necessitata moderazione. Ma c’è dell’altro.

C’è che, se tutto ciò è vero, sarà vero anche che gli altri gruppi criminali operanti sulla Capitale – siano connessi, avversari o alleati – probabilmente non avranno gradito l’attenzione di questi giorni per certe pieghe della città le quali normalmente giacciono indisturbate in un’ombra impenetrata, con tutto ciò che ne consegue; né evidentemente gradiranno ciò che potrebbe accadere nelle prossime settimane. Detto altrimenti: se c’è chi ha ipotizzato che il funerale di Vittorio Casamonica sia stato utilizzato dalla stessa famiglia come manifestazione del proprio potere criminale, è anche possibile ipotizzare che ad altri clan – magari meno avvezzi all’ostentazione di sé e, soprattutto, di più antica radice – tutto questo possa aver posto il problema della affidabilità di quel gruppo, elemento questo incredibilmente piuttosto ignorato da molti in questi giorni eppure decisivo in quanto è proprio su questo genere di ragionamenti che potrebbe aversi quel rimpasto della mappa criminale cittadina il quale, altrove, sarebbe dato per scontato.

In ogni caso, anche se così non fosse, qualcuno potrebbe comunque voler approfittare degli spazi che potrebbero aprirsi per una eventuale azione di contrasto delle forze dell’ordine. Insomma, che sia per la pressione di altri clan, per una scelta autonoma o per l’azione dello Stato, è comunque possibile che sul territorio possa prodursi una qualche ulteriore alterazione di equilibri consolidati con tutte le prevedibili conseguenze. Ieri, per dire, un Casamonica è stato arrestato per tentata estorsione in quanto avrebbe preteso il pizzo da un negoziante. C’è da chiedersi chi sarà a bussare la prossima volta alla porta di quel negozio e quale cognome avrà.

E quindi? Quindi, se è vero che fino a quando tutto rimane in equilibrio non si spara e che a Roma certi equilibri sono stati spesso filtrati anche dal potere politico o istituzionale – si ricordi cosa era davvero la Banda della Magliana – ora che certi equilibri sul territorio potrebbero essere stati alterati e che il potere politico e istituzionale è da tempo svanito, non è da escludere che il clima possa cambiare in peggio. E, se sulla mappa criminale della città si possono fare soprattutto ipotesi, è invece evidente a tutti la grande debolezza della politica, travolta essa stessa da certe imbarazzanti inchieste e oramai incapace di qualsiasi credibilità. Peraltro, se non bastassero le inchieste su Mafia-Capitale, a rafforzare una sensazione che non promette nulla di buono c’è soprattutto lo stato attuale delle istituzioni deputate al governo della città, ossia il vuoto cosmico.

Iniziamo dal livello più alto. «Se fosse stato un terrorista sarebbe stato un problema per tutti», ha detto Gabrielli dopo il funerale-show di Vittorio Casamonica riferendosi all’elicottero che lanciava sulla città petali di rosa. C’è, in quella frase, una vera e propria resa dello Stato. E si noti che, a differenza del sindaco Marino che non ha nessuna competenza sull’ordine pubblico e dunque neppure i relativi poteri, il prefetto Gabrielli quei poteri non soltanto ce li ha, ma ce li ha avuti sin da quando è stato nominato prefetto. Non da ieri, insomma. Dunque, quella frase è a maggior ragione inspiegabile e inescusabile. Ma è a maggior ragione massimamente inescusabile in quanto è stata pronunciata mentre lo stesso Gabrielli provvedeva senza imbarazzo a discolpare i livelli apicali delle forze dell’ordine, come se il clamoroso buco nella sicurezza della Capitale denunciato dal volo di quell’elicottero potesse davvero addebitarsi alla responsabilità dei livelli territoriali di polizia e carabinieri. Eppure, proprio questo è accaduto: i livelli più alti delle gerarchie – ossia chi prende le decisioni – hanno provveduto ad autoassolversi d’ogni colpa, cosa che davvero fa rabbia e paura insieme, pensando invece al lavoro impagabile e prezioso e alla fatica innominata che i livelli territoriali di carabinieri e polizia – ed ogni singolo agente che conosce la strada – fanno sul territorio. Eppure, Gabrielli – col Giubileo in arrivo – oramai è blindato, e dietro di lui l’intera catena di comando. Se poi, per placare l’opinione pubblica, servirà un capro espiatorio, ebbene, a quanto si è capito dalla riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza tenutosi in prefettura qualche giorno fa, già si è deciso dove andarlo a pescare. E, come detto, non tra i livelli apicali.

Quanto a Ignazio Marino, il fatto che in queste giornate nelle quali la città appare ferita se ne rimanga in vacanza lontano migliaia di chilometri, è una cosa che ha dell’incredibile. In molti su questa assenza si sono esercitati in modo, per la verità, piuttosto demagogico. Dal punto di vista funzionale, infatti, la presenza di Marino non avrebbe cambiato di una virgola i comportamenti della amministrazione la quale, durante le vacanze, non è certo abbandonata a se stessa ma è presidiata dal vicesindaco Marco Causi, come è normale che accada e come accade sempre e ovunque. Piuttosto, si tratta di una questione che è insieme di opportunità e politica. Quanto al primo profilo, se le vacanze sono sacre è anche vero che Marino non è un impiegato del Comune e le regole che presidiano il suo mestiere sono altre e prescrivono che le autorità e gli amministratori siano sempre presenti in circostanze così gravi come quelle che in questi giorni toccano così profondamente Roma. Non solo. C’è una dichiarazione molto eloquente del sottosegretario De Vincenti la quale dice tutto, ed è questa: «Marino non c’è? Causi fa un lavoro egregio». Renzi tace ma si tratta grosso modo della linea del governo, ed è come dire che la città può tranquillamente fare a meno di Ignazio Marino. Non del proprio sindaco in quanto figura istituzionale, la quale è ora impersonata da Marco Causi, vicesindaco non alieno a simpatie genziane; no: ciò che dalle parti di Palazzo Chigi pare si voglia dire è che, data la situazione, la città può serenamente fare a meno proprio di Ignazio Marino, poiché con o senza di lui le cose procedono comunque, magari con un Causi tornato in Campidoglio in plancia di comando, come accadeva ai tempi di Veltroni sindaco, e con un Gabrielli commissario di fatto. Marino, poi, da parte sua manifesta soprattutto una pervicace volontà di assenza dalla città. E, con ciò, sembra davvero aver scavato un fossato non tanto tra sé e la politica quanto tra sé e la città che dovrebbe amministrare.

Così, in una situazione quanto meno confusa e con un vuoto di potere evidente, tra qualche mese su Roma piomberà il Giubileo. Quello che potrebbe accadere – con gli occhi del mondo addosso, i proclami degli estremisti islamici oramai affacciatisi sull’altra sponda del Mediterraneo, una mappa criminale che potrebbe doversi almeno in parte riscrivere e un potere politico pervicacemente assente – davvero nessuno può prevederlo con certezza. Non Marino, a quanto pare, né chi, come Gabrielli non è riuscito a prevedere neppure il volo di un piccolo elicottero e poi ha di fatto ammesso la resa dello Stato con alcune frasi davvero infelici: la già ricordata «se fosse stato un terrorista sarebbe stato un problema per tutti», ma anche: «Ha dato l’impressione di una città non controllata». Ed è nelle sue mani che ora il governo ha messo proprio il Giubileo e, di fatto, l’intera amministrazione della città. Certo, i cattolici potranno sempre dire: «E che Dio ce la mandi buona», quindi si raccomanderanno a papa Francesco per una benedizione. Quanto agli altri, invece, e a chi crede nello Stato, be’, a quanto pare la linea è una sola: che si arrangino come possono.

TAG: criminalità, gabrielli, giubileo, governo, Ignazio Marino, Roma
CAT: Partiti e politici, Roma

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