Le parole sono importanti: creiamo una carta per tutelare il linguaggio

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19 Febbraio 2018

Una bambina di 9 anni che fa la prostituta a Palermo. Una tragedia famigliare sfiorata a Troia, dove un uomo uccide sua moglie e tenta il suicidio, adesso è grave ma salvo. Due cortocircuiti del giornalismo che mi sfiorano in pochi minuti. Il primo su Facebook (postato dall’attivista e femminista Rosy Paparella), il secondo arrivatomi via WhatsApp dalla scrittrice e femminista Cristina Obber (che qui ne ha scritto). Il primo in un titolo dell’ANSA, il secondo di un sito (Zon.it, che ha prontamente provveduto alla correzione dopo l’incontenibile ira sui social).

 

Superfluo ricordare l’indecente articolo firmato da Fabrizio Caccia e apparso la settimana scorsa su Il Corriere della Sera, capace di descrivere lo squallore della compravendita del corpo della giovane Pamela Mastropietro con i toni della fiaba e del mito. Superfluo anche ricordare l’altrettanto indecente articolo firmato da Alessandro D’Avenia sempre su Il Corriere della Sera, e sempre focalizzato sul femminicidio, e sulle caratteristiche prettamente femminili che una giovane deve possedere. In cima, neanche a dirlo, c’è la grazia.

 

Sorge spontaneo domandarsi che cosa non vada fra il giornalismo – deputato a informare e dunque a creare, o almeno a influenzare, anche parzialmente, l’opinione pubblica – e le donne. Sorge spontaneo domandarsi perché questo accada. Superficialità? Ignoranza? Disinteresse? Diventa anche naturale domandarsi se non sia forse la totale mancanza di rispetto utilizzata dai giornali e dai giornalisti il più preciso specchio delle vessazioni continue perpetuate nel nostro Paese sul corpo delle donne (i recenti dati istat parlano da soli). Come qualche giorno fa mi ha ricordato Paola Tavella, soltanto il direttore de “La Stampa” si è schierato apertamente a favore del #metoo e delle battaglie femministe in corsa. Ecco, e tutti gli altri?

Diventa necessario dunque mobilitarsi e – come da anni richiede la Rete Rebel Network – sostenere una Carta del RispettoFino a quando non sapremo esprimerci correttamente, fino a quando non ci sarà una coscienza chiara che passa adesso e soprattutto dall’utilizzo corretto delle parole, non potremo dirci veramente interessati alla parità di genere. O, semplicemente, capaci di provare rispetto nei confronti degli altri. E di saperlo esprimere in modo adeguato. O, quantomeno, non offensivo.

 

 

Il decalogo proposto dalla la Rete Rebel Network
1. Identificare la violenza inflitta alla donna in modo preciso attraverso la definizione internazionale contenuta nella Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1993 sull’eliminazione della violenza nei confronti delle donne.
2. Utilizzare un linguaggio esatto e libero da pregiudizi. Per esempio, uno stupro o un tentato stupro non possono venire assimilati a una normale relazione sessuale; il traffico di donne non va confuso con la prostituzione. I giornalisti dovranno riflettere sul grado di dettagli che desiderano rivelare. L’eccesso di dettagli rischia di far precipitare il reportage nel sensazionalismo. Così come l’assenza di dettagli rischia di ridurre o banalizzare la gravità della situazione. Evitare di suggerire che la sopravvissuta è colpevole o che è stata responsabile degli attacchi o degli atti di violenza subiti.
3. Le persone colpite da questo genere di trauma non necessariamente desiderano essere definite “vittime”, a meno che non utilizzino esse stesse questa parola. Venir etichettati può infatti far molto male. Un termine più appropriato potrebbe essere “sopravvissuta”.
4. La considerazione dei bisogni della sopravvissuta quando la si intervista consente di realizzare un reportage responsabile. Può trattarsi di un dramma sociale. Permettere alla sopravvissuta di essere intervistata da una donna, in un luogo sicuro e riservato, fa parte della considerazione di questo dramma. Si tratta di evitare di esporre le persone intervistate ad abusi ulteriori. Certi comportamenti possono mettere a rischio la loro vita e la loro posizione in seno alla comunità d’appartenenza.
5. Trattare la sopravvissuta con rispetto; rispettando la sua privacy e informandola in maniera completa e dettagliata sugli argomenti che saranno trattati nel corso dell’intervista e sulle modalità d’uso dell’intervista stessa. Le sopravvissute hanno il diritto di rifiutarsi di rispondere alle domande e di divulgare più informazioni di quanto non desiderino. Rendersi disponibile per un contatto ulteriore con la persona intervistata e lasciare le proprie generalità le permetterà di restare in contatto con il/la giornalista se lo vuole o ne ha bisogno.
6. L’uso di statistiche e informazioni sull’ambito sociale permette di collocare la violenza nel proprio contesto, nell’ambito di una comunità o di un conflitto. I lettori e il pubblico devono ricevere un’informazione su larga scala. L’opinione di esperti, come quelli dei DART (Centri post-traumatici), permette di rendere più comprensibile al pubblico l’argomento, fornendo informazioni precise e utili. Ciò contribuirà ad allontanare l’idea che la violenza contro le donne sia una tragedia inesplicabile e irrisolvibile.
7. Raccontare la vicenda per intero: a volte i media isolano incidenti specifici e si concentrano sul loro aspetto tragico. La violenza potrebbe inscriversi in un problema sociale ricorrente, in un conflitto armato o nella storia d’una comunità.
8. Preservare la riservatezza: fra i doveri deontologici dei giornalisti c’è la responsabilità etica di non citare i nomi e non identificare i luoghi la cui indicazione potrebbe mettere a rischio la sicurezza e la serenità delle sopravvissute e dei loro testimoni. Una posta particolarmente importante allorché i responsabili della violenza sono forze dell’ordine, forze armate impegnate in un conflitto, funzionari di uno stato o d’un governo o infine membri di organizzazioni potenti.
9. Utilizzare le fonti locali. I media che assumono informazioni da esperti, da organizzazioni di donne o territoriali su quali possano essere le migliori tecniche d’intervista, le domande opportune e le regole del posto, otterranno buoni risultati ed eviteranno situazioni imbarazzanti o ostili; come accade quando un cameraman o un giornalista s’introducano in spazi privati o riservati senza alcuna autorizzazione. Da qui l’utilità d’informarsi precedentemente su costumi e contesti culturali locali.
10. Fornire informazioni utili: un reportage che citi i recapiti di persone qualificate da contattare, così come le generalità delle organizzazioni e dei servizi d’assistenza, sarà d’aiuto fondamentale alle sopravvissute, ai testimoni e ai loro familiari, ma anche a tutte le altre persone che potranno venire colpite da un’analoga violenza.

TAG: Ansa, paola tavella
CAT: Questioni di genere

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