L’attesa è noiosa? No, è un tempo prezioso da impiegare per sé

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24 Ottobre 2017

Per quanto il mondo giri veloce, passare una parte importante della nostra vita in attesa di qualcosa è inevitabile. Possono essere i cinque minuti alla cassa del supermercato, la mezz’ora aspettando il proprio turno dal dentista, i nove mesi di una gravidanza o i cinque anni necessari a completare l’università.

E c’è sempre qualcuno, a volte noi stessi, che non ce la fa: è impaziente e insofferente e vuole mollare. Perché una compagna diffusa dell’attesa è la noia, anche se in realtà è sempre possibile aspettare qualsiasi cosa impiegando il tempo in modo proficuo, senza tediarsi. Ma come? Giriamo la domanda alla dottoressa Emanuela Mazzoni, psicologa specializzata in counseling relazionale e coautrice del libro “La Scienza Relazionale e le malattie mentali”.

Partiamo dall’inizio: come si può evitare che un’attesa venga rovinata dalla noia o dal nervosismo?

«L’attesa è intimamente legata da un lato alla capacità di auto-osservarsi stando in pace dentro di sé, dall’altro dalla gestione dei tempi morti, ovvero la possibilità di utilizzare al meglio il tempo di vita. Questi due fattori sono intimamente interconnessi e possono diventare un volano molto positivo per vivere meglio la propria vita».

Però viverle bene è molto difficile.

«Saper stare in pace dentro di sé, significa saper lasciar scorrere il proprio flusso di coscienza, osservare il fluire dei pensieri, delle emozioni, delle attività, stando da un lato in qualità di osservatore di sé. È come guardarsi discosto, tenere la parte della coscienza vigile, in osservazione di quella che fluisce. Non è affatto così difficile come può sembrare, anzi spesso lo facciamo senza rendercene conto. Il mio personale maggior momento di pace con me stessa, sono i viaggi in automobile che mi capita di fare per lavoro. Io approfitto di questi momenti per fare anche una sorta di “debug” del mio sistema interiore. Debug è un termine informatico, significa trovare e togliere il problema, (qui si potrebbe fare anche un’analogia con i meccanismi di riparazione del DNA)».

Cioè?

«Nel senso che se c’è stato qualche episodio che mi ha turbato, che mi ha fatto male, cerco di risalirne all’origine e “aggiustarlo” più che posso, talvolta con una vera e propria auto-terapia o altre volte usando le tecniche del counseling relazionale. Dopodiché riemergo dal quello specifico episodio, che adesso è chiuso in modo migliore di prima, e proseguo con la “proiezione del film” interiore».

Quindi mentre si aspetta ci si può migliorare.

«Esatto: spesso ciò che accade, dandosi il tempo dell’osservazione interiore è proprio l’emersione di una piccola problematica, su cui è possibile intervenire e quindi agire una prevenzione nei confronti della parte emotiva, di quella cognitiva o di quella corporea. Questa è l’utilità massima dello stare in pace. Avere la pazienza di osservare ciò che emerge e poi intervenire».

L’attesa dunque è sostanzialmente positiva?

«Sì, perché ci permette di stare nel “qui ed ora”, nell’ascolto del momento, nella possibilità di vivere il momento presente. Se ci auto-osserviamo, possiamo accorgerci facilmente che ognuno di noi ha la tendenza a vivere o nei ricordi del passato o di ciò che avverrà nel futuro (tra un’ora, un giorno, un anno). Riconnettermi con il presente ed essere presente a me stesso, è possibile solo prendendo un tempo, ad esempio quello dell’attesa, per accorgermi dove sono, cosa sto vivendo, cosa sto pensando».

TAG: attesa, sala d'aspetto
CAT: Psicologia, Qualità della vita

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