Hikikomori: quando si esce dallo spazio e dal tempo

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19 Febbraio 2018

Nell’ormai mediaticamente lontano 2006 il regista Marco Prati ha realizzato un lungometraggio da titolo Hikikomori. Racconta la storia di un giovane di trent’anni, commesso in un negozio di elettronica, che vive un’esistenza completamente ritirata. Nessun contatto nel tragitto fra casa e lavoro, nessuna interazione sociale degna di nota. Al tempo in pochissimi conoscevano il termine giapponese dal quale l’autore aveva tratto il titolo del film (composto da hiku: tirare, komoru: ritirarsi)  e quasi nessuno il disturbo indicato con questo nome: la sindrome da ritiro sociale. Il racconto di Prati era stato, in questo senso, pionieristico per il panorama italiano, ma – trattandosi di un’opera di carattere artistico e non scientifico – non esaustivo.

Giappone, anni duemila, una mattina un ragazzo come tanti spegne la sveglia, si alza dal letto e decide che non scenderà a fare colazione, non si vestirà e non andrà a scuola o sul luogo di lavoro. Resterà semplicemente seduto sul letto, nella sua stanza, e poco alla volta andrà creandosi attorno un piccolo mondo in miniatura, completamente isolato dall’esterno e dalla società.

In questo modo avevo provato a spiegare, in un articolo per Softrevolution, il fenomeno degli hikikomori: prevalentemente giovani (fra i 15 e i 35 anni), maschi, apparentenenti contesti sociali, economici, culturali molto differenti fra loro. Ragazzi e giovani adulti perfettamente normali, spesso animati da una spiccata sensibilità o connotati da un carattere introspettivo, che ad un tratto – apparentemente senza evidenti motivazioni esterne – decidono di fare a meno del mondo. Le loro interazioni si limitano allo stretto necessario previsto per la sopravvivenza e al mondo virtuale. Invertendo, nella maggior parte dei casi, il ritmo sonno/veglia, gli hikikomori trascorrono gran parte delle loro giornate connessi in rete per giocare o scambiarsi opinioni su chat e forum tematici riguardo videogames, fumetti, libri, serie e prodotti di consumo culturale. Internet diventa per loro l’unico spazio di contatto con altri individui e, nelle forme che colpiscono persone adulte, anche lo spazio dove provare a realizzarsi professionalmente senza dover entrare in contatto col mondo reale.

La sindrome, da molti confusa con una forma depressiva o, più di recente, con una ludopatia, ha origine, secondo gli studi, da un eccesso di pressione sociale. Ovviamente ogni caso costituisce un percorso a sé, ma esiste una casistica delle ragioni (e quindi delle tipologie di sindrome da ritiro) che portano una persona a compiere una scelta tanto radicale.

  • Si parla ad esempio di ritiro alternativo quando la persona, nella delicata fase dell’adolescenza, decide di adottare questa strategia come forma di ribellione alle dinamiche tipiche dell’esistenza moderna, comprese le più comuni formule di socializzazione.
  • In altri casi si parla invece di ritiro reazionale, quando ad esempio la fuga dal contesto avviene per difficoltà familiari o per una causa scatenante traumatica che va a peggiorare una tendenza all’isolamento già esistente.
  • E ancora il ritiro dimissionario, uno dei più comuni in Giappone (e questo per ragioni socio-culturali specifiche del paese), ovvero un allontanamento motivato dal peso eccessivo delle aspettative lavorative, di realizzazione scolastica o personale.
  • Infine il ritiro a “crisalide”, quando l’ansia dovuta alla fase di crescita porta ad un evitamento delle responsabilità connesse alla vita adulta e a un tentativo di “sottrarsi al tempo” congelandosi in un eterno presente.

Le tipologie sono spesso interconnesse, anche perché l’hikikomori non è un individuo statico: i cambiamenti che – a prescindere o meno dal contesto esterno – avvengono nella persona, implicano un cambiamento di approccio anche al ritiro.

In Italia, date anche le condizioni di minor pressione sociale/scolastica rispetto al Giappone, il fenomeno sembra si sviluppi prevalentemente a partire da contesti di difficoltà scolastica (rendimento, errore nella scelta di percorso, carenza nei rapporti sociali, mancato ascolto di campanelli d’allarme rispetto a fenomeni come il bullismo, assenza di una vera valorizzazione della persona da parte dei docenti…) con “aggravanti” legate al contesto familiare. Spesso gli hikikomori sono figli unici su cui ricadono tutte le aspettative e i desideri, per quanto leciti, della famiglia, oppure fanno parte di un nucleo monogenitoriale, con i rischi connessi, anche in questo caso, a un legame troppo forte fra genitore e figlio. Ma l’hikikomori può fuggire anche dalle pressioni dei pari o di una società che, sempre di più, pone delle “condizioni” da soddisfare per essere considerati individui completi (Devi essere intelligente, simpatico, di bell’aspetto, popolare…). Dati alla mano sembra che il fenomeno in Italia colpisca maggiormente la popolazione maschile: questo potrebbe essere legato a un retaggio sociale, ancora molto forte, che vede nel “maschio” colui che in primis deve arrivare ad una realizzazione personale, professionale ed economica forte, ma anche all’idea che, per una ragazza, sia più “normale” trascorrere molto del tempo libero in casa in attività “ritirate”. Per questo le statistiche potrebbero cambiare ad una più attenta analisi dei singoli casi.

In Italia è ad oggi attiva un’associazione nazionale, diretta dal dott. Marco Crepaldi che mira ad informare sul fenomeno e supportare gli hikikomori e le loro famiglie in un percorso di corretto riconoscimento del problema e tentativo di risoluzione.

Secondo alcune stime, non ufficiali, il numero degli hikikomori italiani si aggirerebbe intorno ai 100.000, ma – ancora oggi – risulta difficile dare una corretta misura del problema non solo per la sovrapposizione, nella diagnosi, con altre patologie, ma anche per lo stigma sociale che il fenomeno porta con sé e che spinge molte famiglie a non cercare il corretto supporto e considerare il ritiro come qualcosa di transitorio. Per questo una corretta informazione è fondamentale: per riconoscere il problema e per riportarlo, da un universo privato fuori dal tempo e dallo spazio, nel mondo.

 

TAG: Depressione, Giappone, giovani, Hikikomori, ludopatia, Marco Crepaldi, Marco Prati, Ritiro sociale, società
CAT: Psicologia, relazioni

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