Il rivoluzionario bigotto

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2 Ottobre 2017

Quella carta lucida e spessa, che ancora non sapevo si chiamasse patinata, sembrava proiettare i corpi fuori dalle pagine per venirti incontro. Una copia di Playboy negli anni ’80 era insieme reliqua e manuale illustrato. Per le tue obbligate pratiche solitarie potevi evocare ad occhi chiusi figure sconosciute al mondo come la vicina, la compagna di scuola, la mamma di, oppure mordere con gli occhi spalancati quell’esplosione di curve paraboliche e famose. Negli anni ’90 Playboy ha diluito la sua carica, per poi perderla nel terzo millennio, a favore di altre e più plateali esposizioni. Al dunque: Hugh Hefner chi è stato? Dal giorno della sua morte si duella sul web. C’è chi si prostra alla sua carica rivoluzionaria, che rischiando parecchio ha massacrato il bigottismo sessuale imperante, e preso anche posizioni dure contro guerre in Vietnam e razzismo dilagante; e sono sempre maschi. Dall’altro lato il disprezzo di molte, non per forza femministe, anzi, la maggior parte esordisce dicendo “io non sono femminista ma…”, le quali ribadiscono il trattamento riservato alle conigliette, che facevano sì la bella vita in quella specie di colonia estiva forever, ma sottomesse a regole feroci da convento. Una convento libertino. Erano suore del sesso. Ecco, la contraddizione. O l’intuizione. Il cortocircuito. L’uomo Hefner era un imprenditore rivoluzionario, vitale e spregiudicato, ma con le debolezze di una cultura retrograda, da sceicco, o semplicemente da padre protettivo e assoluto. Solo che al posto di mettergli pure il burka le spogliava di tutto il superfluo. Quindi l’uomo ha liberato i costumi sessuali degli anni ’50, deliranti, ma ha imprigionato la donna all’immortale ‘oggetto sessuale’, dicono la maggior parte delle donne. E liberiamoci della parola ‘femminista’, perché ogni ismo imprigiona e ammorba, e rivalutiamo la parola ‘femmina’. Una femmina è padrona della sua vita. Punto. Una femminista è continuamente in rivalsa e rancore. Ne ha tutte le ragioni, ma ho l’impressione che sia controproducente. E mi permetto di non capire perché tanta indignazione non sia mai esplicita verso quel mondo maschile vicinissimo che le donne le copre, nasconde e umilia ogni secondo: no, quello viene compreso, difeso, giustificato come cultura. Nella nostra civiltà privilegiata, un uomo tratta una donna per quello che è, che si dimostra. A meno che non sia un violento, frustrato emarginato, ma questo non ha nulla a che vedere con gli Hefner, i vecchi irriducibili o i giovani naturalmente arrapati. L’essere desiderate in quanto corpo è una necessità, una maledizione, un potere in più. E si nutre di un immaginario, anche quello che non piace. Ma che si sposta da sè, con l’aumentare delle femmine. Che hanno il loro immaginario. Più sottile, sommerso, inquieto. E più imprevedibile di tutti i Playboy.

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CAT: Qualità della vita, Questioni di genere

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